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15/11/2012

I Fantastici 5 senza nemmeno un’idea. In diretta su Sky

Se capita di leggere The Irony of Democracy, un testo curato da Zye-Zeigler-Schubert uscito proprio quest’anno, è consigliabile dare almeno un’occhiata alle considerazioni che vengono fatte (tra pagina 150 e 151) sulle primarie americane. L’uso delle primarie, come strumento di selezione del candidato prima per le presidenziali poi per le restanti tipologie elettorali, si impone negli Usa a partire dal 1972. Per impedire che le tradizionali convention, che si svolgevano secondo criteri che favorivano esclusivamente i meccanismi di apparato, continuassero a selezionare candidati con scarsi legami reali con una società americana scossa dagli anni ’60 e in continua mutazione. Dopo quattro decenni il bilancio sulle primarie americane, ormai estese ad ogni livello elettorale, in The Irony of Democracy è piuttosto impietoso. Si considera infatti che “mentre può accadere che il candidato espresso sfugga ai controllo delle elite del partito” è anche vero che proprio per questo “nelle primarie l’opinione pubblica è più attendista, volatile rispetto alle elezioni generali e quindi maggiormente sensibile al messaggio dei media”.  Sono fenomeni già visti in molte primarie italiane dove il candidato di apparato è stato sconfitto (Puglia, Milano e molti altri casi) a favore di un avversario che ha mostrato un appeal maggiore non solo sul piano della popolarità politica ma naturalmente anche su quello mediale. Il punto è che, come notano Zye, Ziegler e Schubert, il potere di selezione dei candidati nelle primarie passa dalle elite dei partiti ai media che, come le vecchie convention americane, non sono affatto democratizzati. E questa è solo una parte del problema perché, nelle primarie americane, il passaggio del potere di selezione dall’apparato dei partiti al management mediale genera un altro importante protagonista politico in grado di selezionare i candidati: il big money. Guardiamo così il fenomeno da un punto di vista televisivo, che non guasta. Con la proliferazione delle occasioni elettorali, grazie alle primarie le tv commerciali hanno la possibilità di riempire agilmente i palinsesti di eventi seguiti dal pubblico e quindi di allargare l’offerta pubblicitaria. Con il passaggio dalle convention alle primarie, che secondo gli autori di Irony of Democracy allargano la crisi dei partiti invece di risolverla, i filtri al voto diretto popolare passano quindi da uno a tre. Mentre un tempo era l’apparato di partito a condizionare negativamente la scelta dei candidati oggi i filtri sono tre: media, disponibilità ad acquistare spazi pubblicitari e residui di apparato di partito che cercano di negoziare con gli altri due elementi.
Sarà per questo motivo, ben percepito da chi lavora nella politica istituzionale, che alla diretta su Sky dedicata alle primarie i cinque candidati del centrosinistra hanno dato comunque un’impressione di coesione, di essere gruppo all’interno del quale bisognava scegliere senza contrapporre troppo i personaggi che lo compongono. Naturalmente questa impressione doveva essere trasmessa all’esterno dello schermo, verso il potenziale elettorato. Ma anche verso i media. La radicalizzazione dello scontro tra candidati, frammentando l’impressione di coesione di uno schieramento, favorisce infatti il potere complessivo di pressione dei media presso i partiti. Se ci si combatte troppo sul palcoscenico è il regista che prende tutto il potere.  Meglio essere accorti, giocare (e negoziare) un certo filo narrativo. Specie quando è grazie alle scenografie di Sky che le primarie sembrano assumere un senso. Perché, in assenza di idee, quando la scenografia cede il passo ai contenuti si capisce che si tratta di candidati e di partiti che si tengono in piedi solo grazie alle tecniche del reality televisivo. E qui bisogna esser chiari: è credibile un dibattito politico dove ci si candida a guidare uno dei 10 paesi maggiormente industrializzati del mondo senza dire (in cinque) una parola su processi di innovazione, tecnologie, sapere, energia, trasporti, ambiente, sviluppo delle comunicazioni? Può essere preso sul serio un soggetto politico, eventualmente alla guida di un paese che è il terzo mercato obbligazionario pubblico al mondo, che non dice pubblicamente niente sulla Bce, sui prossimi tentativi di regolazione europea del sistema bancario europeo? E’ credibile che quattro distinti signori e una signora vogliano diventare presidente del consiglio senza dire nulla di come vorranno riformare il sistema bancario italiano (i cui disastri sono costati solo nel 2012 al contribuente pubblico quanto la riforma Fornero delle pensioni, altro che Fiorito)?
Evidentemente in diretta tv, con un format che richiamava in modo compiaciuto X-Factor (l’ultima frontiera del nazional-popolare di centrosinistra) è andato in scena uno spettacolo di chiaro significato nella sua povertà politica.  