BBC-World ha intervistato Hsiao-Hung Pai, autore di Scattered Sands (con Greg Benton, pubblicato nell’agosto 2012) e di Chinese Whispers (2008), due studi fondamentali sul fenomeno migratorio cinese.
Il miracolo cinese degli ultimi tre decenni nasconde dati importanti. Con una crescita economica annua del 10%, il gigante asiatico si è trasformato nel primo esportatore e importatore del pianeta (una parte importante di queste importazioni serve per operazioni di montaggio necessarie alle esportazioni), e nella nazione che possiede le più importanti riserve di divise al mondo, sul punto di superare gli Stati Uniti in qualità di più grande mercato interno mondiale (i progressi nella crescita del mercato interno restano per ora limitati: investimenti ed esportazioni hanno sempre una posizione sproporzionata nel PIL).
Ma
il suo miracolo ha un lato oscuro. La colonna vertebrale di questo
balzo economico sono i più di 200 milioni di migranti che hanno
abbandonato la campagna per andare a cercare lavoro in città. Questi
migranti costituiscono un terzo della popolazione economicamente attiva
(in età per lavorare, vale a dire tra i 15 e i 64 anni) e non hanno
nessun accesso alla sanità e all’educazione. Per loro, il miracolo
cinese resta un’utopia. (Redazione)
***
In
“Scattered Sands”, descrivete una situazione di marginalizzazione e di
estrema vulnerabilità dei migranti, che operino nel settore minerario,
dove ci sono più di 3000 morti all’anno per incidenti, nel settore
manifatturiero o in quello della costruzione. Si può dire che i
migranti cinesi sono il nuovo proletariato ipersfruttato?
I
lavoratori migranti guadagnano la metà della paga di un salariato
urbano medio e non beneficiano di alcuna protezione del lavoro o
legale.
Non hanno un contratto di
lavoro, le condizioni di sicurezza sono precarie o inesistenti, i
salari sono miseri e, vista l’assenza di un diritto del lavoro, questi
lavoratori sovente non ricevono nemmeno un salario. A questo si
aggiunge la questione del registro della popolazione, lo Hukou (carta
di residente per persone), che garantisce un certo accesso alla sanità e
all’educazione pubblica.
Un
contadino non può trasferire il suo Hukou in città. Nel migliore dei
casi, ottiene un permesso di residenza transitorio. Se si ammala, deve
pagare come un paziente privato o tornare al suo luogo d’origine per
essere curato. Un intervento d’urgenza può rappresentare una tragedia
non solo a livello fisico, ma anche sul piano finanziario.
Riassumendo,
questi oltre 200 milioni di migranti interni sono veri e propri
fantasmi che circolano attraverso le città cinesi senza alcun diritto.
Questa realtà è negata dalla società e dal governo. Agli occhi dei
vincitori del modello cinese, le classi medie e i ricchi, i migranti
sono dei contadini che vivono in queste condizioni in ragione della
loro ignoranza e della loro mancanza di cultura.
È una situazione spaventosa, ma se queste persone emigrano, significa che si trovano meglio in città che in in campagna…
È
una scelta senza libertà. È dettata dalla disperazione, perché non
hanno nessun’altra opzione. Una causa tipica della migrazione è la
questione della salute. La sanità è nelle mani dello Stato, ma dopo che
Deng Xiao Ping ha lanciato il suo Gaige Kaifan, cioè l’apertura
pro-capitalistica dell’economia, si traduce in criteri di profitto
economico secondo i quali le cure mediche sono care e non accessibili a
tutti.
Uno dei numerosi casi che ho
presentato nel mio libro è quello di un giovane contadino chiamato Peng
che ha dovuto emigrare per pagare le cure mediche di suo zio. Si è
ritrovato a lavorare a Pechino nel settore della costruzione e nelle
agenzie di sicurezza privata, due settori che offrono molti posti in
nero. Sovente non veniva semplicemente pagato per il lavoro che faceva,
ma non poteva nemmeno tornare a casa perché la sua famiglia dipendeva
totalmente dal poco che riusciva a guadagnare.
Un'altra
ragione tipica della migrazione è la confisca delle terre. La terra
appartiene allo Stato che la cede in generale ai contadini per un
periodo di 30 anni. Ma, a causa dello sviluppo e dell’enorme
speculazione immobiliare, le autorità municipali hanno l’abitudine di
confiscare le terre e sovente non pagano nemmeno la compensazione che
dovrebbero versare secondo la legge. Privati della loro terra, che era
il loro mezzo di sussistenza, i contadini decidono di emigrare verso le
città.
Qual è la logica politico-sociale del Hukou?
Il
governo ha introdotto lo Hukou nel 1958 per controllare la migrazione
dalle campagne verso le città e per promuovere un’industrializzazione
accelerata, finanziata con le imposte e il sacrificio dei contadini. In
pratica, il sistema funziona oggi nello stesso modo di un ufficio per
l’immigrazione di un paese straniero. Ogni autorità locale ha il
proprio sistema.
A Shanghai e a
Guanzhou, i due centri chiave della crescita economica cinese, c’è un
sistema di punti simile a quello in vigore in Gran Bretagna sulla base
della quale gli immigrati vengono accolti. Si tiene conto dell’età,
dell’educazione, del tipo di impiego, dei diplomi e dell’esperienza
professionale di colui che sollecita lo Hukou. Solo quelli che
ottengono il numero di punti più elevato possono accedere al Hukou e
beneficiare della politica pubblica per l’alloggio, la sanità e
l’educazione.
