Dopo una primavera di proteste, segnata dallo sciopero generale del
29 marzo, dalla dura repressione che ne è seguita (1) e dalle numerose
manifestazioni che hanno coinvolto tutti i settori (dall’educazione alla
sanità, dai minatori ai funzionari pubblici fino ai trasporti), durante
l’estate qui in Spagna non si è fatto altro che parlare di un autunno
che sarebbe stato caldo, anzi caldissimo. Siamo ormai ad inizio novembre
e qual è la situazione reale e quali le prospettive future?
Facciamo un passo indietro e vediamo cosa è successo tra settembre ed
ottobre. La questione sociale non ha perso protagonismo:
manifestazioni, concentrazioni e scioperi sono stati all’ordine del
giorno in questi ultimi settanta giorni, soprattutto in settori chiave
come quello dei trasporti (7 scioperi parziali nei metro di Madrid,
Barcellona e Valencia e uno sciopero generale nazionale dei trasporti il
17 settembre) e quello della scuola (giornata di mobilitazione
nazionale l’11 ottobre e scioperi continui con l’appoggio delle famiglie
dal 18 ottobre in avanti).
Un dato che non può stupire tenendo conto che in settembre la
disoccupazione ha superato il 25% arrivando alla quota record di
5.778.000 disoccupati, che in primavera il paese è praticamente stato
“salvato” dal BCE (anche se Rajoy non si è ancora deciso a
ufficializzare la richiesta alle istituzioni europee) e che sta vivendo
un’evoluzione simile a quella greca, che le maggiori banche sono
sull’orlo del fallimento (il caos iniziò a maggio con l’annuncio di
Bankia, presieduta dall’ex gerente del FMI Rodrigo Rato, di un buco di
oltre 23 miliardi di euro) e che il governo del PP sta applicando
politiche draconiane di tagli nel sociale e una serie di durissime
(contro) riforme della sanità, della scuola e del codice penale.
I momenti chiave delle proteste sono stati cinque in questi ultimi due mesi.
Il primo: la manifestazione del 15 settembre contro
le politiche di austerità applicate con estrema durezza dal governo
Rajoy – convocata a Madrid dalla Cumbre Social, ossia dai due maggiori
sindacati spagnoli (CC.OO. e UGT) e da oltre duecento associazioni e
organizzazioni – che ha radunato circa mezzo milione di persone.
Il secondo: l’azione che si è chiamata Rodea el
Congreso (Accerchia il Parlamento) con i suoi strascichi. Il 25
settembre oltre diecimila persone si sono radunate nelle adiacenze del
Parlamento spagnolo a Madrid, convocate dalla Coordinadora 25-S e dalla
Plataforma En Pie. Lo spiegamento di forze dell’ordine è stato notevole
(1.350 uomini) e le cariche della polizia durissime con il palese
utilizzo di infiltrati all’interno dei manifestanti (più di 100 feriti e
una quarantina di arresti, oltre a controlli a tappeto nei giorni
precedenti e successivi). Le immagini di quella che, non a torto, è
stata chiamata brutalidad policial hanno fatto il giro del mondo e hanno
provocato reazioni opposte: se i dirigenti del Partito Popolare al
governo hanno bollato i manifestanti come nuovi golpisti, hanno lodato
pubblicamente l’operato delle forze dell’ordine – arrivando a concedere
una medaglia al merito al capo dell’operazione – ed elogiato “la
maggioranza silenziosa che non manifesta”, i mass media progressisti
spagnoli e stranieri e i movimenti sociali hanno protestato
vigorosamente di fronte alle immagini dei pestaggi indiscriminati a chi
manifestava pacificamente o addirittura ai passanti e ai pendolari
(come all’interno della stazione dei treni di Atocha) (2).
Tanto che nei giorni successivi, il 26 e il 29 settembre, alcune
migliaia di persone si sono nuovamente radunate per protestare contro la
violenza indiscriminata delle forze dell’ordine, le quali hanno
mantenuto il Parlamento sigillato per oltre una settimana.
Nelle stesse giornate, in altri capoluoghi di provincia spagnoli
(soprattutto Barcellona, Oviedo e Siviglia) alcune centinaia di persone
si sono radunate davanti ai rispettivi parlamenti regionali e il 26
settembre uno sciopero generale ha fermato i Paesi Baschi.