Un gioco di società su “come taglierei le tasse”, omettendo rigorosamente che in materia decideranno Ecofin ed eurogruppo, e uno sui tagli “alla casta”. Un gioco banale ma ritenuto sufficiente per creare quel campo di forza mediale in grado di intrattenere potenzialmente  il 35% dell’elettorato. Non molto se si considera che il solo Pd, alle elezioni del 2008, prese il 33 per cento dei voti. E il taglio politico della serata è stato, più o meno coscientemente rivelato, dalla candidata Laura Puppato. Che, in assoluta assenza di ironia, si è detta pronta a governare uno dei paesi del G8 e del G20 perché ha assolto “due mandati di sindaco in provincia di Treviso”. Lo spettacolo, corale, mandato in onda su Sky dal centrosinistra, è quello di chi si accinge a governare un paese con il buonsenso dell’amministrazione delle baite, delle comunità montane e dei villaggi. Con l’esperienza di paese (Puppato), di strapaese (Renzi), del banchiere della città attento alle esigenze della campagna (Tabacci), con un rispetto delle differenze di genere (Vendola) e tenendo nel cuore i ricordi dei bei tempi della provincia (Bersani). Niente di tragico, persino dignitoso se si fosse trattato di primarie per la leadership del centrosinistra di Pizzighettone o di Aci Castello, puro tragicomico quando si tratta di uno dei paesi chiave del mediterraneo (parola mai citata nel dibattito, come se a sud del mediterraneo non fosse accaduto nulla).  Ci si domanda spesso, e giustamente, sulla capacità del movimento di Grillo ad essere soggetto politico. Ma, detto sinceramente, chi se la sente di affrontare i prossimi anni, di profonde trasformazioni sociali, tecnologiche, della governance istituzionale, della comunicazione, delle relazioni internazionali affidandoli in mano a uno di questi cinque?
Il format nazional-popolare del Pd assume quindi contorni chiari: quello di un’Italia minore ostinata nel far prevalere la propria (presunta) egenomia in nome del primato dei luoghi comuni da Ipercoop, convinta di far funzionare un paese complesso con un’ideologia regressiva, al netto delle scenografie televisive. Con una promessa, già formulata da Bersani, di fare una bella serie di decreti di privatizzazioni (le cosiddette “lenzuolate” tanto per non perdere mai il contatto con il linguaggio da paese minore) una volta eventualmente al governo. E solo un immaginario da Italia minore può costruire i Fantastici 5 sul sito del Pd, occhieggiando all’immaginario Marvel quando in testa alle classifiche dei videogiochi ci sono Assassin Creed III, Resident Evil 6, Dishonered e tiene la nuova serie di Grand Theft Auto (tutti giochi dove il filo narrativo non è la lotta del bene contro il male, in stile Marvel, ma la lotta per la sopravvivenza e la pratica dell’assassinio).
Lasciando perdere l’aspetto politico, che è ai minimi termini, funziona sul piano mediale questo format narrativo? In materia si dia un’occhiata ad un testo interessante, Debatable Humor di Patrick Stewart, uscito quest’anno per Lexington Books. Il filo narrativo  del testo (e la forza esplicativa di un libro che è il primo in assoluto dell’autore) sta nella analisi dell’uso dello humor nelle primarie americane del 2008 e nelle successive presidenziali.  La tesi di Stewart, convincente nel modo con il quale si dipana, è che l’uso dell’ironia e dello humor hanno rappresentato l’arma decisiva per avvicinare i candidati all’elettorato in una fase di grave crisi economica, prima e dopo Lehmann Brothers. Steward sostiene che, in questi casi storici, il feed-back instaurato dall’uso dell’ironia da parte del candidato, è sempre positivo e coinvolgente ed avvicina all’elettorato. Se guardiamo ai Fantastici 5 su Sky tg24, un uso simile dell’ironia è rarissimo. Proprio mentre aleggiava la paura di un comico. Ed è proprio l’assenza di un uso intelligente ed efficace dell’ironia che costruisce la distanza tra il centrosinistra ed una grossa parte dell’elettorato che pende verso l’astensione. Perchè l’ironia colma le distanze nella crisi, costruendo un rapporto di personalizzazione tra candidato ed elettorato.
Non abbiamo quindi solo un quintetto senza idee politiche reali, capace di trattenere a malapena il proprio elettorato ma privo anche delle strategie comunicative, come l’ironia, incapaci di fare presa nell’elettorato in momenti di grave crisi. Diciamoci la verità, un Berlusconi che non avesse esaurito il ciclo politico, e biografico, questi fantastici li avrebbe stracciati tutti e cinque assieme. L’Italia è un paese che vive di accumulazione di spettacolo, e tanto più nella politica istituzionale, almeno da un paio di decenni. Berlusconi ha mostrato, in questo contesto, la sua sinistra capacità di saper trasformare aree di crisi in set spettacolari (Otranto fine anni ’90 poi l’Aquila e Lampedusa) accumulando notevoli dosi di consenso. Limitati nel tempo ma utili al momento dato. Possiamo immaginare cosa sarebbe accaduto in un eventuale contrasto tra cinque persone barricate in uno studio di Sky e un personaggio che gira per l’Italia trasformata in un set. Come sta facendo in modo diverso Grillo da mesi, tra l’altro.
E’ anche possibile che questa Italia minore mai distaccata dalla originaria base sociale contadina chiusa, piccolo-borghese ristretta ed operaia timorosa del padrone e del sindacato, tutta ritradotta in nuovi canoni nazional-popolari, finisca per vincere le elezioni. L’Italia è un paese socialmente, ed elettoralmente, frammentato ed impaurito e la dote di un terzo dei voti può essere sfruttata al massimo. Ma la spettacolare assenza di idee politiche reali nel centrosinistra, la rappresentazione del mondo chiusa, regressiva ed autoreferenziale di cui è portatore sono tutti fenomeni che non promettono niente di buono. Considerando che lo strumento utilizzato per riprodursi, le primarie, ha già mostrato una lunga storia di indebolimento reale del legame pubblico, di sviluppo di almeno tre filtri ostativi ad una vitale volontà popolare: media, mercato pubblicitario e residui di ceto politico. Non sono buone notizie specie quando ci incamminiamo verso un anno, il 2013, che avrà effetti decisivi, specie provenienti dall’Europa, che si dipaneranno perlomeno lungo tutto il decennio.

Per Senza Soste, nique la police

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