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12/11/2012

Gli operai serbi piegano Marchionne

Quello che non riesce in Italia accade in Serbia. I lavoratori Fiat dello stabilimento di Kragujevac hanno vinto la loro vertenza e ottenuto un aumento salariale del 13%. La compattezza e la determinazione dei 2.500 operai serbi sembra aver avuto la meglio. Anche perché a Kragujevac si produce la 500L, modello di punta nelle strategie di Marchionne. L'intesa ha validità a partire da ottobre e riguarda anche il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in due rate per complessivi 36 mila dinari (350 euro circa).

Il bello, però, è che la vertenza operaia potrebbe continuare, perché raggiunta l'intesa sulla parte salariale resta lo scontro in materia di orario di lavoro. Nel luglio scorso, in concomitanza con l'avvio della produzione della nuova vettura, i sindacati serbi avevano accettato di sperimentare per un periodo di sei mesi due turni giornalieri di dieci ore per quattro giorni alla settimana. Alla lunga, però, la sperimentazione oraria si è scontrata con la vita reale e gli operai hanno iniziato a lamentarsi per i turni massacranti. La richiesta ora, è quella di reintrodurre il vecchio turno di otto ore giornaliere su due turni settimanali (dalle 6 alle 14 o dalle 14 alle 22). “La nostra ferma richiesta è stata la reintroduzione dei turni di otto ore, in quanto quelli da dieci ore si stanno rivelando insostenibili per gli operai", ha spiegato Zoran Mihajlovic, presidente del principale sindacato dei lavoratori Fiat. Anche perché, per sostenere gli ordini, particolarmente positivi per quanto riguarda la 500, gli operai non si sono limitati alle dieci ore ma hanno dovuto effettuare straordinari con giornate di lavoro di 12 ore spesso arrivando anche al quinto giorno settimanale. E questo a fronte di una retribuzione compresa tra i 30.000 e i 34.000 dinari mensili (circa 300 euro), di gran lunga inferiore a quella italiana, ma anche molto più bassa della retribuzione che spetta agli operai polacchi che guadagnano circa 800-900 euro mensili (comprensivi degli straordinari).

Quello che colpisce, però, è la novità della mobilitazione operaia all'interno del gruppo Fiat dove regna la pace ormai da diversi anni. Negli Usa gli operai vengono da una fase di profonda ristrutturazione dopo il fallimento della Chrysler e il salvataggio a opera di Obama. In Europa, invece, la paura della crisi e della chiusura degli stabilimenti ha finora bloccato le rivendicazioni dei lavoratori. Come dimostra il caso italiano.
In Serbia, però, sembra aver pesato la durezza delle condizioni lavorative già documentate dal Fatto Quotidiano nell'inchiesta di Vittorio Malagutti. Una settimana di 48 ore in un paese in cui la disoccupazione è al 25%. Anche per questo il governo serbo ha di fatto regalato lo stabilimento in cui si costruiva la famosa Zastava – l'auto di Tito, prodotta fin dal 1954 – agli Agnelli con un finanziamento di 400 milioni di euro, la concessione dei terreni e l'istituzione di una zona franca sul piano fiscale e contributivo. In realtà, dopo le promesse, il governo di Belgrado, che è socio al 33% della Fiat, ha avuto molte difficoltà a onorarle soprattutto dopo il cambio dell'esecutivo. Al posto del liberale Todic è arrivato il nazionalista moderato Nikolic che si è spostato verso la Russia di Putin. E così, nell'agosto scorso, il Lingotto ha dovuto protestare per il ritardo degli aiuti di Stato. “La pazienza della Fiat sta finendo” scriveva l'azienda . “Innanzitutto lo Stato (serbo) in qualità di comproprietario della fabbrica, deve ancora 60 milioni di euro” spiegava la nota aziendale. Inoltre si faceva notare “un sostanziale ritardo dei lavori di costruzione del nuovo bypass stradale intorno a Kragujevac, così come della nuova bretella di congiunzione della città all'autostrada Belgrado-Nis (sud)”, il principale asse stradale del Paese.

Ai problemi con il governo ora si aggiungono quelli con i lavoratori in una delocalizzazione che, a quanto pare, si preannuncia più difficile di quanto previsto.
In Italia, invece, resta alta la tensione attorno al caso di Pomigliano su cui ieri è intervenuto il segretario del Pd, Bersani. “In tv non fanno più vedere una fabbrica a meno che gli operai non sono sui tetti. Bisogna tornare a occuparsi di politica industriale” è il messaggio che il leader Pd ha rivolto al governo. ”Fossi nel governo chiamerei Marchionne e mi farei spiegare come mai i piani sono cambiati” ha aggiunto. A Pomigliano, intanto, è andato in scena un altro pezzo della protesta con il corteo indetto dai Cobas a cui si sono aggiunti gli studenti delle scuole superiori. Alcune centinaia hanno sfilato per il centro lanciando vernice rossa contro la sede della Uilm e del Banco di Napoli.

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