Quando non si riesce a prefigurare il futuro se non ad horas, come oggi, bisogna forse cercarlo nel passato, in date e facce. Perlomeno così dice il saggio.
Berlusconi in Via del Plebiscito fa il discorso che sapete, che avete sentito, visto, letto dappertutto. Applausi e commozione.
Vera o finta, in un Paese storicamente in cerca di padroni dei cui
umori fossi nel Cavaliere pre-destituito non mi fiderei troppo. Ma
tant’è. Poi s’affaccia alla finestra di Palazzo Grazioli
e come un Alberto Sordi redivivo ma ambrosiano e inceronato chiede alla
folla o alla folletta “non volete che mi butti?”. E il martirologio si
vena di Drive in, alla memoria. O forse possiamo rintracciare una
parvenza di drammaturgia greca buona per la circostanza conoscendo il costume del Capo nel coro greco di La Dea dell’Amore , di Woody Allen.
Niente tragedia anche se si sente un trago, un capro naturalmente espiatorio, ma casomai vaudeville. Da tragedia greca in salsa italiana tangentara fu invece il discorso alla Camera di Bettino Craxi, del 3 luglio del 1992. “…C’è un problema di moralizzazione
della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con
rigore… il problema del finanziamento dei Partiti…, delle illegalità che
si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile… Si è diffusa nel
Paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione,
una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di
crescente degrado della vita pubblica… I casi sono della più diversa
natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si
presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di
asocialità…”.
Era ventun anni fa, e l’immoralità di cui parlava Craxi si è mutata in una quasi completa amoralità,
con il grande vantaggio per individui, gruppi, lobbies e partiti di
muoversi in assenza di codici etici da violare, in vacuo. Difficile
negare che le cose stessero come diceva l’ex premier, e anche peggio, e
che lui avesse dato però all’Italia una vigorosa spinta per la scesa.
Ancora Bettino, oggettivo padre/patrigno e comunque causa dell’effetto
Berlusconi, nella stessa occasione: “…E tuttavia, d’altra parte, ciò che
bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del
finanziamento politico è irregolare od illegale. I partiti specie quelli
che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività
propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie
strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di
risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di
questa materia deve essere considerata materia puramente criminale
allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo
che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di
organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento
in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si
incaricherebbero di dichiararlo spergiuro…”.
Come si sa,
nessuno in quell’aula si alzò. L’obiezione da allora è che quelle cose
le diceva uno che sarebbe stato condannato in contumacia per corruzione.
Uno, per tornare all’inizio di questo articolo, che “non aveva la
faccia per dirlo”. È vero, ma questo non toglie verità alle cose che
continuano a perseguitarci nella realtà di oggi.
Eppure sempre in
merito a date e fatti e cronologicamente a metà tra il Craxi di allora e
il Berlusconi di oggi alla ricerca di grazia, c’è un Paolo Sylos Labini
del 2002, prima in febbraio al Palavo-bis girotondino e poi in
un’intervista a Repubblica del settembre dello stesso anno. È morto nel
2005, definito una sorta di “santo laico”, grande economista,
intellettuale, cittadino. Lui la faccia l’ha sempre avuta. Diceva: “Lo
paragono ad Al Capone, Berlusconi, certo. L’ho detto e
l’ho ripetuto più volte, anche in pubblico. E ho spiegato che almeno Al
Capone, da onesto delinquente, non ambiva a ruoli politici.”
Parliamo
di un gangster arrestato per reati fiscali… E ancora: “…Senza regole
morali lo sviluppo si impantana. Nel 1910 l’Argentina aveva il doppio
del nostro reddito. Oggi grazie alla corruzione, all’immoralità
pubblica, a un ceto politico vergognoso, il reddito di quel Paese si è
ridotto alla metà. E noi rischiamo con Berlusconi di fare la fine
dell’Argentina”.
Morale: se Craxi diceva delle cose vere ma
rese irricevibili dal fatto che le dicesse lui, se Sylos Labini ha
predetto senza ambagi con undici anni d’anticipo il nostro presente e
aveva tutte le caratteristiche valoriali per farlo ma non è stato
ascoltato né poco né punto dalla sinistra italiana, adesso siamo a
Berlusconi che non è in grado, nell’oceano di amoralità che ci sta
sommergendo, di dire niente di più né niente di diverso dal “non volete
che mi butti?” di sordiana reminiscenza: contrariamente a Craxi, non
può, nel senso che non gli viene neppure in mente, vuotare un sacco che
riguardi tutta o buona parte della classe dirigente italiana, politica,
imprenditoriale, bancaria ecc., collusa con lui a ogni livello nel
precipizio che abbiamo di fronte.
Quella “immoralità”
evocata dall’immorale Bettino, comunque di tutt’altra statura, sembra
lontana anni luce dalla mimica berlusconiana del salvare il salvabile
con il salvacondotto (di Napolitano). Ci si arrangia
amoralmente in un Paese amorale in cui dalle tasse al resto risuona un
maledettissimo “così fan tutti”. Ebbene, veniamo da lontano ma in
vent’anni si è scavata una voragine di cui la nostra berlusconizzazione è
il dato più inquietante.
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