Lontano dai riflettori della stampa internazionale continuano le violenze in Yemen. Ieri uomini armati hanno ucciso 20 soldati yemeniti ad un checkpoint nella provincia dell’Hadramawt. A riferirlo è l’agenzia di stampa yemenita Saba.
Secondo un ufficiale intervistato dalla Reuters, la
maggior parte dei soldati dormiva quando l’attacco ha avuto luogo.
Sebbene una fonte militare yemenita ritenga al-Qa’eda responsabile per
la sparatoria di ieri, nessun gruppo al momento si è attribuito la
responsabilità dell’attacco.
Non è il primo attacco operato recentemente nel Paese
dall’organizzazione fondamentalista islamica. Lo scorso febbraio
al-Qa’eda nella Penisola Araba (AQAP) colpì la prigione centrale della
capitale Sana'a. Le vittime furono 11, tra cui sette guardie di
sicurezza.
Gli attacchi del AQAP alle forze dell’ordine sono frequenti.
Al-Qa’eda è molto attivo nel sud ed est del Paese nonostante le diverse
campagne militari lanciate dal governo centrale contro di essa.
La scorsa settimana un’autobomba guidata da un
presunto militante di al-Qa’eda è esplosa nei pressi del quartiere
generale dell’Intelligence militare. Nell’esplosione una persona è morta
e i feriti sono stati 13.
Tre presunti militanti del network terrorista sono
morti tre giorni fa nella provincia meridionale di Shabwa quando
l’autobomba che stavano preparando è esplosa per errore.
Ma a destare preoccupazione a Sana’a non è
solo la branca di al-Qa’eda in Yemen. Da anni va avanti un conflitto
serrato tra governo centrale e i ribelli Huthi nel nord del Paese.
Sabato scorso 12 persone sono state uccise negli
scontri tra le forze yemenite e i ribelli Huthi alla periferia di Amran,
nel nord del Paese.
I ribelli, conosciuti come Huthi o Ansaar Allah,
erano giunti nella città per prendere parte ad una manifestazione di
protesta. Ma la situazione è presto degenerata quando hanno insistito ad
attraversare armati un checkpoint all’entrata settentrionale della
città.
La scorsa settimana, huthi armati con fucili di
assalto erano sfilati ad Amran chiedendo le dimissioni del “governo
corrotto”. Da diversi anni gli huthi combattono il governo centrale
perché si sentono marginalizzati da Sana’a. La rimozione nel 2012
dell’ex Presidente Saleh, in seguito alle proteste popolari della
“Primavera araba”, non ha migliorato la situazione.
Lo scorso mese, il Presidente Abd Rabbo
Mansur Hadi e i leader di partito hanno concordato a trasformare lo
Yemen in una federazione a sei regioni. I ribelli però, temendo che
l’intenzione del governo sia quella di dividere il Paese in regioni
povere e ricche, cercano di allargare la loro zona di influenza
spingendosi nelle aree più vicine alla capitale. Negli scontri
con le tribù locali lo scorso febbraio sono morte più di 150 persone.
Dal canto suo Sana’a crede che l’obiettivo dei ribelli sia quello di
prendere possesso di Amran per poi assediare la capitale.
Dopo dieci mesi di Conferenza Nazionale del Dialogo,
conclusasi lo scorso dicembre e il rinnovo di un anno del mandato ad
interim del Presidente Hadi, sarebbe dovuta iniziare una nuova fase che
avrebbe dovuto trasformare il Paese in un sistema federale multi
regionale ponendo così fine alle violenze. In realtà, però, la
possibilità di una partizione federalista del Paese ha ingolosito i vari
gruppi che cercano di ampliare la loro influenza garantendosi l’accesso
alle materie prime e una maggiore vicinanza alla capitale.
Negli scontri tra le varie etnie, soprattutto al Nord, l’esercito ha
scelto di delegare a milizie lealiste la difesa dei luoghi sensibili.
Ma a condizionare l’operato del governo Hadi vi sono le pressioni esterne di Usa e Arabia Saudita. Al Presidente è richiesta la pacificazione del Paese cosicché possa essere arginato il fenomeno al-Qa’eda e possa essere garantita la continuità dei flussi commerciali verso l’estero.
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