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27/11/2012

Primarie, sempre meno votanti nonostante l’iniezione fatale di realtà aumentata

“Dovunque regni lo spettacolo, le uniche forze organizzate sono quelle che vogliono lo spettacolo”. Questa frase dei Commentari di Guy Debord va interpretata in modi differenti, diversi anche dalle intenzioni dell’autore. Debord metteva l’accento su come differenti forze dello spettacolo si contendessero il dominio, per operare politiche del tutto simili, nella società dello spettacolare integrato. Società che altro non era che un dispositivo di potere coordinato tra concentrazione di potere nella produzione di significati spettacolari e diffusione microfisica dei suoi effetti. Qui Debord, interpretato meno alla lettera e in toni meno apocalittici, faceva capire come nelle società contemporanee la coesione politica, e anche quella sociale di qualunque segno, non possa essere separata da quella spettacolare. Il possesso  di una evoluta logistica dello spettacolo è quindi garanzia di potere politico ma anche della riuscita di quello spettacolo che rappresenta il campo di forza della coesione sociale. Fa politica chi è in grado di mettere assieme spettacolo e logistica intesi come tecnologie della creazione e del mantenimento del campo di forza della coesione sociale. Un quarto di secolo dopo i Commentari, con l’esplosione di diverse generazioni di tecnologie della comunicazione, vanno rivisti sia i concetti di spettacolo che di logistica in rapporto alla politica istituzionale.

Le primarie di centrosinistra rappresentano quindi un buon punto di osservazione dei cambiamenti di questi concetti. E questi cambiamenti sono il vero dato politico delle primarie visto che il grosso delle politiche su lavoro, fisco, bilancio in Italia (quello che sarebbe il nucleo di un programma elettorale) passa tra Ecofin, eurogruppo e Bce e le  esigenze di un sistema bancario europeo in preda a tossicità di ogni genere. Tutti temi solo minimamente sfiorati alle primarie, cosa che ha contribuito a renderle uno spettacolare integrato, di una nuova generazione, ma del genere “strapaese inconsapevole della politica”. Genere che, nato per contrastare la cosiddetta antipolitica, alimenta così i processi di regressione cognitiva dell’elettorato che ha partecipato all’evento. Siamo quindi di fronte a mutazioni tali, nella rappresentazione della coesione sociale tramite una matura logistica della cosiddetta partecipazione democratica, da farci pensare che all’elettorato di centrosinistra sia stata data una iniezione letale di realtà aumentata da renderlo politicamente e socialmente morto.

Guardiamo di capirle queste mutazioni. Partiamo dal concetto di realtà aumentata. La augmented reality non è la realtà virtuale, non è un ambiente di immissione in un reale del tutto diverso da quello convenzionale. E’ piuttosto un corpo di tecnologie, già in atto da tempo ed in permanente evoluzione, che sovrappone la realtà digitale a quella convenzionale. Lo smartphone, ancora più del tablet a causa della sua maggiore praticità, è il terreno sul quale si sviluppa la realtà aumentata. Il modello è quello dello smartphone inteso come occhio attraverso il quale la realtà convenzionale può essere, nel momento in cui è percepita, aumentata di segni, indicazioni, strumenti di lettura, di relazione e di orientamento. L’archetipo di questo modello è Google Maps montato a suo tempo sull’iPhone 3. Gli sviluppi possibili di questo archetipo sono ovviamente infiniti. Eventi come le primarie ci mostrano la produzione di una realtà aumentata in politica che è un fenomeno differente, un’evoluzione dello spettacolare integrato di Debord. In quest’ultimo lo spettacolo era un fenomeno, di rappresentazione del mondo annullata nelle immagini tradizionali del cinema e della tv, concentrato nei poteri che lo governavano e diffuso nell’eco della narrazione sociale. Oggi, la produzione di segni, indicazioni, strumenti di lettura, relazione ed orientamento della realtà aumentata, che ha lo smartphone come paradigma, diviene strategico nella produzione di contenuti nella politica istituzionale. Non è un dato alla moda ma un preciso tratto antropologico: alla personalizzazione dell’offerta politica, il candidato che mette in ombra i contenuti (che comunque politicamente, come abbiamo visto, non ci sono), corrisponde la possibilità di personalizzare dati e indicazioni dei candidati sui propri oggetti privati di comunicazione. Che, in questo modo, permettono di vedere la realtà in modo diverso, aumentata in contenuti. L’uso non solo massiccio ma ostentato di twitter nelle primarie di centrosinistra mostra l’adeguamento di questo genere di politica istituzionale a questo paradigma. Gli stessi successi di Renzi, che ha usato in modo più evoluto strategie di penetrazione digitale nelle zone del paese dove il digital divide è minore rappresentano un segnale in questa direzione.

