Di Pietro ha parlato subito di “ricatto”, ma sembra proprio che Mario Monti, dall’estero dove si trova in queste ore per promuovere il “prodotto Italia”
tra gli investitori più solvibili del pianeta (in questo caso gli emiri
kuwaitiani) stia preparando nel dettaglio il suo proseguimento di
mandato a palazzo Chigi. Certo, lo fa in modo felpato,
lasciando trapelare che anche il governo che gli succederà potrà fare
altrettanto bene, ma la sostanza del suo pensiero non è sfuggita a
nessuno: il professore vuole prepotentemente restare a palazzo Chigi. E
sta intessendo una fitta rete di rapporti internazionali
per fare in modo che siano questi, dall’esterno e indipendentemente dal
favore o meno delle urne, a imporre la prosecuzione del suo mandato.
Certo, per farlo, ci vuole anche una base politica in Italia
che, non a caso, si è appena presentata sul proscenio elettorale, ma
ormai ciò che conta davvero Monti ce l’ha in tasca. Adesso basta solo
che venga fuori una legge elettorale che favorisca la grossa coalizione e il gioco sarà fatto. Gli basterà solo candidarsi alla testa del partito ultraconservatore che i cattolici e la ricca borghesia italiana gli stanno costruendo addosso come un vestito su misura. E il Monti bis sarà servito su un piatto d’argento. Da oltre Oceano applausi a scena aperta.
La
base politica in Italia di questo progetto che scavalca i confini
nazionali, si diceva, è in fase di costruzione, lanciata solo sabato
scorso da Luca Cordero di Montezemolo con Cisl e Acli,
mentre quella dei mercati internazionale acquista solidità ogni giorno
che passa. E non soltanto in Europa. Proprio oggi, l’autorevole
quotidiano francese Le Figaro ha nuovamente “benedetto”
lo sforzo fatto da Monti per il risanamento dell’economia italiana .
“Agli antipodi dello stile ‘bling-bling’ del suo predecessore Berlusconi
– scrive il quotidiano conservatore – questo tecnocrate distante ma
pedagogo ha saputo restituire” agli italiani ”una credibilita’ in
Europa”.
Ma tutto questo non piace – ovviamente – alla politica
italiana. Che si vede messa all’angolo da una figura tecnica forte e
capace – in caso di discesa in campo politico – di sconvolgere il
panorama degli attuali assetti in campo. Soprattutto di frustrare
pesantemente gli appetiti di chi, sondaggi alla mano, sta pensando di
mettere cappello sul prossimo governo del Paese. Ecco perché l’altro
giorno, quando Monti ha parlato in prospettiva del futuro governo che,
in pratica, dovrà seguire le sue orme per non gettare alle ortiche il
lavoro e i sacrifici fin qui svolti, Di
Pietro ha subito stigmatizzato la frase parlando di “ricatto” verso chi
verrà dopo (“O io rivado al governo, dice Monti – ecco la frase di Di
Pietro – o agli investitore stranieri dirò che non garantisco per il
futuro; questa è una cosa gravissima”).
Ma più che un ricatto,
si tratta di una vera e propria strategia a tenaglia messa in campo dal
professore, per piegare la politica a quelli che sono i voleri
internazionali sull’Italia, più che la volontà dei cittadini italiani
sul loro futuro. D’altra parte, a quanto si apprende, anche dalle parti
del Quirinale non sarebbero entusiasti all’idea di incoronare un Bersani che con Vendola
potrebbe “bloccare” il Paese sul fronte delle riforme e dei conseguenti
investimenti internazionali per questioni di “beghe locali” che
metterebbero a rischio la ripresa economica.
Insomma, par di capire che Monti, di fatto, sarà rimesso a palazzo Chigi dall’Europa.
Forse non dalle urne italiane, complice anche una legge elettorale che,
se verranno confermati una serie di segnali che arrivano in queste ore
dalla commissione Affari Costituzionali del Senato, dovrebbe virare prepotentemente in senso proporzionale, in modo da imporre – in qualche modo – la grossa coalizione per l’inizio della Terza Repubblica.
Il percorso, tuttavia, si sta studiando a tavolino per raggiungere un
certo tipo di risultato. In barba – questo pare certo – alla volontà
popolare. A volere che Monti prosegua la sua opera non è, infatti, solo
l’Europa, sono soprattutto gli Stati Uniti, con Obama sempre più sponsor diretto anche attraverso il vero interprete in Italia delle volontà americane: Giorgio Napolitano.
Il
presidente della Repubblica oggi ha rimarcato da un lato che il
risultato delle elezioni non può essere deciso “a tavolino”, dall’altro
ha aggiunto: ”Sono convinto che si è segnato un cammino da cui l’Italia
non potrà discostarsi. I partiti dicono che vogliono aggiungere
qualcosa” all’operato di Monti, “non distruggere. Mi pare che questo sia
un elemento che possa dare fiducia e tranquillità ai nostri ‘amici’ per
il futuro dell’Italia”.
Insomma, tutto sembra congiurare perché
dal voto esca un risultato annunciato: il Monti bis. Con Monti, però,
svestito dal ruolo tecnico e ufficialmente candidato alla testa del
nuovo partito centrista di Montezemolo e Riccardi a cui si uniranno, a breve, anche Casini, Fini e i cattolici del Pd capitanati da Fioroni.
Con Monti candidato premier, il bacino elettorale di riferimento potrà
trovare ampi addentellati anche in un elettorato borghese di
centrodestra che fino ad oggi ha votato Berlusconi e che senza Monti
sarebbe andato ad ingrassare le fila degli astenuti alle prossime
elezioni. Sulla carta, si tratta di un possibile bacino elettorale
capace di superare anche il 15%, una percentuale che può fare la differenza in modo molto netto, specie nella prossima composizione del Senato.
Monti
dopo Monti, dunque, sempre più una certezza. Anche perché, a quanto se
ne sa, il vero “sogno” del professore dopo aver governato ancora
l’Italia, sembra quello di prendere il posto di Van Rompuy,
presidente del consiglio Ue il cui mandato scade nel 2014. Altri due
anni da premier, poi lo sbarco in Europa; una legislatura breve per
concludere un lavoro come i grandi investitori internazionali e i loro
leader hanno stabilito per l’Italia. E tutto, come sempre, si terrà in
piedi. Ma non certo nel nome del popolo italiano.
Fonte
75 righe per descrivere con dovizia di particolari, un atto preciso senza mai nominarlo: il colpo di stato, perché così va connotata la costruzione di un governo che, in uno stato definito democratico, esula o cerca di rendere artificiosa la volontà popolare.
Un plauso carico di sarcasmo alla stampa italiana che anche quando è svincolata dai tanto odiati finanziamenti pubblici è ben lontana dall'affrancarsi dal modello dominante, a dimostrazione di una sudditanza psicologica totale nei confronti di un sistema (anche solo dialettico) che nemmeno si prova a mettere in discussione.
Che vergogna.
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