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29/11/2011

Meno treni, più armi: la death economy di Finmeccanica.

Credo che non abbia tutti i torti Alan D. Altieri quando parla della Death Economy, economia di morte, avvertendoci che nella storia umana "è sempre stato l’unico metodo conosciuto di espansione economica".[1]

Viene difficile spiegare altrimenti per quale ragione un'azienda a partecipazione pubblica come Finmeccanica (il 30,2% del capitale è posseduto dal Ministero del Tesoro) debba prosperare con la vendita di armi e sistemi di difesa e abbandonare invece il settore ferroviario e del trasporto pubblico locale.
Risale infatti a metà novembre l'annuncio della probabile dismissione di Ansaldo Breda e Menarini Bus perché, ha affermato l'amministratore delegato della holding Giuseppe Orsi, "i settori strategici sono aerospazio e difesa, elettronica per la difesa e la sicurezza" e non "energia e trasporti".[2]
AnsaldoBreda è l'unica impresa ferroviaria italiana rimasta, in grado di produrre veicoli completi e non solo componentistica: Fiat è uscita dal settore nel 2000, con la vendita di Fiat Ferroviaria alla multinazionale a base francese Alstom, mentre un'altra azienda storica, Firema, è in amministrazione controllata dall'agosto del 2010.
Siamo dunque all'ultimo atto dello smantellamento dell'industria ferroviaria italiana, che pure ha avuto un passato nobile. Con conseguenze pesanti sui posti di lavoro, come dimostrano gli scioperi e le manifestazioni di questi giorni dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende coinvolte.
Che AnsaldoBreda abbia qualche problema è un dato di realtà. Parlano da sole le puntuali contestazioni, da parte delle ferrovie danesi e di quelle olandesi, dei più recenti prodotti forniti dall'azienda del gruppo Finmeccanica.
Ma questo chiama in causa, semmai, il modo in cui l'azienda è stata gestita, come sono stati scelti i suoi gruppi dirigenti, perché è stato disperso il know-how e quindi, trattandosi di un'azienda a partecipazione pubblica, pone problemi squisitamente politici.
Ma non giustifica la sua dismissione e la scelta di centrare Finmeccanica sulla produzione di strumenti di morte.
Lo stesso scenario si ritrova nel settore della produzione di autobus: dopo la decisione di Irisbus (Fiat), nella persona del solito Marchionne, di chiudere lo stabilimento di Valle Ufita e di spostare tutta la produzione in Francia, Menarini Bus rimane l'unica fabbrica italiana di veicoli per il trasporto pubblico su gomma, se si escludono alcune realtà con quote di mercato veramente marginali.
Ma c'è di più. Spiega ancora l'ad di Finmeccanica: se i potenziali acquirenti esprimessero interesse anche per il settore del segnalamento ferroviario, in cui opera Ansaldo Sts, "potremmo prendere in considerazione la cessione dell'intero settore ferroviario".
È candidata alla dismissione dunque anche la quota (pari al 40%) di partecipazione della holding in Ansaldo Sts, azienda leader mondiale nella progettazione e produzione di apparati e sistemi per il controllo della circolazione dei treni e delle metropolitane.
Non occorre particolare dietrologia per capire che è questo il "gioiellino" su cui si potrebbe concentrare l'attenzione degli eventuali compratori, i quali, se "costretti" ad acquisire anche AnsaldoBreda e Menarini Bus, non si farebbero grandi remore a disfarsene il prima possibile.
Insomma, il paradosso della death economy è il seguente: l'Italia si confermerà uno dei maggiori e più raffinati produttori di armi e altri strumenti di morte, ma non progetterà e costruirà più nessun veicolo per il trasporto pubblico.
La contraddizione insanabile tra le esigenze del profitto capitalistico e i bisogni sociali si manifesta, ancora una volta, nella maniera più palpabile.
Ma non è niente di nuovo: è ciò di cui ci parla il movimento NO-TAV quando denuncia l'inutilità e la dannosità dell'opera che devasterà la Val di Susa. Un progetto sovradimensionato rispetto alla domanda di trasporto realisticamente prevedibile, pensato e difeso militarmente nel nome degli interessi delle grandi imprese di costruzione.
Ed ecco ancora il paradosso mortifero: ci sono i soldi per un'opera faranoica, ma non ci sono per far circolare autobus e treni. Il governo Berlusconi ha deciso, per il 2012, un taglio complessivo dei trasferimenti destinati al trasporto pubblico locale pari a 1655 milioni di euro. Il "salvatore della Patria" Mario Monti non ha ancora fatto sapere se e come intende rimediare. Sono a rischio di soppressione metà dei treni regionali circolanti nel nostro paese e decine di migliaia di posti di lavoro.

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