Il terzo: la manifestazione internazionale del 13
ottobre “No Debemos, No Pagamos” per protestare contro la “truffa” della
crisi economica ed il problema del debito – ad un anno dalle grandi
manifestazioni del 15 ottobre del 2011 che avevano coinvolto oltre mille
città in tutto il mondo – ha radunato alcune migliaia di persone a
Madrid e a Barcellona. Una manifestazione che si è legata a doppio filo a
una serie di azioni continue contro gli sfratti che da oltre due anni a
questa parte sta coordinando la Plataforma Afectados por la Hipoteca
(letteralmente: “Piattaforma di chi è stato colpito dalla questione
delle ipoteche”). La problematica è cruciale per comprendere la portata
della crisi in Spagna e gli effetti perversi della bolla immobiliare
che ha avuto un’evoluzione simile a quella statunitense: dal 2007 al
2011 in Spagna sono stati eseguiti 349.438 sfratti (si badi bene: di
proprietari di case con un mutuo, e non di persone e famiglie in
affitto) e nel primo semestre del 2012 si è arrivati alla cifra record
di 47.934. Ossia: 526 al giorno. Il dramma è di dimensioni colossali e
si trasforma in beffa quando si viene a sapere che nella sola Catalogna
ci sono più di 80 mila appartamenti nuovi sfitti, in mano ai grandi
istituti bancari (Bankia, CatalunyaCaixa, La Caixa, ecc.) che hanno
chiesto forti iniezioni di liquidità in questi ultimi otto mesi per non
dover dichiarare bancarotta.
Ma la notizia, come spesso succede, non si legge sulla maggior parte
dei giornali, tranne quando il dramma si trasforma in tragedia. Come
la settimana scorsa, quando un uomo che stava per essere sfrattato si è
suicidato a Granada gettandosi dalla finestra.
Il quarto: le nuove concentrazioni che il 23 e il 27
ottobre hanno radunato migliaia di persone davanti al Parlamento
spagnolo a Madrid. Il 23 ottobre, infatti, il Parlamento spagnolo – dove
il Partito Popolare, lo ricordiamo, ha la maggioranza assoluta – ha
iniziato a discutere la nuova finanziaria che prevede tagli spaventosi a
quello che rimane del Welfare State, nella logica dell’austerità
neoliberista imposta dal FMI, dalla BCE e dalla UE. Solo per dare
qualche dato: i finanziamenti alla Sanità diminuiranno del 22,6%, quelli
ai sussidi di disoccupazione del 6,3%, quelli alle borse di studio del
3,8% (nel complesso, il settore dell’istruzione ha perso il 31% dei
finanziamenti rispetto al 2011), i Comuni avranno il 40% in meno dei
finanziamenti per i servizi sociali municipali, gli aiuti ai settori
della cooperazione e dello sviluppo perdono il 23% e il settore della
cultura avrà circa il 20% in meno di finanziamenti per musei,
biblioteche, archivi, teatri e filmoteche.
Il quinto: lo sciopero generale convocato dalla CGT
(sindacato anarchico) il 31 ottobre che ha avuto una discreta
partecipazione, soprattutto a Barcellona, e che è stato organizzato come
una sorta di anticipo del secondo sciopero generale statale del
prossimo 14 novembre contro la nuova finanziaria del governo. Uno
sciopero, quello del 14 novembre, convocato da tutti i sindacati e appoggiato
da centinaia di associazioni, organizzazioni e piattaforme attive nel
sociale e che acquisterà ancora maggiore importanza per la sua
dimensione internazionale: anche in Grecia, Portogallo, Cipro e Malta
sono stati convocati per quello stesso giorno degli scioperi generali e
in Italia e Germania ci saranno manifestazioni e scioperi, anche se di
minore portata.
Però, la grande novità dell’autunno spagnolo del
2012 è stato il protagonismo che ha assunto la questione nazionale. Un
protagonismo che ha stupito solo fino a un certo punto per chi conosce
la realtà spagnola, l’attuale situazione di gravissima crisi e le
tensioni centrifughe che la riguardano. E che si è legata agli
importanti appuntamenti elettorali in Catalogna, Paesi Baschi e Galizia.
