Credo che non abbia tutti i torti
Alan D. Altieri quando parla della Death Economy, economia di morte,
avvertendoci che nella storia umana "è sempre stato l’unico metodo
conosciuto di espansione economica".[1]
Viene
difficile spiegare altrimenti per quale ragione un'azienda a
partecipazione pubblica come Finmeccanica (il 30,2% del capitale è
posseduto dal Ministero del Tesoro) debba prosperare con la vendita di
armi e sistemi di difesa e abbandonare invece il settore ferroviario e
del trasporto pubblico locale.
Risale
infatti a metà novembre l'annuncio della probabile dismissione di
Ansaldo Breda e Menarini Bus perché, ha affermato l'amministratore
delegato della holding Giuseppe Orsi, "i settori strategici sono
aerospazio e difesa, elettronica per la difesa e la sicurezza" e non
"energia e trasporti".[2]
AnsaldoBreda
è l'unica impresa ferroviaria italiana rimasta, in grado di produrre
veicoli completi e non solo componentistica: Fiat è uscita dal settore
nel 2000, con la vendita di Fiat Ferroviaria alla multinazionale a base
francese Alstom, mentre un'altra azienda storica, Firema, è in
amministrazione controllata dall'agosto del 2010.
Siamo
dunque all'ultimo atto dello smantellamento dell'industria ferroviaria
italiana, che pure ha avuto un passato nobile. Con conseguenze pesanti
sui posti di lavoro, come dimostrano gli scioperi e le manifestazioni
di questi giorni dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende
coinvolte.
Che AnsaldoBreda abbia
qualche problema è un dato di realtà. Parlano da sole le puntuali
contestazioni, da parte delle ferrovie danesi e di quelle olandesi, dei
più recenti prodotti forniti dall'azienda del gruppo Finmeccanica.
Ma
questo chiama in causa, semmai, il modo in cui l'azienda è stata
gestita, come sono stati scelti i suoi gruppi dirigenti, perché è stato
disperso il know-how e quindi, trattandosi di un'azienda a
partecipazione pubblica, pone problemi squisitamente politici.
Ma non giustifica la sua dismissione e la scelta di centrare Finmeccanica sulla produzione di strumenti di morte.
Lo
stesso scenario si ritrova nel settore della produzione di autobus:
dopo la decisione di Irisbus (Fiat), nella persona del solito
Marchionne, di chiudere lo stabilimento di Valle Ufita e di spostare
tutta la produzione in Francia, Menarini Bus rimane l'unica fabbrica
italiana di veicoli per il trasporto pubblico su gomma, se si escludono
alcune realtà con quote di mercato veramente marginali.
Ma
c'è di più. Spiega ancora l'ad di Finmeccanica: se i potenziali
acquirenti esprimessero interesse anche per il settore del segnalamento
ferroviario, in cui opera Ansaldo Sts, "potremmo prendere in
considerazione la cessione dell'intero settore ferroviario".
È
candidata alla dismissione dunque anche la quota (pari al 40%) di
partecipazione della holding in Ansaldo Sts, azienda leader mondiale
nella progettazione e produzione di apparati e sistemi per il controllo
della circolazione dei treni e delle metropolitane.
Non
occorre particolare dietrologia per capire che è questo il
"gioiellino" su cui si potrebbe concentrare l'attenzione degli eventuali
compratori, i quali, se "costretti" ad acquisire anche AnsaldoBreda e
Menarini Bus, non si farebbero grandi remore a disfarsene il prima
possibile.
Insomma, il paradosso
della death economy è il seguente: l'Italia si confermerà uno dei
maggiori e più raffinati produttori di armi e altri strumenti di morte,
ma non progetterà e costruirà più nessun veicolo per il trasporto
pubblico.
La contraddizione
insanabile tra le esigenze del profitto capitalistico e i bisogni
sociali si manifesta, ancora una volta, nella maniera più palpabile.
Ma
non è niente di nuovo: è ciò di cui ci parla il movimento NO-TAV
quando denuncia l'inutilità e la dannosità dell'opera che devasterà la
Val di Susa. Un progetto sovradimensionato rispetto alla domanda di
trasporto realisticamente prevedibile, pensato e difeso militarmente nel
nome degli interessi delle grandi imprese di costruzione.
Ed
ecco ancora il paradosso mortifero: ci sono i soldi per un'opera
faranoica, ma non ci sono per far circolare autobus e treni. Il governo
Berlusconi ha deciso, per il 2012, un taglio complessivo dei
trasferimenti destinati al trasporto pubblico locale pari a 1655 milioni
di euro. Il "salvatore della Patria" Mario Monti non ha ancora fatto
sapere se e come intende rimediare. Sono a rischio di soppressione metà
dei treni regionali circolanti nel nostro paese e decine di migliaia di
posti di lavoro.
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