Mentre il regime di Damasco avanza sul terreno, la diplomazia
internazionale si impantana nel fango delle divisioni e dello stallo
politico. Oggi le forze armate governative hanno compiuto una serie di
operazioni nell’area di Hama e Daraa contro gruppi di miliziani,
uccidendone decine, tra cui il leader del gruppo Sukour al-Badia.
Secondo fonti militari, l’esercito avrebbe anche confiscato un convoglio
di armi e munizioni diretto alle opposizioni.
Sostenuti dai miliziani libanesi di Hezbollah, i soldati
siriani stanno registrando una serie di vittorie strategiche in diverse
province, da Qunaitra a Daraa, da Hama a Aleppo fino alla provincia di
Latakia.
A tre anni dallo scoppio della guerra civile siriana, non si vede
luce in fondo al tunnel. Da parte sua il regime di Damasco, dato per
spacciato fin dagli albori del conflitto, continua ad avanzare
nonostante il supporto militare e finanziario di cui godono gran parte
dei gruppi di opposizione. La diplomazia internazionale, al contrario,
resta ferma. La tanto acclamata conferenza di Ginevra,
sponsorizzata in pompa magna da Mosca e Washington, non ha portato ad
alcun tipo di risultato sia a causa della divisione interna
alle opposizioni siriane, sia a causa delle precondizioni poste dalla
Coalizione Nazionale che non intende prendere parte ad una transizione
politica che veda coinvolto il presidente Assad.
Ieri è stato l’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la
Siria, Lakhdar Brahimi, a scrivere il punto e a capo per Ginevra 2:
impossibile riaprire il dialogo tra governo e opposizioni in questo
momento. Da Kuwait City, dove si trova per il summit annuale della Lega
Araba, Brahimi è stato chiaro: “È improbabile in questo momento che i negoziati riprendano tra regime siriano e opposizioni a Ginevra”.
Secondo l’inviato speciale, le prossime elezioni vedranno probabilmente
la vittoria di Assad, un fattore che spingerà le opposizioni sempre più
lontane dal tavolo del negoziato.
Da parte loro gli Stati Uniti proseguono lungo un percorso differente, rafforzando il sostegno alle opposizioni: domenica
l’inviato speciale statunitense per la Siria, Daniel Rubestein, ha
incontrato in Turchia il premier del governo ombra delle opposizioni,
Ahmad Tohme. Tohme ha presentato il piano per “la creazione di
istituzioni amministrative nelle aree liberate”. Washington però resta
titubante e non avrebbe ancora deciso se inviare altri armi alle
opposizioni.
Più interventista la posizione delle petromonarchie del Golfo: dal
meeting della Lega Araba, aperto oggi in Kuwait e più focalizzato sulla
questione Qatar e Fratellanza Musulmana, l’Arabia Saudita ha
fatto appello ad un “cambiamento degli equilibri sul terreno”,
nell’obiettivo di far cadere definitivamente il nemico Assad, e
ha accusato la comunità internazionale di “aver tradito i ribelli” con i
continui ritardi nella deposizione forzata del regime. E se la sedia
del rappresentante siriano del regime di Damasco è rimasta vuota, a
parlare sarà Ahmed al-Jarba, leader della Coalizione Nazionale, che da
tempo spinge per ottenere un seggio dentro la Lega Araba.
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