Le primarie: una regressione antropologica che nega la democrazia

Il genere di spettacolare integrato prodotto dal centrosinistra è quindi un tipo di spettacolo dove la coesione sociale ed elettorale è operata attraverso l’estetica, assieme alle tecnologie, della realtà aumentata. Lo stesso spettacolo originario, la serata su Sky, che serve anche per alimentare le altre forme di coesione spettacolare, le più tradizionali, ha assunto tratti significativi di questa estetica. Segnatempo marcati ovunque come in un tablet o in uno smartphome, candidati rappresentati entro un format personalizzabile.
Le primarie rappresentano quindi una revisione del concetto di spettacolo ma anche di logistica, che diviene logistica della percezione piuttosto che dell’immaginario. Una logistica dove il candidato più che immaginato deve essere percepito ovunque, in tv e sui propri dispositivi personali. Logistica e spettacolo, in questo modo, tendono naturalmente verso un tipo di rapporto sociale che è una forma democratica di negazione della democrazia. Guardiamo infatti alle modalità organizzative delle primarie. A quelle tradizionali, organizzazione dei volontari e dei seggi, si sono infatti fermamente sovrapposte, sovrastando la dimensione del volontariato, tutte le forme logistiche flessibili del project-financing, dello sponsoring, dello spin-doctoring, dell’uso degli influencer in rete, della programmazione televisiva pay e generalista. Come sappiamo è dalla forma organizzativa non dai contenuti, che comunque qui non c’erano, che si comprende se c’è democrazia reale.  Bene, tutte queste forme di logistica flessibile egemoni nell’evento primarie presuppongono un rigido controllo verticale dei contenuti da diffondere,da far circolare e da finanziare.  Basta immaginare il contrario per capire cosa sono le primarie del centrosinistra: si pensi che razza di casino sarebbe accaduto se solo la logistica delle primarie avesse esaltato, dandogli la scena, i contenuti prodotti dagli utenti supporter di uno dei candidati. Se in prima serata tv fosse finita la dichiarazione di un follower di  Bersani “ripristiniamo l’articolo 18, basta con il governo delle banche” (e ce ne sono non pochi), o di Vendola “Renzi è uno di destra e non dobbiamo allearci con lui” (anche qui ce ne sono non pochi). Sarebbe stata un’operazione di realismo non di realtà aumentata ma l’intero mosaico dei contenuti da vendere attraverso questa complessa logistica della percezione sarebbe rimasto sinistrato. Più difficile sarebbe stata la dinamica fluida del project-financing (chi finanzia contenuti non controllabili nè dallo sponsor nè dallo sponsorizzato), dello spin-doctoring (chi si mette a governare contenuti che non controlla) e di tutti i dispositivi della logistica che sono la vera anima di questo genere di scenografia elettorale.