Aspettative e risultati sono stati diversi e delineano uno scenario
piuttosto complesso.
In Galizia, nelle elezioni del 21 ottobre, il Partito Popolare – che
era stato al governo nell’ultimo triennio – ha ottenuto addirittura la
maggioranza assoluta, passando da 38 a 41 seggi (pari al 45% dei voti),
confermando Feijóo come presidente del Parlamento regionale e facendo
tirare un sospiro di sollievo a Rajoy. Il PSOE è crollato, passando da
25 a 18 seggi e perdendo circa la metà dei voti. La stessa sorte è
toccata al BNG (nazionalismo gallego), passato da 12 a 7 seggi. La vera
novità è invece l’ingresso in Parlamento dell’Alternativa Galega de
Esquerda (AGE), una formazione nata a inizio settembre, frutto
dell’alleanza della federazione gallega di Izquierda Unida, di Equo
(piccolo partito ecologista di recente formazione) e di ANOVA, che
raccoglie il nazionalismo gallego di sinistra, in parte uscito dal BNG.
Guidato da Xosé Manuel Beiras, un settantacinquenne dalla lunga carriera
parlamentare proprio nelle fila del BNG, AGE è diventata il terzo
partito con il 14% dei voti e 9 deputati nel Parlamento regionale.
Nei Paesi Baschi la situazione è stata ben diversa nelle elezioni
celebrate lo stesso 21 ottobre. Il PSOE, che aveva governato in
minoranza con l’appoggio del PP in una sorta di grosse koalition dal
2009 a questa parte, si è preso una batosta notevole, perdendo 100 mila
voti, passando dal 30 al 18, 8% e da 25 a 16 deputati. Anche il PP ha
perso voti (dal 13,9 all’11,6%) e seggi (da 13 a 10). Il partito più
votato è stato ancora il PNV (nazionalisti baschi di destra), che ha
però perso voti (dal 38,1 al 34,1%) e seggi (da 30 a 27). Il vero
vincitore di queste elezioni basche è stato EH Bildu, il nuovo partito
della sinistra indipendentista basca nato nel 2011 dall’alleanza di vari
settori della sinistra abertzale. Grazie alla buona amministrazione
dimostrata nell’ultimo anno e mezzo nella provincia di San Sebastián e
alla dichiarazione della fine della lotta armata da parte di ETA
dell’ottobre del 2011, EH Bildu è diventato il secondo partito dei Paesi
Baschi, ottenendo il 24,6% dei voti e 21 deputati. La cosa più
probabile è che il PNV governi in minoranza, con la ricerca
dell’appoggio esterno dei socialisti e/o di EH Bildu.
Ancora diversa e ben più complessa la situazione in Catalogna. Le
elezioni saranno il 25 novembre e
Convergencia i Unió (CiU), il partito
catalanista di destra, punta alla maggioranza assoluta. Alla fine di
settembre il presidente Artur Mas ha sciolto anticipatamente il
Parlamento catalano ed ha convocato nuove elezioni dopo solo due anni,
in cui ha governato in minoranza con l’appoggio del PP (stessa modalità
attuata nella provincia e nel comune di Barcellona, persi per la prima
volta in trent’anni dai socialisti). Dal novembre del 2010 CiU ha
applicato come e più del governo di Rajoy le ricette neoliberiste,
provocando proteste continue soprattutto nei settori della sanità, della
scuola e dell’università. Tra il novembre del 2010 e l’ottobre del
2011, i finanziamenti della Generalitat de Catalunya alla sanità sono
diminuiti del 10,5%, quelli all’istruzione dell’11,5%, quelli
all’università del 16% e quelli alla cooperazione e allo sviluppo del
61%. Dati che fanno impallidire. Soprattutto se si affiancano ai
numerosi casi di corruzione che riguardano importanti dirigenti di CiU
(come Oriol Pujol, il segretario generale di CDC) e alla richiesta di
salvataggio del Governo catalano (al pari di molte altre regioni
autonome spagnole) alla Banca Centrale Spagnola, ufficializzata a fine
luglio e che ha superato largamente i 5 miliardi di euro.
