1. il Pd si infuria perché vuole il premio almeno al 10% e non accetta la soglia del 40 o del 42,5% per far scattare il premio
2. Si infuria anche Grillo per le stesse
ragioni, invocando la prescrizione europea che interdice ogni modifica
anche parziale delle leggi elettorali in prossimità di elezioni (cosa
peraltro giustissima perché è inammissibile cambiare le regole del gioco
un minuto prima di iniziare la partita)
3. Pdl, Lega ed Udc, invece vogliono un
sistema tendenzialmente proporzionale, con un premio ridotto che
possibilmente non scatti, come non scattò quello della legge-truffa (che
era molto meno truffa del Porcellum e simili, per la verità).
Non ci vuole molto a capire che sia il
Pd che Grillo, incoraggiati da sondaggi e recenti risultati alle
amministrative, pensano ciascuno di arrivare primo, ma sanno di essere
sicuramente sotto il 40%, per cui, per questa occasione, gli va
benissimo il Porcellum che trasformerebbe il loro 25-30% in un ballante e
sonante 54% di seggi (alla Camera), che gli consentirebbe di governare
in solitudine (lasciamo da parte, per ora, il problema del Senato).
Al contrario, sia il Pdl (o quel che ne resta), l’Udc e la Lega sanno di
non avere alcuna probabilità di arrivare primi, sanno di non riuscire a
coalizzarsi e, pertanto, puntano a rendere irraggiungibile il premio
per chi arriverà primo e, quindi, fissano l’asticella alta, oltre il
40%. In questo modo, nessuno avrebbe una maggioranza precostituita e
magari si tornerebbe ad un governo di vasta coalizione: per il Pdl e per
l’Udc questo potrebbe significare la prosecuzione dell’esperimento di
Monti o qualcosa del genere (e lo dicono), mentre per la Lega una grande
coalizione gli lascerebbe il ruolo di unica opposizione di destra.
Morale: ciascuno vuole una legge
elettorale a misura della propria convenienza momentanea, pronto a
cambiare il sistema elettorale la prossima volta, sulla base della
convenienza che avrà allora.
Solo che i sistemi elettorali non si
possono cambiare a piacimento per diverse buone ragioni: in primo luogo
perché, in questo modo, ogni maggioranza parlamentare si ritaglierebbe
il sistema elettorale più favorevole a sé (magari con un particolare
disegno dei collegi –la tecnica si chiama gerrymandering -) e questo
finirebbe di privare di qualsiasi legittimità il Parlamento. In secondo
luogo, il sistema elettorale non è un pezzo a sé stante, ma fa parte di
una architettura costituzionale per cui non si può cambiare a spiovere,
senza che questo abbia ripercussioni negative sul funzionamento
complessivo del sistema. In terzo luogo, il sistema elettorale
contribuisce a dare ai partiti la loro fisionomia ed a selezionare la
classe politica del paese attraverso un processo che non si esaurisce
nel singolo atto elettorale ma si svolge in un arco temporale più lungo,
per cui un mutamento continuo avrebbe l’effetto (ed infatti lo sta
avendo) di ridurre i partiti a momentanee coalizioni elettorali e di
selezionare la classe politica in modo casuale.
Dunque, la legge elettorale –al pari
della Costituzione- non si cambia una volta ogni dieci anni, ma serve
per tempi più lunghi. E, invece, come si vede, la sciagurata riforma
elettorale prodotta dal referendum golpista di Occhetto e Segni ha
prodotto sistemi elettorali che non superano la prova della durata: in
meno di venti anni dall’ adozione del maggioritario stiamo per passare
al terzo sistema elettorale (se la riforma passasse), mentre il
proporzionale è durato per quasi mezzo secolo contribuendo non poco a
stabilizzare la democrazia nel nostro paese.
Il merito del proporzionale è molto
semplice: non introduce nessun elemento di distorsione nella
rappresentanza e dà a ciascuno quello che deve avere secondo il
principio della “giustizia dei numeri”. E questo ha almeno due effetti
positivi. In primo luogo, rispettando la volontà popolare, contribuisce a
combattere il distacco della classe politica dal paese. I sistemi
maggioritari, qualsiasi essi siano (a uno o due turni, su lista bloccata
o con candidature uninominali, con premio di maggioranza o con
correttivi più indiretti) costituiscono una sorta di “ortopedia
politica”, per cui si trasforma una minoranza di elettori in una
maggioranza di eletti e questo ha inevitabilmente l’effetto di creare
una rendita di posizione alla classe politica che, fatalmente accentua
la sua autonomizzazione dalla società civile. La classe politica non è
più motivata a cercare il consenso, gli basta giocare sul solito
argomento del “votami per non far vincere l’altro” e chi non ci sta può
sempre astenersi. E, infatti, dopo 20 anni di maggioritario il tasso di
partecipazione al voto è crollato.
In secondo luogo, la “giustizia dei
numeri” scoraggia i tentativi di manipolazione a vantaggio di uno dei
giocatori creando una situazione di equilibrio non precario. E’ strano come nessuno (spiace dirlo: nemmeno Vendola, Grillo, Ferrero o
Di Pietro) abbia la sensibilità di notare quale devastante
delegittimazione democratica comporterebbe il mantenimento del Porcellum
in una situazione di astensionismo intorno al 50%. Pensiamoci un
attimo: nessuna delle coalizioni o dei singoli partiti si aspetta di
superare il 35%, questo significa che se i votanti saranno intorno al
50%, uno schieramento forte di un 17% reale si aggiudicherebbe il 54%
dei seggi. Vi sembra che un Parlamento così avrebbe qualche credibilità?
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