Cosa nostra è stata cosa sua: “Mi chiamo Gaspare Mutolo,
sono nato a Palermo il 5 febbraio 1940, nel quartiere di Pallavicino e
sono cresciuto tra i vicoli di Mondello e Partanna. Sono un collaboratore di giustizia. Voglio raccontare la mafia, di cui ho fatto parte, combinato nel 1973, fino al 15 agosto del 1991″. È l’incipit di un libro di memorie – “La mafia dentro” – che Mutolo sta ultimando insieme alla scrittrice Anna Vinci. Le Regionali in Sicilia,
il pentito Mutolo le legge così: “Se la mafia voleva, faceva andare a
votare e mettere in minoranza a Crocetta, un uomo onesto che ha sempre
lottato alla mafia. Ma ha lasciato che vincesse, per mandare un
messaggio a Pdl e Udc. I boss si sono sentiti traditi”.
Mutolo, da cosa si sono sentiti traditi i mafiosi?Dalle
promesse non mantenute. I loro beni sono stati, in parte, confiscati. I
padrini sono da vent’anni dentro, gli uomini più importanti al carcere
duro: mi spiego?
Crocetta ostacolerà la mafia: non è un controsenso?
No,
perché Crocetta non se la prenderà solo con le coppole storte, ma anche
con i referenti politici. Io ho paura che ci sarà una stagione più
violenta di quella del ‘92-‘93. L’unica speranza è Crocetta: se riesce
veramente a fare pulizia, può darsi che la Sicilia si salvi.
La mafia si sta organizzando?
Questo
silenzio – che non succedono cose, che non ci sono omicidi – era una
direttiva di Provenzano, poco prima di essere arrestato: stare sette
anni senza fare rumore. Se lo Stato non riesce a dare una svolta, molti
personaggi importanti che stanno a Roma, avranno cose da temere: avevano
garantito che per i siciliani sarebbe andata diversamente. Se torniamo
indietro, sappiamo perfettamente che la mafia si muove sempre per un
interesse vitale. Il primo segnale c’era stato nell’87, quando la mafia
smise di votare per la Democrazia cristiana e scelse i socialisti:
nell’84 era nato il maxi-processo, e dopo tre anni erano ancora tutti
dentro. Quello era un messaggio alla Dc che perdeva tempo, diceva ai
boss di avere pazienza.
Lei se lo ricorda?
Alle
famiglie, sia quelle di sangue che quelle di mafia, ci comandarono di
votare Psi. Io ero nel carcere all’Ucciardone per il maxi-processo.
Venne da me Peppe Leggio e mi disse: “Gaspare tu dici alla tua
famiglia che vota per i socialisti”. A lui sicuramente glielo aveva
detto qualche personaggio più importante.
Poi è caduta la Prima Repubblica.
Visto
che sono collaboratore di giustizia, ho potuto ascoltare
un’intercettazione ambientale, in cui si sentivano parlare alcuni boss
riuniti in un albergo dei Graviano. Ancora non era nata Forza Italia che
già parlavano di sostenerla: cercavano i nuovi referenti, dopo la fine
della DC.
Perché dice che la situazione oggi è preoccupante?
La
mafia in Sicilia è in condizioni di pilotare ancora – ma veramente – il
voto, con le buone o con le maniere sue. Cosa nostra sa bene a che
livello è la collusione con la politica, quindi secondo me i mafiosi
hanno permesso di vincere a Crocetta per dire ai signori politici che
stanno a Roma: guardate che questo a noi ci ha sempre combattuto, ma ora
cercherà di combattere anche a voi. Loro parlano così. La morte di Enzo
Fragalà, avvocato e deputato del Pdl ucciso a bastonate nel 2010,
secondo me è stato uno degli ultimi omicidi della mafia, ed è stato
l’ennesimo avvertimento. Questa delle regionali è un’avvisaglia per
le elezioni nazionali. I politici cambiano partito, ma gli uomini sono
sempre gli stessi. E quando si voterà per il nuovo governo e per le
Camere, se non ci saranno provvedimenti favorevoli ai boss, come – mi
ripeto, ma è molto importante – è stato promesso vent’anni fa, si
avvierà una stagione ancora più violenta.
Ha votato solo lo 0,6 per cento dei detenuti. In tutte le carceri siciliane. Lirio
Abbate ha scritto sull’Espresso : “All’istituto di pena di Pagliarelli
di Palermo dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300 detenuti solo
uno si è presentato al seggio elettorale, ed è in custodia cautelare per
reati che non sono di mafia”.
Che significato ha l’astensione dei detenuti? È
un sintomo coerente con la mia lettura. L’ordine è stato categorico,
evidentemente. Quelli che non hanno votato sono controllati dalla mafia.
E ora la mafia spera che i politici hanno una reazione. I voti della
mafia sono stati fermi, per adesso . Vede, così a lungo i mafiosi non ci
sono stati mai dentro, soprattutto con questo regime duro del 41-bis.
Per loro è una cosa inaccettabile. Dell’Utri, Schifani, Berlusconi sono
ancora nei posti chiave: i pezzi da novanta vogliono mandare un
messaggio. Prova ne sia che c’è ancora il processo sulla trattativa e
sappiamo quali sono le richieste della mafia.
Come funzionava il voto di scambio, finché lei era mafioso?
Ci
sono quelli che fanno i grandi affari, che sono il perno di tutto.
Hanno detto a Milano che la ‘ndrangheta ha venduto i voti a
quell’assessore: ma quelle sono sciocchezze, regalini. Le cose
importanti, che importano a tutte le mafie, sono i grandi appalti, i
business veri, i soldi che possono arrivare. Mafia e politica si sono
sempre sostenute a vicenda, perché avevano interessi comuni.
Lei aveva rapporti con i politici?
Mi
trovavo ad andare da qualche politico, come Ernesto Di Fresco o
l’onorevole Matta, amicissimo di Lima e Ciancimino. Ci andavo perché
volevo segnalare una persona che m’interessava, per un concorso
all’università o in ospedale. In queste occasioni, loro parlavano anche
di politici, carabinieri o magistrati che davano disturbo. Ma
attenzione: non è che dicevano “sparategli”. Di Fresco mi fece il nome
di Dalla Chiesa, che andava dagli studenti a parlare di mafia e faceva i
controlli nelle autoscuole, perché non venisse concesso il foglio rosa
ai mafiosi. Più che lamentele, erano consigli.
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