Il punto è però che Artur Mas sarà il grande vincitore delle prossime
elezioni e potrà, molto probabilmente, governare per i prossimi quattro
anni senza la necessità di accordi puntuali con altri partiti. Il
fattore che spiega questa situazione apparentemente surrealista è la
centralità che ha assunto la questione nazionale: le rivendicazioni
catalaniste si sono poco a poco convertite in rivendicazioni
secessioniste e CiU ha saputo giocare bene le sue carte, cavalcando
l’onda indipendentista e scaricando tutte le responsabilità su Madrid,
che “ruba i soldi” ai catalani. Il momento algido è stata la
manifestazione dell’11 settembre, festa nazionale in Catalogna, quando
oltre un milione di catalani sono scesi in piazza dietro ad uno
striscione in cui campeggiava la scritta “Catalogna, nuovo Stato
d’Europa”. (3) Un dato che fa riflettere se si tiene conto che la
popolazione residente in Catalogna supera di poco i 7 milioni e se lo si
compara con le poche migliaia di persone che hanno manifestato davanti
al Parlamento spagnolo tra fine settembre e fine ottobre.
Il nazionale pare aver soppiantato il sociale o,
quanto meno, averlo scavalcato. La campagna elettorale catalana difatti è
incentrata solo sull’essere o no a favore dell’indipendenza e se una
Catalogna indipendente farebbe o no parte dell’UE. Un sondaggio del
Centro di Studi d’Opinione della Generalitat de Catalunya – i cui metodi
sono stati più volte criticati – pubblicato il 6 novembre da La
Vanguardia – quotidiano barcellonese che si è convertito in megafono del
governo catalano – da la maggioranza assoluta a CiU (67-71 seggi) e
conferma la dura débacle del Partito socialista (da 28 a 15 seggi), che
diventerebbe il terzo partito in Catalogna, superato anche dal PP che si
manterrebbe sui 18 seggi e incalzato da Esquerra Republicana de
Catalunya (ERC), partito indipendentista di sinistra, con 14 seggi. ICV,
la sinistra catalana figlia del PSUC, da sempre favorevole a un sistema
federalista, ma ora tentata dall’opzione secessionista, manterrebbe i
suoi 10 deputati. Passerebbe da 3 a 6 deputati, invece, Ciutadan’s,
formazione anti-indipendentista nata nel 2006 che è scivolata poco a
poco sempre più verso il centro destra, e potrebbero entrare in
Parlamento le CUP (Candidaturas d’Unitat Populars), un movimento di
sinistra anti-capitalista fortemente indipendentista e pancatalanista.
Che conclusioni si possono trarre da tutto ciò?
1. il movimento del 15-M, i cosiddetti indignados, si è sgonfiato
dopo aver scombussolato il panorama e l’agenda politica spagnola nella
primavera del 2011. Però parte di questo movimento si è spostato dalle
piazze ai quartieri, dove assemblee e piattaforme si sono radicate nel
locale e lavorano quotidianamente su problemi e questioni precise (gli
sfratti, l’assistenza ai senza tetto e agli immigrati, la questione del
debito, ecc.) (4). Le grandi azioni e manifestazioni pare che abbiano
fatto il loro tempo, ma, come hanno dimostrato le concentrazioni e le
azioni di fine settembre e di fine ottobre il movimento non si è sciolto
come neve al sole ed ha creato un nucleo cosciente ed attivo di giovani
(ma non solo di giovani). Non è poco.
2. Le grandi centrali sindacali – che con la nuova finanziaria
perderanno oltre il 20% dei finanziamenti pubblici – si sono finalmente
riattivate, rompendo la “pace sociale” vigente (sciopero generale del 29
marzo e del prossimo 14 novembre) e cercando di allacciarsi ai
movimenti cittadini sorti in questi ultimi anni (creazione della Cumbre
Social). È un processo complesso per dei sindacati piuttosto anchilosati
e burocratizzati come quelli spagnoli, ma può aprire nuovi spiragli per
la creazione di una massa critica.
