Quello che non riesce in Italia accade in Serbia. I lavoratori Fiat
dello stabilimento di Kragujevac hanno vinto la loro vertenza e ottenuto
un aumento salariale del 13%. La compattezza e la determinazione dei
2.500 operai serbi sembra aver avuto la meglio. Anche perché a
Kragujevac si produce la 500L, modello di punta nelle strategie di
Marchionne. L'intesa ha validità a partire da ottobre e riguarda anche
il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in
due rate per complessivi 36 mila dinari (350 euro circa).
Il bello, però, è che la vertenza operaia potrebbe
continuare, perché raggiunta l'intesa sulla parte salariale resta lo
scontro in materia di orario di lavoro. Nel luglio scorso, in
concomitanza con l'avvio della produzione della nuova vettura, i
sindacati serbi avevano accettato di sperimentare per un periodo di sei
mesi due turni giornalieri di dieci ore per quattro giorni alla
settimana. Alla lunga, però, la sperimentazione oraria si è scontrata
con la vita reale e gli operai hanno iniziato a lamentarsi per i turni
massacranti. La richiesta ora, è quella di reintrodurre il vecchio turno
di otto ore giornaliere su due turni settimanali (dalle 6 alle 14 o
dalle 14 alle 22). “La nostra ferma richiesta è stata la reintroduzione
dei turni di otto ore, in quanto quelli da dieci ore si stanno rivelando
insostenibili per gli operai", ha spiegato Zoran Mihajlovic, presidente
del principale sindacato dei lavoratori Fiat. Anche perché, per
sostenere gli ordini, particolarmente positivi per quanto riguarda la
500, gli operai non si sono limitati alle dieci ore ma hanno dovuto
effettuare straordinari con giornate di lavoro di 12 ore spesso
arrivando anche al quinto giorno settimanale. E questo a fronte di una
retribuzione compresa tra i 30.000 e i 34.000 dinari mensili (circa 300
euro), di gran lunga inferiore a quella italiana, ma anche molto più
bassa della retribuzione che spetta agli operai polacchi che guadagnano
circa 800-900 euro mensili (comprensivi degli straordinari).
Quello che colpisce, però, è la novità della
mobilitazione operaia all'interno del gruppo Fiat dove regna la pace
ormai da diversi anni. Negli Usa gli operai vengono da una fase di
profonda ristrutturazione dopo il fallimento della Chrysler e il
salvataggio a opera di Obama. In Europa, invece, la paura della crisi e
della chiusura degli stabilimenti ha finora bloccato le rivendicazioni
dei lavoratori. Come dimostra il caso italiano.
In Serbia, però, sembra aver pesato la durezza delle condizioni
lavorative già documentate dal Fatto Quotidiano nell'inchiesta di
Vittorio Malagutti. Una settimana di 48 ore in un paese in cui la
disoccupazione è al 25%. Anche per questo il governo serbo ha di fatto
regalato lo stabilimento in cui si costruiva la famosa Zastava – l'auto
di Tito, prodotta fin dal 1954 – agli Agnelli con un finanziamento di
400 milioni di euro, la concessione dei terreni e l'istituzione di una
zona franca sul piano fiscale e contributivo. In realtà, dopo le
promesse, il governo di Belgrado, che è socio al 33% della Fiat, ha
avuto molte difficoltà a onorarle soprattutto dopo il cambio
dell'esecutivo. Al posto del liberale Todic è arrivato il nazionalista
moderato Nikolic che si è spostato verso la Russia di Putin. E così,
nell'agosto scorso, il Lingotto ha dovuto protestare per il ritardo
degli aiuti di Stato. “La pazienza della Fiat sta finendo” scriveva
l'azienda . “Innanzitutto lo Stato (serbo) in qualità di comproprietario
della fabbrica, deve ancora 60 milioni di euro” spiegava la nota
aziendale. Inoltre si faceva notare “un sostanziale ritardo dei lavori
di costruzione del nuovo bypass stradale intorno a Kragujevac, così come
della nuova bretella di congiunzione della città all'autostrada
Belgrado-Nis (sud)”, il principale asse stradale del Paese.
Ai problemi con il governo ora si aggiungono quelli
con i lavoratori in una delocalizzazione che, a quanto pare, si
preannuncia più difficile di quanto previsto.
In Italia, invece, resta alta la tensione attorno al caso di Pomigliano
su cui ieri è intervenuto il segretario del Pd, Bersani. “In tv non
fanno più vedere una fabbrica a meno che gli operai non sono sui tetti.
Bisogna tornare a occuparsi di politica industriale” è il messaggio che
il leader Pd ha rivolto al governo. ”Fossi nel governo chiamerei
Marchionne e mi farei spiegare come mai i piani sono cambiati” ha
aggiunto. A Pomigliano, intanto, è andato in scena un altro pezzo della
protesta con il corteo indetto dai Cobas a cui si sono aggiunti gli
studenti delle scuole superiori. Alcune centinaia hanno sfilato per il
centro lanciando vernice rossa contro la sede della Uilm e del Banco di
Napoli.
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