Il referendum si farà, così ha deciso il Consiglio dei Ministri che, fino alle tre di questa mattina, era riunito in via straordinaria.
Sarà
un referendum il quale porrà all'elettorato il quesito se accetta o
meno il testo dell'accordo raggiunto a Bruxelles il 27 ottobre. In
alternativa, Governo ellenico ed Europa indicano la porta d'uscita dalla
zona euro, così come la bancarotta della Grecia.
Bisogna capire
cosa stia succedendo al vertice dell'esecutivo ellenico, cosa sia
veramente in gioco col referendum e, alla fine, se è esatto parlare di
referendum, almeno in senso tecnico.
Si è scritto molto dello scollamento profondo tra esecutivo e cittadini, uno scollamento che è andato aggravandosi
molto negli ultimi sei mesi, consegnando il Governo greco, e il suo
Primo Ministro, a una solitudine di proporzioni mai viste nella storia
della Grecia democratica.
È innegabile che Ghiorgos Papandreou abbia preso decisioni e imposto misure la cui intensità ha trasfigurato la realtà ellenica in un tempo molto breve. Solo di fronte alle opposizioni, Papandreou non ha dato spesso segnali di cedimento e stanchezza,
forse credendo, egli stesso, a quello che amava ripetere spesso: ''io
salverò il Paese''. Se fosse delirio di onnipotenza, sincera speranza o
cinico artifizio retorico, non è semplice stabilire. Una cosa, però, si
può e deve rilevare: i greci lo credevano sempre meno.
Infatti, l'austerità stanca e due anni di politiche lacrime e sangue hanno procurato dissesti gravissimi sia
all'economia del Paese che a quella delle famiglie. Due anni di
sacrifici per la maggior parte dei greci che, dopo lo choc iniziale, non
hanno tardato a capire che qualcosa non stava andando nel verso che il
governo aveva preannunciato un'infinità di volte: ''altre misure non
saranno più necessarie, elimineremo tutti gli sprechi, creeremo un
sistema fiscalmente giusto, razionalizzeremo il funzionamento dello
Stato, provvederemo alla ridistribuzione della ricchezza - poca -
rimasta. E, alla fine, gli sforzi di tutti saranno premiati e lo
sviluppo tornerà'' nella lande desolate dell'economia greca.
Non è
andata così: il governo non ha saputo portare fino in fondo gli impegni
presi con i suoi creditori. Impegni giusti o sbagliati, non ha
importanza in queste ore. È l'inutilità dello sforzo di lavoratori e
pensionati che va sottolineato, sforzo che non è servito ad arginare non
solo e non tanto il debito, quanto il deficit, sempre maggiore al
previsto.
Nuove misure, allora, che allontanavano l'idea di
giustizia fiscale tanto da renderla una chimera. Intanto il
funzionamento dello Stato non è stato razionalizzato ma bloccato tout
court, attraverso lo smantellamento di autorità di controllo, di scuole,
di organismi di pubblico interesse e, non ultimo, il licenziamento di
30 mila statali. Questi sono solo esempi, chiarificatori, però, del
fallimento sostanziale dei tentativi governativi.
Può essere che la frustrazione abbia portato Papandreou a prendere una decisione che in molti credono suicida. Forse non a torto, almeno in parte. Eppure c'è un dato di cui tener conto,
ossia l'arroganza spesso dimostrata da un Primo Ministro sordo ai
dissensi e che non ha esitato a definire cattivi patrioti coloro che
criticano apertamente le politiche del governo. Nessuna volontà,
pertanto, di procedere a un dialogo sostanziale con le opposizioni,
tutte, non solo quella del centro - destra. Nessuna possibilità di
creare un governo ''di salvezza nazionale'', questo anche per via del
rifiuto dell'opposizione della Nuova Democrazia, nessuna volontà di
andare alle anticipate, come invece chiedono sia i partiti che
l'opinione pubblica.
In questo quadro, la decisione di
indire un referendum appare come l'unica strada percorribile, al fine di
mantenere una parvenza democratica, la cui sostanza, però, è tutt'altro
che il rispetto della volontà elettorale.
Innanzitutto, c'è da chiarire un elemento tecnico circa il referendum stesso.
La Costituzione greca, infatti, non prevede il referendum ma il plebiscito. Un plebiscito che può essere abrogativo o vertere su ''importanti questioni nazionali o sociali''.
Si aggiunga che il
quesito plebiscitario non viene posto da un numero di cittadini ma dal
governo stesso o da 120 deputati, dopo il consenso riconosciuto da 180
di loro.
La legge 4023/2011 prevede che l'opinione espressa
dal voto, sia vincolante per il governo solo se raggiunto il quorum del
50 per cento. Se sarà proprio il governo a formulare la domanda, si può,
pertanto, prevedere che essa venga espressa come un aut aut. O si
accetta il patto del 27 ottobre o la Grecia abbandona, definitamente,
l'Europa della moneta unica.
È, allora, davvero impensabile che i greci votino a favore dell'accordo in questione?
È veramente un atto di follia quello di Papandreou? O è una valutazione
molto accurata, sebben rischiosa, circa la possibilità di convincere la
società greca all'ultimo affondo? Cosa che, peraltro, garantirebbe a
Papandreou la propria sopravvivenza politica.
Sia che
stasera a Cannes, a margine del G20, il Primo Ministro greco convinca i
Merkel, Lagarde, Sarkozy a portare pazienza. Sia che venerdì il governo
vinca la fiducia del Parlamento. Rimangono alcune settimane prima del
voto plebiscitario. Settimane nel corso delle quali il governo avrà
tutto il tempo per fare campagna elettorale e, forse, vincere una
scommessa ad alto rischio. Altissimo, è innegabile.
Quanto ai dissenzienti: meglio che tacciano. Con
la mossa a sorpresa di ieri sera, circa il cambiamento dello stato
maggiore dell'esercito, l'esecutivo greco non palesa paure e timori
golpisti ma ricorda all'opinione pubblica di controllare a pieno le
funzioni vitali dello Stato che governa.
Fonte.
Riassunto: la presa per il culo (ennesima per i greci) è dietro l'angolo.
Siamo ad un passo dal rivedere la penisola dei colonnelli...
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