3. La socialdemocrazia spagnola sta vivendo la sua maggiore crisi
dalla fine del franchismo. È finito lo zapaterismo con troppe speranze
irrealizzate e con l’improvvisa discesa agli Inferi della crisi
economica. Il PSOE è ai suoi minimi storici e pare che ancora non abbia
toccato il fondo: mancano nuovi dirigenti e Rubalcaba, uomo di governo
da troppi anni, non è la persona capace di avviare un cambio decisivo.
Tra le elezioni politiche generali del novembre del 2011 e le regionali
di quest’autunno il PSOE ha perso quasi la metà dei voti rispetto al
periodo 2006-2008.
4. La sinistra spagnola sta ottenendo maggiori consensi (Izquierda
Unida è passata da 3 a 11 deputati nel Parlamento spagnolo nel novembre
del 2011) e sta cercando nuove strade: dal rafforzamento di una proposta
di Spagna federale e da una maggiore attenzione ai movimenti sociali
(IU) alle proposte nazionaliste di sinistra nei diversi contesti
regionali (la crescita esponenziale di EH Bildu nei Paesi Baschi,
l’ingresso nel Parlamento gallego come terzo partito di AGE e il
probabile ingresso nel Parlamento catalano della CUP) fino alla nascita
di nuove piattaforme e organizzazioni sociali, come l’interessante
Frente Cívico di Julio Anguita, ex coordinatore di IU negli anni
Novanta.
5. Al contrario degli altri paesi europei, la crisi non sembra
colpire la destra al governo: il Partito Popolare non ha quasi perso
voti ed anzi è uscito rafforzato dalla vittoria in Galizia, mentre la
destra catalanista di CiU ha a portata di mano la maggioranza assoluta
nelle prossime elezioni del 25 novembre. L’aver fomentato i rispettivi
nazionalismi – quello spagnolo da parte del PP e quello catalano da
parte di CiU – ha aiutato parecchio ed è stato e continua ad essere
un’ottima maniera per sostenersi mutuamente, affossando le posizioni
dialoganti e intermedie (vedasi il PSOE), ma di per sé non può spiegare
come chi da uno e due anni, rispettivamente, sta distruggendo il Welfare
State spagnolo non venga rimandato a casa dai cittadini, un quarto dei
quali è senza lavoro.
6. La questione nazionale è entrata prepotentemente nel dibattito,
facendo passare in secondo piano la questione sociale. Semplice
specchietto per le allodole? In parte parrebbe di sì, vista anche la
maniera in cui determinati mass media la stanno utilizzando a fini
elettorali sia a Madrid che a Barcellona. Ma non solo. La Costituzione
approvata nel 1978 durante la transizione dal franchismo alla democrazia
dovrebbe essere aggiornata, trasformando quello che si chiamò Estado de
las autonomías in un sistema federale asimmetrico. Resta il fatto però
che sventolare bandiere nazionali e cercare un colpevole nell’Altro non è
buon segno. È proprio il suo contrario. Soprattutto in momenti di grave
crisi. Una crisi economica, ma anche sociale, politica e culturale, che
ha bisogno di proposte serie, di riflessioni coraggiose e di buon
senso. Ma, di questo, nella classe politica catalana e in quella
spagnola pare proprio essercene poco.
Riferimenti:
1)Vedasi il bel punto della situazione che ne fece Laura Orlandini,
“Tempi duri a Barcellona”, Rivista anarchica, n. 373, estate 2012
(consultabile on-line: http://anarca-bolo.ch/a-rivista/373/40.htm)
2)Come ben testimonia questo video pubblicato dall’edizione on-line del quotidiano El País: http://www.youtube.com/watch?v=2MP5hQAr0R0
3)Vedasi il mio “Catalogna: nuovo Stato d’Europa?”, Il Corriere del
Trentino, 16 settembre 2012. Ora ripubblicato su Politica Responsabile: http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/853/catalogna-nuovo-stato-deuropa.html
4)Una dinamica ben visibile già a partire dal settembre del 2011.
Vedasi, la mia serie di articoli “Cosa succede in Spagna?” pubblicata
sulla rivista on-line Politica Responsabile e soprattutto la cronistoria
del movimento del 15-M consultabile al seguente indirizzo http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/342/cosa-succede-in-spagna-lettera-da-barcellona-v.html
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