Per questo si deve parlare di primarie come iniezione fatale di realtà aumentata perchè rappresentano una complessa, implicitamente autoritaria, immissione di contenuti non negoziabili nel proprio corpo elettorale. Il fatto che si parli dell’elettorato, secolarizzando l’uso del concetto, in termini di partecipazione aiuta proprio a comprendere questa dinamica. In termini più squisitamente mutuati dall’antropologia religiosa la partecipazione è quel processo, formalizzato in rito, di assunzione, e di successiva personalizzazione, della parola tramite una funzione. Le persone partecipano tramite le emozioni esperite nella funzione, o il commento entro logica e regole religiose, mentre il governo dei significati e della parola appartiene a chi detiene i dispositivi di funzionamento della funzione (qui l’assonanza tra questi  due ultimi concetti dovrebbe aiutare a comprendere il problema).  Non è affatto un caso che diversi candidati alle primarie abbiano utilizzato, in differenti coniugazioni, l’esortazione alla  “speranza”. Nella subcultura cattolica, alla quale tutti i candidati hanno fatto  esplicitamente riferimento nel cosiddetto Pantheon dei valori, la speranza serve per un governo positivo dell’emozione suscitata nei partecipanti. In un dispositivo rituale dove c’è chi ha il potere reale, del governo della parola e della scenografia, e chi può soltanto partecipare. E la costruzione della parola e l’organizzazione della scenografia non sono controllati dai partecipanti.
Quindi non si sbaglia affatto quando si parla di primarie come fenomeno di regressione antropologica, che finisce per rappresentare il rovescio di una democrazia che invece è un processo di relazione tra uguali, di una parte della società italiana. Una regressione nella trasformazione dei processi di elaborazione collettiva dei contenuti politici che finiscono oltretutto per svanire verso la riproposizione, in forma logisticamente complessa, di una elementare antropologia religiosa dove è netta la separazione tra chi ha potere e contenuti e chi “partecipa”.  Dove svanisce ogni reale contenuto politico, che è oggi è l’Europa non la chiacchiera sulla politica nazionale, per lasciare il posto ad un fluire continuo di commenti di piccoli, inutili fatti banali attorno alle primarie. In un sistema definito di controllo dei contenuti immessi dall’alto verso il basso entro una complessa logistica della percezione. Logistica che permette l’uso dei social network in modo opposto rispetto alla concezione del primato dei contenuti prodotti dagli utenti e all’attivazione di forme complesse di intelligenza collettiva. Qui la complessità della logistica lavora per negare l’intelligenza collettiva.

Come si vede lo spettacolare integrato di Debord ha subito una evoluzione e una differenziazione di modello (sulla differenza tra primarie americane, francesi, italiane ed inglesi è davvero tema a parte). In un paese, l’Italia che, come scriveva Debord è a “scarsa tradizione democratica”.  Il trasferimento di potere, nelle primarie del centrosinistra, dagli elettori agli eletti si configura quindi come un trasferimento di potere non democratico. Operato con le forme spettacolari della democrazia. Gli italiani sono avvertiti: il modo con il quale si governa un partito è lo stesso con il quale, quando si va al potere, si governa un paese.

Nonostante la realtà aumentata, sono sempre di meno. Il cupio dissolvi del popolo di sinistra.

La letteratura americana sulle primarie, che si dispone su quattro decenni di case studies, ci insegna che si tratta più di fenomeni di radicalizzazione di una parte del proprio elettorato che di vera e propria costruzione di un consenso largo. Quello avviene, semmai, successivamente in fase elettorale. In questo senso i dati definitivi sull’affluenza alle primarie sono impietosi. Nonostante la più grossa campagna di mobilitazione al voto su più piattaforme (dalle piazze, ai social network, ai giornali, alla tv pay e generalista) anche queste primarie confermano un dato oggettivo di declino dell’affluenza per questo tipo di elezioni. Su dati ufficiali, queste primarie di coalizione hanno raggiunto lo stesso numero di partecipanti di quelle, con il solo Pd, del 2009 (3.100.000). E’ evidente che nello stesso Pd, pur al centro di tutte le dinamiche spettacolari, c’è stato un calo di affluenza. E le primarie del 2009 rappresentavano il punto più basso di affluenza, in questo genere di elezione, raggiunto da quel partito.  Rispetto alle ultime primarie di coalizione, quelle del 2005, il calo è spettacolare. Una perdita di più di un quarto dei votanti, circa un milione e duecentomila voti di meno, quando nel 2005 il dispositivo di propaganda per questo genere di elezioni non era sofisticato come oggi. Una perdita ma con anche anche una infiltrazione di elettorato di centrodestra, come da numerose testimonianze, come mai era accaduto nelle precedenti primarie. Eppure non è mancato l’effetto Orwell con i media che, durante la giornata elettorale, hanno parlato continuamente di boom votanti, riprendendo le indicazioni degli spin-doctor dei candidati, cercando di creare un’ onda che trascina verso il voto. Le file, frutto di una organizzazione approssimativa sul terreno (a logistica sofisticata corrisponde qui organizzazione deficitaria sul territorio) hanno fatto quindi parte della scenografia non della realtà. Vedremo quale effetto farà la scenografia sull’elettorato al momento delle elezioni politiche. Del resto siamo di fronte ad uno spettacolo politico che, come negli Usa, gonfia i palinsesti e attrae audience e quindi pubblicità. Le primarie si mostrano così, sul piano della mobilitazione reale, un istituto già usurato,  nell’intenzione originaria di raccogliere consensi allargati, nel momento in cui sembra raggiungere il suo acme spettacolare. Eppure, questione da non trascurare, i follower di ogni genere sono stati valorizzati in maniera maggiore rispetto al passato.

