L'Italia è la nuova «portaerei» di Israele. In meno di dieci anni, un
tassello alla volta, si completa il disegno del puzzle. Strategico,
militare, commerciale e politico. Basta avere la pazienza di intrecciare
notizie, protocolli, fotografie. Oppure seguire le scie degli aerei,
degli appalti e della diplomazia formato Finmeccanica. Tutto funzionale
alla guerra all'Iran?
Caccia israeliani in volo radente sulla Sardegna. Tornado italiani nel
deserto del Negev. Scambi di "carte" tra mercanti d'armi, benedetti
dalla Nato e dai governi (più o meno tecnici). Ecco l'alleanza «a
contratto» fra Roma e Tel Aviv.
Commesse a «somma zero»
Un preliminare «blindato», previsto dalla legge, affidato ai militari.
Chiude il cerchio della «collaborazione» avviata dall'ex ministro della
difesa Antonio Martino. Sacheon, Corea del Sud, gennaio 2012. I vertici
di Korean Aerospace Industries inoltrano l'ultima offerta ai militari
israeliani: 25-30 addestratori Golden Eagle in cambio dei droni con la
stella di David. È un affare da 1,6 miliardi di dollari. Per di più fa
contenti anche gli americani: gli aerei sono firmati Lockheed-Martin e i
robot-volanti servono a spiare la Corea del Nord.
Ilsoo Kim, ambasciatore sudcoreano in Israele, ha reso noto attraverso
le colonne del Jerusalem Post: «Spendiamo 30 miliardi di dollari
all'anno nel settore della difesa». Il governo di Seul sarebbe disposto a
dirottarne almeno 5 in radar e sistemi anti-missile made in Israel. È
quanto provano a spiegare i contractors locali: da mesi giocano di
sponda con i lobbisti al ministero della difesa. Tuttavia, sono manovre
"acrobatiche". L'aeronautica militare israeliana (Iaf) ha diffuso una
nota che tecnicamente chiude la partita. Contiene la raccomandazione
d'acquisto al proprio general staff di 30 addestratori Aermacchi M-346
Master prodotti da Finmeccanica già selezionati da Emirati Arabi e
Singapore. Non è una specifica vincolante per il governo Netanyahu, ma
nel quartier generale di Alenia a Venegono Superiore (Varese) stappano
le bottiglie.
Il 17 febbraio il ministero della difesa israeliano ufficializza il
preliminary agreement con gli italiani. Valore: non meno di 1 miliardo
di dollari. Per Aermacchi è fatta, con relativo ritorno d'immagine buono
per altri due mega-appalti all'orizzonte (Usaf e forze aeree polacche).
Il concorrente da battere è sempre Kai.
Diventa di pubblico domino il prezzo del "successo" di Finmeccanica,
l'altra faccia della medaglia della maxi-commessa bellica vinta dalla
holding controllata dal ministero dell'economia. In cambio degli M-346,
l'Italia dovrebbe acquistare uno stock di prodotti dalle aziende
militari dello Stato ebraico. Per un miliardo di dollari. È una partita a
somma zero. L'affare di Alenia lo pagano i contribuenti.
Emerge il controvalore: l'Italia avrebbe nel mirino due aerei-radar, ma
all'Aeronautica militare fanno gola anche sofisticati sistemi
satellitari, segnalano i quotidiani a Tel Aviv. Particolari tecnici, per
addetti ai lavori, tutt'altro che secondari.
Un passo indietro
Epoca Berlusconi, con il ministero degli esteri affidato a Franco
Frattini. Già nel 2003 scatta la sintonia: il ministro Martino e il
collega israeliano (generale di corpo d'armata) Shaul Mofaz firmano a
Parigi l'accordo di cooperazione Italia-Israele nel settore della
difesa. Scenari integrati tra i due Paesi e piena collaborazione su
tutti i fronti: da licenze, royalties e informazioni tecniche scambiate
«con le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali di
interesse per le parti» normate dalla legge 94/2005, all'«importazione,
esportazione e transito di materiali militari e di difesa» con lo
scambio di informazioni e hardware.
Gli effetti vengono letteralmente fotografati nell'autunno 2011. A
Decimomannu (Cagliari) gli spotter immortalano l'atterraggio di F-16 e
Gulfstream con la stella di David. Ufficialmente, manovre nell'ambito
dell'esercitazione «Vega» condotta con piloti italiani e della Nato.
