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10/08/2013

Il pretesto di Snowden

di Mario Lombardo

Come diretta conseguenza della concessione dell’asilo provvisorio in Russia a Edward Snowden da parte del Cremlino, questa settimana l’amministrazione Obama ha annunciato la cancellazione di una visita programmata da tempo del presidente americano a Mosca. Se la controversia legata alla sorte dell’ex analista dell’NSA ha fornito l’occasione a Washington per innalzare il livello dello scontro con Vladimir Putin, le relazioni tra i due paesi sono in realtà deteriorate da tempo in seguito ad una serie di divergenze attorno a varie questioni strategiche sullo scacchiere internazionale.

Come è noto, la Casa Bianca aveva esercitato forti pressioni nelle scorse settimane sul governo russo per convincerlo a rispedire Snowden negli Stati Uniti dove quest’ultimo è già stato formalmente incriminato per avere rivelato i programmi segreti di monitoraggio delle comunicazioni elettroniche dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale.

Dopo la decisione di Mosca di consentire a Snowden di lasciare l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, la settimana scorsa erano cominciate a circolare le indiscrezioni sulla possibilità che Obama avrebbe potuto annullare il vertice di Mosca, inizialmente fissato dopo la riunione del G-20 a San Pietroburgo tra il 5 e il 6 settembre. Vista la fermezza della Russia nel respingere le richieste di restituire Snowden agli USA, la notizia della cancellazione del faccia a faccia con Putin è apparsa tutt’altro che sorprendente.

Obama parteciperà comunque al G-20 in territorio russo ma non incontrerà Putin nemmeno a margine di questo summit, come è consuetudine in simili occasioni. La decisione annunciata mercoledì rappresenta la prima cancellazione di un vertice bilaterale tra gli Stati Uniti e la Russia dal crollo dell’Unione Sovietica. Come ulteriore sgarbo al Cremlino, la Casa Bianca ha inoltre sostituito quella prevista a Mosca con una visita in Svezia e, contemporaneamente, i leader dei paesi baltici sono stati invitati a Washington.

I rapporti diplomatici di alto livello tra i due paesi non saranno comunque interrotti. Un vertice già previsto per venerdì tra il segretario di Stato, John Kerry e quello alla Difesa, Chuck Hagel, e il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e quello della Difesa, Sergey Shoygu, andrà infatti in scena regolarmente.

Ad elencare i motivi di attrito tra le due potenze sono stati gli stessi giornali americani, i quali continuano a descrivere quasi con incredulità la risolutezza di Mosca nel respingere le presunte offerte di dialogo del governo americano. Tra le ragioni di scontro più rilevanti ci sono le questioni legate alla difesa missilistica, al controllo degli armamenti, alle relazioni commerciali, ai diritti umani, al nucleare iraniano e alla crisi in Siria.

Secondo le ricostruzioni ufficiali, il presidente Obama si sarebbe detto “esasperato” dal comportamento di Putin, prendendo alla fine atto dell’impossibilità di fissare un’agenda su cui basare la discussione da tenere a settembre.

A detta di un anonimo membro dell’amministrazione Obama sentito dal New York Times, la vicenda di “Snowden è stata un fattore, ma la decisione trae origine da considerazioni più ampie e da un profondo disappunto”. Secondo questa interpretazione, i russi “non erano pronti a confrontarsi seriamente sulle questioni ritenute fondamentali” dagli Stati Uniti.

In sostanza, media e politici americani attribuiscono al Cremlino la responsabilità di avere fatto naufragare la strategia di avvicinamento o di “resettaggio” dei rapporti bilaterali messa in atto dalla Casa Bianca fin dal 2009, anche se, a ben vedere, le crescenti tensioni tra USA e Russia si spiegano in gran parte con la volontà americana di piegare il governo di Mosca ai propri interessi strategici e con la comprensibile resistenza mostrata da quest’ultimo.

Il comportamento di questi giorni dell’amministrazione Obama è stato così riassunto efficacemente dal consigliere di Putin, Yuri Ushakov, il quale ha spiegato che “gli Stati Uniti non sono ancora pronti a costruire relazioni paritarie con il nostro paese”, dal momento che Washington nutre ben poco riguardo per le aspirazioni e gli interessi di Mosca.

Fin dall’ingresso di Obama alla Casa Bianca, d’altra parte, l’intenzione del governo americano è stata quella di utilizzare la Russia per raggiungere i propri obiettivi strategici, come ad esempio in Afghanistan, ma anche riguardo all’Iran e alla Siria. Da parte sua, il Cremlino aveva mostrato una certa disponibilità a collaborare con Washington, in particolare con la presidenza Medvedev, durante la quale è stato ad esempio siglato il rinnovo del trattato START sulla riduzione delle armi nucleari.

Il ritorno di Putin alla presidenza ha coinciso però con un inasprirsi delle ostilità tra i due paesi, aggravate dal persistente sostegno russo garantito al regime di Bashar al-Assad in Siria, frustrando i tentativi da parte degli Stati Uniti di convincere Mosca ad accettare il cambio di regime a Damasco.

Se la ricerca dello scontro con la Russia indica, tra l’altro, una probabile escalation militare degli USA in Medio Oriente per risolvere la crisi siriana, più in generale la cancellazione del vertice Obama-Putin rivela il prevalere all’interno dell’establishment statunitense delle voci di coloro che vedono sempre più la Russia come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi strategici del proprio paese nel mondo. Per questa ragione, un atteggiamento sempre più aggressivo sembrerebbe essere l’opzione più appropriata per aumentare le pressioni sul Cremlino.

In questo disegno rientrano quindi i tentativi di attribuire ai rivali la propria intransigenza, come è apparso evidente dalla retorica dei media “mainstream” di questi giorni e dalle parole pronunciate dallo stesso Obama in un’apparizione televisiva poche ore prima dell’annuncio ufficiale dell’annullamento del vertice con Putin.

Al “Tonight Show” della NBC, l’inquilino della Casa Bianca ha infatti affermato che “talvolta, i russi tornano a mostrare una mentalità da Guerra Fredda”, nonostante egli stesso abbia invitato Putin e il governo di Mosca “a guardare al futuro”, poiché “non esistono motivi per i quali i nostri paesi non dovrebbero essere in grado di cooperare più efficacemente”.

Come è consuetudine per la politica estera americana, dunque, dietro alle offerte di disponibilità al dialogo e ai propositi di distensione continua a nascondersi la volontà di intimidire, quando non addirittura di minacciare, i propri interlocutori, così che qualsiasi percorso di riconciliazione avvenga solo alle proprie condizioni e serva a promuovere esclusivamente gli interessi dell’imperialismo a stelle e strisce.

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