Ieri pomeriggio festeggiavano nelle
strade di Gaza city i miliziani delle «Brigate Ezzedin al Qassam». E
Radio al Aqsa, l'emittente di Hamas, mandava in onda brani nazionalisti e
religiosi per accompagnare la lettura della notizia del missile M 75
caduto alle porte di Gerusalemme. «Dio è grande, Dio è grande», ripeteva
lo speaker in segno di giubilo. «Sappiamo e possiamo sfidare la potenza
militare di Israele, non siamo più inferiori», insisteva lo speaker
riferendosi alle potenzialità strategiche del braccio armato di Hamas. A
Gerusalemme le sirene d'allarme non suonavano da 21 anni, dalla Guerra
del Golfo, quando l'Iraq, sotto attacco americano, lanciò 39 missili
verso il territorio israeliano. Facendo danni e nessuna vittima. Quei
missili furono però una enorme arma di pressione psicologica, come i
razzi che sparano ora i palestinesi. L'M 75 di ieri ha causato panico e
sconcerto tra gli israeliani di Gerusalemme e a Tel Aviv dopo un
ventennio hanno dovuto riaprire i rifugi pubblici.
Ebaa e Hussein,
due giovani attivisti palestinesi, Radio al Aqsa ieri la seguivano sullo
streaming con sentimenti contrastanti. Da un lato la capacità della
«muqawama» (la resistenza) li sorprendeva. Dall'altra sapevano,
consapevoli, che Israele intensificherà la sua campagna aerea (oltre 500
raid in poco più di 48 ore) e, più di tutto, che scatenerà l'offensiva
di terra. Per il premier israeliano Netanyahu fermare gli attacchi ora,
avrebbe il sapore di una sconfitta, sarebbe un riconoscimento delle
potenzialità belliche di Hamas e di altre formazioni armate. Certo non
ha ingannato Ebaa e Hussein e nessun altro palestinese la calma relativa
che ieri ha regnato per qualche ora. E neppure le dichiarazioni di
solidarietà e di opposizione totale all'attacco israeliano giunte dal
presidente egiziano Mohammed Morsi e dal suo premier Hisham Qandil, che
ieri ha visitato per un paio d'ore Gaza e incontrato il premier di
Hamas, Ismail Haniyeh.
L'inferno è alle porte di Gaza. L'escalation,
innescata dall'assassinio compiuto da Israele del comandante militare
di Hamas, Ahmed Jaabari, è solo alla prima fase. Dozzine di mezzi
corazzati e migliaia di soldati ieri sera erano ammassati al confine con
Gaza. Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak, ha ordinato la
mobilitazione di altri riservisti oltre ai 16 mila già richiamati
giovedì. Arriveranno ad essere 75 mila tra qualche giorno. I segnali di
un attacco devastante ci sono tutti, a cominciare dalle parole del
presidente israeliano Shimon Peres che troppo spesso parlando di pace ha
annunciato la guerra. «Non è nostra intenzione andare alla guerra e
speriamo che questa operazione militare non prenda un minuto di più del
necessario», ha detto. La decisione uscirà da una riunione del gabinetto
di sicurezza, ha indicato da parte sua Netanyahu. Il più esplicito è
stato Barak, che ha spiegato come sarà l'offensiva di terra. «Le nostre
truppe una volta dentro Gaza dovranno andare casa per casa, forti
dell'esperienza che abbiamo fatto in passato», ha spiegato alla
televisione Canale 2, in riferimento all'offensiva «Piombo fuso» del
2008. Secondo gli esperti però ci vorranno ancora diversi giorni prima
che le forze armate israeliane siano pronte per l'attacco. La
mobilitazione comunque è avviata ed è superiore a quella di quattro anni
fa, quando furono messi in stato di allerta 20mila riservisti. Oggi
Israele renderà operativa un'altra batteria anti-razzo Iron Dome,
sistema che secondo le statistiche dell'esercito avrebbe abbattuto 184
dei circa 500 (550 per altre fonti) razzi e missili sparati dai gruppi
armati palestinesi negli ultimi tre giorni.
Messi in ombra dalla
retorica dei militari delle due parti, i civili palestinesi si preparano
alla nuova guerra, già esausti dopo anni di resistenza passiva
all'embargo e al blocco navale. In strada a Gaza gira pochissima gente,
rare sono le automobili. Le famiglie hanno fatto scorta di generi di
prima necessità. «Non ho soldi per fare provviste ma una vicina mi ha
aiutato, cerchiamo di darci una mano tra di noi», spiega Amira Yazji,
giovane madre di quattro figli. Nessuno spera più in una conclusione in
tempi stretti della offensiva israeliana. «Ho chiuso il ristorante sulla
spiaggia, è troppo pericoloso. Mi aspetto che gli israeliani attacchino
di nuovo dal mare e potrebbero persino sbarcare qui», sostiene Maher,
proprietario dell' «Oriente House», uno dei locali di lusso che hanno
aperto di recente sul lungomare con l'idea di accogliere non tanto i
pochi ricchi di Gaza ma anche uomini d'affari e diplomatici di paesi
arabo-islamici, in conseguenza dell'accresciuto status del governo di
Hamas sulla scena regionale. Appena qualche settimana fa a Gaza avevano
steso il tappeto rosso per accogliere l'Emiro del Qatar, oggi quella
visita è solo un pallido ricordo.
Come andranno le cose lo sanno bene
i responsabili dell'Unrwa che ieri hanno deciso di trasformare in
rifugi per i civili una parte delle scuole dei profughi palestinesi. Era
accaduto lo stesso durante «Piombo fuso». Marwan al Qumsan, 52 anni,
insegnava arabo proprio in una di quelle scuole, a Jabaliya, la sua
città. È stato ucciso due giorni fa da un attacco aereo nella zona di
Amoudi. «Le squadre di soccorso hanno dovuto lavorare per oltre un'ora
per estrarre il suo corpo dalle macerie. Mio zio era una persona
qualsiasi, non aveva fatto male a nessuno», ripete il nipote ai
giornalisti. Parole che potrebbero pronunciare i parenti di molte delle
vittime civili di questi giorni, «danni collaterali» di attacchi ad
edifici che Israele ritiene appartenenti al governo e alla milizia di
Hamas. Come i due fratelli Tareq e Odai Nasser, rispettivamente di 16 e
14 anni, uccisi dal missile che ha colpito la loro abitazione. Ieri il
totale delle vittime palestinesi è salito a 28 con l'uccisione di un
ufficiale di Hamas e di tre suoi familiari. Da Ramallah ieri sera
riecheggiavano le parole pronunciate in una conferenza stampa dal
presidente dell'ANP Abu Mazen. «Gli israeliani hanno un piano per minare
il nostro popolo, e per minare le nostre aspirazioni nazionali e la
nostra causa». Di fronte a questo piano però il suo partito Fatah e
Hamas hanno continuato a litigare per un potere di cartapesta.
da "il manifesto"
Ultim'ora:
Salito a 38 il bilancio dei morti palestinesi: tre uccisi vicino Rafah, uno a Khan Younis
Uccisi
nella notte quattro militanti del braccio armato di Hamas, le Brigate
al Qassam, in un raid aereo contro il campo profughi di Maghazi.
Fonte
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