Missioni non sempre regolari, come risulta dal resoconto stenografico
della seduta della Camera dei deputati del 18 novembre. All'ordine del
giorno, plana l'interdizione al volo comminata da un tribunale militare
israeliano a un pilota Iaf per aver effettuato tonneau a bassa quota.
Sulle coste della Sardegna.
La segnala il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) con un'interrogazione
al ministero della difesa che giusto in quelle ore, cambia: Ignazio La
Russa cede il posto all'ammiraglio Giampaolo Di Paola. La vicenda è
coperta dal programma di cooperazione individuale con Israele ratificato
dalla Nato nel 2008. Di Stanislao però, ricorda che «l'unica potenza
nucleare della regione» rifiuta di firmare il trattato di
non-proliferazione.
Negli stessi giorni, dal sito internet dell'Iaf decollano altri segni
dell'«amicizia» tra Italia e Israele. A disposizione, la cronaca degli
«Hawk over Sardinia» insieme alle dichiarazioni del maggiore Baruch
Shushan, comandante dell'Aerial maintenance formation («Ci siamo
preparati per questo cinque mesi»).
Dopo i sigilli di Erdogan allo spazio aereo turco, le sessioni congiunte
Israele-Nato in Italia sono imprescindibili. Necessarie, anche per lo
stato maggiore dell'Aeronautica; in cambio, partecipa all'esercitazione
«Desert dusk» (5-15 dicembre 2011) facendo decollare dalle basi di
Grosseto, Gioia del Colle e Piacenza 25 caccia che compiono un centinaio
di missioni di volo nei poligoni della base di Ovda, nel deserto del
Negev. Un altro corollario a somma zero.
Convergenze armate
Resta da capire se gli indirizzi strategici che palazzo Chigi impartisce
all'Aeronautica corrispondono ai notam inviati dal governo israeliano
ai suoi piloti. In Sardegna si vola in funzione di obiettivi reali:
l'orografia si presta a missioni precise, l'addestramento risulta sempre
allineato agli scenari «prossimi». Si simula un'operazione militare
alle installazioni nucleari iraniane? Il governo Monti ne è tecnicamente
al corrente?
Un altro dettaglio alimenta i dubbi. Nelle esercitazioni congiunte gli
aerei militari italiani provano i sonic-boom a bassa quota con lo stesso
intento degli alleati israeliani, che lo utilizzano contro la
popolazione palestinese a Gaza?
Comunque, per testare l'inossidabilità del «patto d'acciaio» con Israele
conviene girare nuovamente il binocolo. In parallelo alle manovre
militari, dal 6 ottobre 2009 è operativo un altro fondamentale
corridoio. È il Gruppo di collaborazione parlamentare presieduto dalla
vicepresidente della commissione esteri Fiamma Nirenstein, con Luca
Barbareschi (Pdl), Emanuele Fiano (Pd) e Massimo Polledri (Lega Nord).
Lavori articolati su piani di interscambio finalizzati a solidificare
relazioni bilaterali in campo culturale e scientifico. Un ponte
diplomatico permanente, tra «democrazie occidentali», politicamente a
tutto campo. La cornice istituzionale perfetta per tenere insieme il
quadro affrescato da Finmeccanica.
L'aprile scorso il presidente Monti ha trascorso le vacanze di Pasqua
tra Ramallah e Cesarea, ribadendo il sostegno italiano al piano dei due
popoli in due Stati. Ad Abu Mazen come a Netanyahu ha ricordato la
necessità di superare lo stallo negoziale «facendo il possibile per
scongiurare il ritorno della violenza». Corrisponde al mandato Onu
affidato al generale degli alpini Paolo Serra, che dal 2 gennaio è il
comandante dei 10.988 caschi blu (di 36 Paesi) della missione Unifil nel
sud del Libano.
E qui scatta il cortocircuito: la piena esecutività di accordi, obblighi
e contratti stipulati con Israele compromette di fatto
l'«interposizione» nelle operazioni di peacekeeping. D'ora in poi, sarà
più difficile per i governi, non solo arabi, chiudere un occhio sulla
"cobelligeranza" italiana. Con tutte le conseguenze del caso.
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