I numeri che ci danno una partecipazione sostanzialmente in calo radicalizzano così l’esperienza di chi ha partecipato creando la distanza con gli altri. Che può essere o non essere colmata nel momento elettorale. Nel 2006, dopo le primarie boom del 2005, ad esempio il centrosinistra sostanzialmente riuscì a far eleggere un governo debole che durò poche decine di mesi. Dal punto di vista dei numeri siamo quindi di fronte a modalità di mobilitazione politica minore nella società degli user generated contents. Magari di una minoranza non democratica, strategica per vincere le elezioni in una società politicamente frammentata ma neanche da scambiare per una maggioranza. Dal punto di vista dei risultati arrivano al ballotaggio due candidati di destra. Entrambi assolutamente compatibili con procedure e dettati politici Ue, Bce, Ecofin che hanno portato l’Italia in una contrazione economica permanente che rischia di produrre disastri sociali impensabili per questo paese.  Che dalle primarie esca un pd più bersaniano o renziano, onestamente, è solo un problema di organigramma interno a quel (si fa per dire) partito.

Sugli altri candidati che hanno avuto funzione decorativa merita spendere due parole su Nichi Vendola. Che due anni fa era un possibile,  candidato vincente alle primarie del centrosinistra. Ed oggi è rimbalzato, dopo una serie di errori e travisamenti, alla condizione del Bertinotti di 15 anni fa. Quello costretto a stare in una coalizione, erodendo il proprio elettorato, maledicendo e votando leggi come la Treu sugli interinali. E a differenza del Bertinotti del ‘97, Vendola oggi è senza un partito strutturato, con la capacità di mobilitazione ormai completamente subordinata alla copertura del suo personaggio nei talk show. Come si capisce non solo dalla dismissione degli user generated contents delle fabbriche di Nichi, fondamentali per l’ascesa del personaggio, ma anche dalla spiegazione che Vendola dà del suo flop elettorale. Ovvero quella di non essere stato coperto a sufficienza dai grandi media. Nel complesso siamo di fronte al cupio  dissolvi del popolo di sinistra. Con questa espressione, a partire dagli anni ’80, si è sempre indicato l’elettorato di sinistra in grado di fare massa ben oltre l’adesione militante ai partiti progressisti. Questo genere di tipologia di popolazione, comunque numericamente in regressione, è invece oggi servito, come materia grezza per un processo di costruzione autoritaria del consenso, in forma democratica, grazie a nuovi dispositivi spettacolari, stranianti e cognitivamente regressivi.

Viste le politiche che ha in previsione il Pd una volta al potere, e che sono quasi sconosciute ai suoi follower, non  scherziamo affatto quindi quando diciamo che, chi vota le primarie, consapevole o no, è socialmente pericoloso.  Perchè trasferisce potere, secondo un complesso dispositivo non democratico, ai candidati di un partito che non ha prospettive di futuro. Bersani  ha parlato di primarie come di una festa. Bene, chi vuol fare politica deve uscire dall’autoreferenzialità e, politicamente parlando, si deve organizzare per fare la festa a questa gente. Disgregando una subcultura di centrosinistra che è uno dei fattori chiave del grave declino, dell’impoverimento materiale e cognitivo di questo paese.

Per Senza Soste nique la police

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