Questo non è un governo tecnico ma uno dei più politici e ideologici tra
i governi che abbiamo mai avuto. È il governo che più nettamente sposa
l'ideologia neoliberale. Perché allora dovremmo baciare il rospo, come
sostiene Revelli? Mi dispiace tanto, ma questa volta non sono proprio
d'accordo con il mio amico Marco Revelli. Io non bacio il rospo e mi
preparo a fare tutto quel che mi è possibile per mandarlo via. Confesso
che non sono sceso in piazza con la bandiera tricolore per festeggiare
la caduta di Berlusconi. Ho passato questi ultimi 17 anni a combattere
Berlusconi, la sua cultura, le sue prepotenze. Prima ho fatto lo stesso
con il suo maestro Craxi. Eppure la sera del 12 novembre non l'ho
sentita come una liberazione. I paragoni storici che si stanno facendo
mi paiono fuorvianti. Come Revelli non vedo nessun 25 aprile in atto.
Non mi risulta che il governo di allora fosse di larghe intese tra Cln e
Repubblica sociale. Ma non vedo nemmeno un chiaro 25 luglio, se non
per l'annuncio del governo Badoglio: "La guerra continua".
Se
proprio si deve ricorrere ai paragoni storici, bisogna tornare
all'Europa del 1914. Al suicidio di un continente nel nome della guerra e
del nazionalismo, e alla corrispondente dissoluzione di gran parte
della sinistra socialdemocratica e dei sindacati. Oggi per fortuna non
siamo a quel punto, ma è sicuramente in atto un suicidio e una
dissoluzione dell'Europa e della sinistra in essa. La guerra del debito,
scatenata in tutto il continente, sta mettendo in crisi democrazia e
conquiste sociali. Tutti i governi europei sono soggetti alle stesse
scelte e agli stessi indirizzi economici. Poi, benignamente, questa
tirannia finanziaria ci concede la facoltà di accettarla. Ma non si può
dire di no.
A me tutto è più chiaro da quando Marchionne disse
agli operai di Pomigliano che se volevano lavorare, nell'epoca della
globalizzazione, dovevano rinunciare a tutti i loro diritti. E aggiunse
che potevano solo votare sì al referendum sul suo diktat, perché il no
avrebbe comportato la distruzione dell'azienda. Marchionne, fino a
poco tempo prima incensato come borghese illuminato, così come oggi
Monti, ottenne il consenso pressoché unanime del parlamento italiano.
Il governo Monti è espressione diretta del grande capitale italiano e
internazionale, con suoi intellettuali organici di valore. È la prima
volta che questo avviene nella storia della nostra repubblica ed è
sicuramente un segno della crisi totale della classe politica. In questi
venti anni il padronato italiano ha alternato politiche di rottura
populista e politiche di concertazione democratica. L'obiettivo era
sempre lo stesso: contenere il salario ed estendere flessibilità e
precarietà, allargare la sfera del profitto con le privatizzazioni.
Quando le condizioni lo permettevano e si sentiva particolarmente forte,
il padronato italiano ricorreva a Berlusconi e alla destra. Se la
risposta sociale e politica cresceva, allora si tornava alla
concertazione. Quest'ultima ammorbidiva le scelte, le rallentava, ma non
ne fermava la direzione di fondo. La novità è che oggi il sistema
economico dominante salta qualsiasi mediazione politica, non si fida più
non solo di Berlusconi, ma anche dell'opposizione e decide di agire in
proprio. Altro che governo tecnico, questo è uno dei più politici e
ideologici tra i governi della repubblica. È il governo che più
nettamente sposa l'ideologia neoliberale.
La crisi economica
mondiale ha travolto la ridicola classe politica italiana. Sarà un puro
caso, ma tutti i paesi piigs sono stati posti rapidamente sotto
controllo. Se si fossero messi assieme, se avessero fatto una comune
politica del debito, come i paesi dell'America Latina, banche tedesche e
Fmi sarebbero dovuti venire a patti.
Anche a me fa piacere la
sobrietà e lo stile del nuovo governo, contrapposto ai nani e alle
ballerine, ai bordelli, alle barzellette che facevano piangere, al
degrado culturale e civile che ispirava quello precedente. Tuttavia la
mia esperienza sindacale mi ha insegnato che il padrone per bene può
farti molto più male del padrone sfacciato e impresentabile. Questo
governo ha un mandato chiaro, quello della Bce. È il mandato di quel
capitalismo internazionale che pensa di affrontare la sua stessa crisi
con riforme neoliberali, come negli ultimi trent'anni. Con la solita
ipocrisia dell'equità e del rigore si mettono in discussione ancora una
volta le pensioni dei lavoratori, la tutela contro i licenziamenti, i
contratti, i diritti punto e basta. Si risponde al referendum
sull'acqua con le privatizzazioni e si annuncia quella mostruosità
giuridica ed economica del pareggio di bilancio in Costituzione. Si
risponde agli studenti in sciopero esaltando la riforma Gelmini. Sì,
certo, la sobrietà del governo produrrà dei contentini. Un po' di
privilegi di casta politica verranno tagliati, ma solo per giustificare
i sacrifici sociali. Si annuncia che non ci sarà massacro sociale. Ma
questo è già in atto. Sono la crisi e la recessione che stanno
producendo una drammatica selezione sociale. Il governo può anche non
volere il massacro, ma se opera con riforme neoliberali lo agevola e lo
accresce.
È la ricetta neoliberista che è destinata a fallire.
Perché non si riuscirà, per quanti sacrifici si impongano, a far
ripartire il meccanismo della globalizzazione. Per questo sarebbe
necessario prendere atto della crisi di sistema, cosa che Monti nella
sua relazione programmatica si è ben guardato dal fare. E costruire una
vera alternativa. Il debito non può essere pagato da un'economia in
recessione, pretendere di farlo a tutti i costi significa aggravare la
recessione e appesantire il debito. È successo alla Grecia e succederà
all'Italia, nonostante la professionalità di Monti. Bisogna partire
dall'opposizione al nuovo governo per costruire un'alternativa
economica, sociale e politica al programma della Bce e del capitalismo
internazionale. Sarà dura, ma si riparte dal no a questo governo.
Fonte.
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