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18/11/2011

L'asse tedesco.

Come si sa, la Merkel ha ordinato ai suoi consulenti di studiare i termini di una revisione dei trattati istitutivi della Ue che consenta ad un singolo paese che lo voglia, di uscire dall'Eurozona, tornando alla moneta nazionale, senza per questo dover uscire dalla Ue. Tutti hanno interpretato il passo come un avvio del processo di "riduzione dell'Eurozona", cioè l'uscita "volontaria" -forse definitiva, forse temporanea- dei paesi più deboli e la nascita dell'Europa a due velocità. Il punto di approdo sarebbe uno sdoppiamento per cui ci sarebbe un club di 9 paesi "fondatori" dell'Euro che continuerebbero ad avere la moneta unica e gli altri 18 paesi della Ue con moneta propria (CdS 11.11.11 p. 18).
Ma, a quanto pare, i primi studi hanno segnalato che l'operazione potrebbe avere costi da capogiro: circa il 50% del Pil della Ue, con un milione di disoccupati in più nella sola Germania. Per di più, visto che la Francia sta subendo un attacco della speculazione internazionale, ha un deficit di bilancio oltre il 5% per tutti i tre anni prossimi (il doppio dell'Italia e cinque volte della Germania) e il Belgio ha un debito pubblico record, il club potrebbe risultare ancora più ristretto. Dunque: neanche a parlarne.
Solo che la mossa della Merkel potrebbe non essere questa ma il suo opposto: la persistenza dell'Euro come moneta comune e l'uscita della sola Germania che tornerebbe al marco.
E' da dimostrare che questa mossa possa costare meno, ma il piano potrebbe avere una sua suggestività: i paesi che restano nell'Euro continuerebbero ad avere una moneta certamente indebolita, ma ancora in grado di spalmare le tensioni speculative su un'area abbastanza vasta, la Germania potrebbe studiare sia una qualche forma di raccordo fra marco ed euro e fare il passaggio con qualche gradualità. La cosa potrebbe avere diversi vantaggi: svincolerebbe la Germania dall'obbligo di difendere la moneta sbarcando il peso dell'operazione essenzialmente su francesi ed olandesi (se questi ultimi avranno voglia di restare nell'area Euro), ma senza per questo imporre alla Germania l'uscita dalla Ue. Inoltre i vantaggi che la Merkel si riproporrebbe, se questo fosse il suo disegno, sarebbero essenzialmente elettorali: non è un mistero che i tedeschi non abbiano mai amato la moneta unica, immaginando di essere dei poveri cirenei che reggono sulle proprie spalle la croce dei paesi fannulloni come Grecia, Spagna, Italia ecc. Questa potrebbe essere una mossa tale da invertire il trend elettorale sfavorevole.

C'è, però, un problema molto serio da risolvere: la moneta tedesca sarebbe fortissima ed, al contrario, quella (quelle) del resto d'Europa sarebbe debolissima; anche nei confronti del dollaro, il neo marco (o comunque si chiami) si apprezzerebbe considerevolmente. Di conseguenza, i due principali mercati di sbocco della manifattura tedesca non sarebbero più in grado di assorbire l'attuale flusso di merci. Dunque, occorrerebbe trovare sbocchi alternativi o meccanismi di manipolazione della moneta che limitino il crollo delle esportazioni.
E la soluzione naturale è verso est. La Russia di Putin si trova in un momento particolare: è ricchissima di commodities (gas e petrolio in primo luogo, ma anche oro, terre rare, minerali non ferrosi ecc.) ma ha un sistema industriale disastrato, una rete di trasporti ed infrastrutture non all'altezza dello sviluppo cui la Russia ambisce, ha un forte ritardo tecnologico, al punto di non essere neppure in grado di sfruttare tutte le sue risorse (come le terre rare). La Germania ha una tecnologia molto avanzata, notevoli riserve finanziarie, ottime e riconosciutissime capacità organizzative: tutto quello che serve ai russi per fare un balzo avanti. In cambio i tedeschi potrebbero ottenere immense quantità di materie prime a prezzi bassissimi e crearsi un mercato di sbocco molto consistente per compensare, almeno in parte, le difficoltà sui mercati euro-americani.

D'altra parte, la moneta forte offre anche vantaggi (l'acquisto a prezzi favorevoli di materie prime, servizi e tecnologie sul mercato internazionale) e l'espansione nei mercati est europei potrebbe offrire i margini per politiche di dumping idonee a sostenere le esportazioni sui tradizionali mercati di sbocco.
Certo: è solo una ipotesi, che comporta rischi (e non pochi o minori) ed esige una parziale riconversione produttiva in base ai nuovi sbocchi, però non è irragionevole pensare che sia fra le possibili scelte considerate in queste settimane dal mondo politico, industriale e finanziario tedesco.

Naturalmente, se tutto questo dovesse accadere davvero, le ripercussioni non sarebbero solo economiche ma soprattutto politiche.
In primo luogo sarebbe la fine dell'asse franco tedesco e, con esso, del progetto di Unità Europea. La Ue potrebbe sopravvivere ma come perfetto esempio di ente inutile.
La seconda conseguenza sarebbe il ritorno di "sfere di influenza" tedesca e russa nell'Europa dell'Est: la Russia avrebbe la possibilità di portare a compimento il disegno strategico putiniano di una grande federazione russa con la Bielorussia, le province russofone dell'Ucraina e forse la Moldavia; la Germania assimilerebbe nel suo "cortile di casa" Repubblica Ceca, Slovacchia, repubbliche baltiche, forse Ungheria, oltre che Austria e Slovenia. Al centro ci sarebbe l'incomoda presenza della Polonia (protettrice naturale della Galizia e delle province ucraine già appartenenti all'impero austroungarico) e sarebbe il problema di sempre, ma sarebbe un particolare di cui occuparsi in altro momento.
La Germania acquisterebbe per la prima volta un rilievo politico autonomo -senza la finzione della Ue che, poi, non ha mai funzionato davvero- e potrebbe pensare ad una espansione delle sue relazioni internazionali verso l'Asia (ad esempio l'Indonesia e la Corea del Sud). La Russia conquisterebbe una centralità strategica fra l'asse con Berlino da un lato e quello con Pechino dall'altro.

C'è da capire quali potrebbero essere le reazioni americane a questo ridisegno della mappa geopolitica mondiale.

Fonte.

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