Dai
governi di Maastricht nel 1992 al governo Monti. In venti anni più o
meno 370 miliardi di euro sono stati sottratti alle famiglie tra tagli,
nuove imposte e privatizzazioni. Aggiunte dovute ad uno studio della
Confesercenti.
Un rapporto della Confesercenti diffuso oggi,
calcola che gli aumenti netti d'imposta fra il 2001 e il 2012 sono
arrivati oltre 103 miliardi. In media, quasi 9 miliardi in più per
ciascuno dei dodici anni trascorsi dall'inizio del terzo millennio. Nel
2012 la pressione fiscale toccherà, come previsto nel Def, il 44,7% con
un balzo di 2,2 punti rispetto al 2011. Così, da un anno all'altro, gli
italiani avranno pagato 35 miliardi in più, per effetto delle tre
manovre che si sono succedute da metà 2011, con 1.450 euro di aggravio a
famiglia.
Un risultato, sottolinea l'associazione dei
commercianti, "che spiega altri due fenomeni: un aumento di 204 miliardi
del gettito complessivo registrato nello stesso periodo, dai 495 del
2000 ai 699 attesi per il 2012 (le maggiori entrate dovute alle manovre,
dunque, rappresentano oltre la metà dell'aumento complessivo); un
aumento della pressione fiscale di 3,4 punti (dal 41,3% del 2000 al
44,7% del 2012), che porta a quasi 5 punti il divario rispetto al resto
d'Europa".
Questo significa che se il nostro livello di
prelievo fosse uguale a quello medio europeo, ogni famiglia italiana
disporrebbe di un reddito aggiuntivo di 3.400 euro, ossia quasi 10 euro
al giorno. "Il futuro non sembra lasciare spazio a valutazioni
ottimistiche. - continua la Confesercenti - Secondo le stime del
Governo, infatti, nel 2013 la pressione fiscale aumenterà ancora,
portandosi al 45,3%. Si tratta di altri 9 miliardi in più; una media
ulteriori 380 euro a carico di ciascuna famiglia nel nostro paese.
Inoltre, altre sorprese possono venire dalle imposte locali, che nel
decennio passato hanno registrato un aumento di prelievo del 41%
rispetto al 34% del resto della pubblica amministrazione". In
conclusione, osserva Confesercenti "dieci anni di manovre dimostrano che
l'accanimento fiscale ha prodotto un aumento gigantesco di gettito che
ha impoverito pesantemente famiglie ed imprese.
Sarebbe
interessante se il rapporto della Confesercenti fosse andato un po' più
indietro nel tempo ossia all'inizio del “ventennio maledetto” iniziato
nel 1992 con la legge finanziaria del governo Amato (che oggi sarebbe
stata più o meno da 43 miliardi di euro) e gli accordi sulla politica
dei redditi siglati tra Cgil Cisl Uil, governo e Confindustria,
perfezionati dal governo Ciampi nel 1993.
All'inizio della crisi del
debito, nel 1992, l'allora ministro Andreatta dichiarò che per rientrare
“occorreva ridurre il reddito delle famiglie italiane di almeno cinque
milioni di lire l'anno” (più o meno 2.600 euro di oggi). Iniziava così
il calvario delle Leggi Finanziarie intese come “terapie d'urto”
all'insegna del rispetto dei parametri del Trattato di Maastricht. Anche
allora, come si dice, “ce lo chiedeva l'Europa”.
Il settimanale
Affari & Finanza, qualche anno fa, calcolava che tra il 1992 e il
2002, tra tagli alla spesa sociale, nuove imposte statali e locali,
effetti delle privatizzazioni etc, ben 550mila miliardi di lire in più
erano usciti dai redditi delle famiglie per finire nella fornace del
pagamento del debito pubblico e degli interessi ai possessori dei titoli
di debito (oggi per l'84% in mano a banche, assicurazioni, fondi di
investimento italiani e stranieri). Si tratta di circa 280 miliardi di
euro in un decennio. Se nel decennio successivo 2001 -2012, fanno testo i
dati prodotti dalla Confesercenti (103 miliardi di nuove imposte etc.)
arriviamo quasi a 380 miliardi in più che si sono spostati dal reddito
delle famiglie per andare a pagare interessi e scadenze ai titoli del
debito in possesso degli “investitori finanziari” e dei mercati.
Quest'anno ad esempio 103 miliardi di euro prenderanno il volo solo per
pagare gli interessi sul debito. Sono cifre pesantissime sulle
condizioni di vita delle famiglie di lavoratori, pensionati, disoccupati
ma poco più che un dettaglio nella roulette dei mercati finanziari.
Tant'è che nonostante un dissanguamento del reddito delle famiglie
andate ben oltre quanto auspicato dal ministro Andreatta venti anni fa,
il debito pubblico è aumentato e il pagamento degli interessi sul debito
anche. Non solo. Negli ultimi anni le cose stanno anche peggiorando. Il
Sole 24 Ore del 7 novembre riporta i risultati di una ricerca condotta
da Cer (Centro Europa Ricerche) insieme a Ires-Cgil secondo cui "Il
reddito disponibile delle famiglie italiane ha subito, e subirà almeno
fino al 2014, un vero e proprio crollo da quando é esplosa la crisi
economica. La contrazione che ha perso avvio nel 2008 si protrarrà,
infatti, fino al 2014 per una perdita totale di quasi 90 miliardi di
euro, il 10% in meno rispetto al 2007".
Con tutti questi soldi e
con quelli utilizzati per pagare ogni anno gli interessi a banche,
assicurazioni, fondi di investimento, si potrebbero fare un sacco di
cose sul piano del lavoro e dei servizi sociali. Al contrario, il
secchio senza fondo del debito pubblico non potrà mai essere colmato,
neanche per portarlo al 60% del Pil come richiesto dal micidiale Fiscal
Compact. Occorrerebbe tagliare o tassare per almeno 30 miliardi di euro
ogni anno per almeno trent'anni. I sopravvissuti a questa terapia d'urto
sarebbero come quelli sui film di fantascienza: poche larve
incattivite. E' questo uno dei motivi per i quali diventa credibile,
anzi, necessaria, la campagna per il non pagamento del debito. Si tratta
di sopravvivere oggi perchè il domani sarebbe ancora peggiore.
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