Quelli che non hanno
abbastanza punti ottengono, nel migliore dei casi, un permesso di
residenza temporaneo o diventano subito illegali. Nei due casi, sono
condannati a un’esistenza semi-marginale.
Ma
ci sono stati tentativi di cambiare lo Hukou, come
l’universalizzazione delle pensioni e l’accesso alla sanità e
all’educazione…
Il governo di
Sichuan ha iniziato una riforma del Hukou che dovrebbe entrare in
vigore quest’anno (2012) e che permette a un contadino di trasferire il
suo Hukou dalla campagna verso la città. Ma c’è una condizione: il
contadino deve abbandonare il diritto che ha sulla terra che sta
coltivando. Questo ha fatto fallire la riforma perché i contadini
considerano questa misura come un confisca indiretta della terra. Dal
momento che non si fidano delle autorità, credono di perdere così il
poco che hanno e sono convinti che non riceveranno mai la compensazione
a cui avrebbero diritto.
Nel
contempo, la politica ufficiale in corso dal 2012 proclama che la Cina
deve passare da un’economia esportatrice a un’economia basata più
ampiamente sul consumo. Ma per questo, ci vogliono dei consumatori che,
se non hanno accesso alla sanità e all’educazione, dovranno
risparmiare al posto di consumare. Per effetto del loro semplice peso
numerico, più di 200 milioni di persone, i migranti dovrebbero essere
fondamentalmente favorevoli a questo cambiamento… Questi cambiamenti
non si produrranno da soli, in ragione di un imperativo economico. Non
esiste in Cina il concetto secondo il quale i contadini sono dei
cittadini. È considerato cittadino solo chi vive in città.
Un
abitante di Pechino può trasferire il suo Hukou a Shanghai o in
campagna senza problemi. Un contadino no. Nell’ambito della sanità, la
situazione è particolarmente drammatica perché quando nel 1982 sono
state abolite le comuni [contadine], che provvedevano gratuitamente
alle cure mediche di tutti, i contadini si sono ritrovati senza
copertura sanitaria.
Nel 2006, 26
anni più tardi, secondo cifre ufficiali, meno del 10% della popolazione
rurale aveva un’assicurazione malattia. I piani previsti per risolvere
questa situazione, annunciati in pompa magna, sono falliti. In
riferimento a quest’ultima riforma, lanciata nel 2010, non si può dire
per ora che si tratti di un vero piano: bisognerà vedere come sarà
tradotta nella realtà.
Non ci
sono sindacati indipendenti in Cina. Malgrado ciò il livello di
conflittualità sindacale è molto elevato. Sono nate organizzazioni
indipendenti per rappresentare i lavoratori migranti?
Con
la crisi economica del 2008, i lavoratori hanno dato prova di un
crescente atteggiamento militante. Nel sud del paese, milioni di
persone hanno perso il loro lavoro, sovente senza nemmeno ricevere gli
arretrati del salario a cui avevano diritto. Secondo le autorità, ci
sono in media 80.000 “incidenti importanti“ all’anno dal 2008. Questi
fatti importanti includono delle agitazioni di diversa natura,
proteste, scioperi e occupazioni.
Dato
che il sindacato ufficiale ACFTU non solo non rappresenta i
lavoratori, ma in più si oppone a qualsiasi protesta – si tratta infatti
più di capetti che altro – i lavoratori si sono organizzati
informalmente in diversi modi e hanno ottenuto diverse vittorie.
Ma
in Cina non è possibile avere delle organizzazioni indipendenti. Circa
l’80% delle ONG sono illegali. Talvolta, l’unica maniera di avere
un’organizzazione è di creare una società a responsabilità limitata con
tutte le restrizioni che questa scelta implica.
Quali sono le prospettive con il cambiamento ai vertici del partito che si sta preparando?
Non
ci sono cambiamenti in vista. I cambiamenti non posso avvenire
dall’alto verso il basso quando la popolazione stessa non è in alcun
modo implicata in questi cambiamenti.
Non
è una ironia della sorte che dopo più di 60 anni da una rivoluzione
condotta dai contadini, i contadini siano oggi i più grandi esclusi?
I
contadini sono sempre stati relegati al ruolo di aratro
dell’industrializzazione cinese. Sotto Mao, la collettivizzazione delle
campagne è servita per sostenere la crescita industriale e la
popolazione urbana. Con Deng Xiao Ping e il suo “Gaige Kaifang”, è
successa la stessa cosa, questo programma aveva privatizzato lo
sfruttamento della terra e soppresso la rete di assistenza sanitaria
dell’era maoista e allo stesso modo i progressi sociali di quell’epoca.
Il
mondo parla di miracolo cinese. Ma se ci si muove nel mercato del
lavoro informale che esiste nelle grandi città, la storia è un’altra. I
migranti parlano dello sfruttamento, della corruzione, della
discriminazione e della marginalizzazione di cui sono vittime. C’è un
mondo totalmente diverso che coinvolge più di 200 milioni di persone.
Come si può considerare miracoloso un modello che sfrutta in questo
modo un terzo della sua popolazione economicamente attiva?
La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà del Canton Ticino.
Il socialismo è sicuramente il più grande sconfitto dell'ultimo secolo di storia del mondo, e niente lascia presagire che la situazione sia destinata a capovolgersi
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