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30/03/2014

Persino Grasso striglia Renzi: "abolizione del Senato pericolosa"



Quanto è golpista la riforma costituzionale che Matteo Renzi sta imponendo al paese? La domanda può ricevere molte risposte, ma se dobbiamo prendere a metro di misura il tasso di “moderazione” da sempre esibito da chi la contrasta, non possiamo che trarre una sola conclusione: è un riforma strettamente fascista.

Non stiamo naturalmente parlando dell'estetica di questo regime, che ha molto del “paninaro” ignorante e presuntuoso e ancora non manda in giro squadracce a distribuire olio di ricino ai dissidenti, né ha ancora elaborato un format del "bravo giovane di regime" (stile "libro e moschetto"). Parliamo invece della sostanza istituzionale, della meccanica “regolativa” dell'equilibrio dei poteri. Ovvero del cuore della democrazia liberale.

Naturalmente è un fascismo del XXI secolo, al passo con quello dell'Unione Europea, di cui ricalca fin nei dettagli l'assetto istituzionale (Tutti i poteri all'esecutivo, un parlamento senza poteri e senza legittimazione democratica, dipendenza diretta dalle multinazionali della manifattura e della finanza).

Le categorie di “destra” e “sinistra” qui, in effetti mordono un po' meno, perché stiamo andando decisamente oltre il confine delle “regole condivise” da tutte le parti in un regime parlamentare; stiamo – stanno – manomettendo il “motore”, per accedere direttamente ad un altro regime. E' un po' più grave di una riforma "di destra", è un rovesciamento reazionario in grande stile, come sognato un tempo dalla P2.

Il dispositivo disegnato da legge elettorale (premio di maggioranza abnorme e assenza delle preferenze, un cazzotto in faccia alla Corte Costituzionale e quindi alla Costituzione stessa) e abolizione del Senato configura un potere esecutivo politicamente irresponsabile, anche se eletto con una minoranza risibile dell'elettorato. Lo dice un sepolcro imbiancato come Piero Grasso, uno che ha fatto carriera da magistrato con qualsiasi governo, uno che ha sempre evitato per scelta qualsiasi presa di posizione che potesse apparire anche solo vagamente “dissonante”. Eppure, è stato costretto a dire che sarebbe bene che la «camera alta» resti un’assemblea degli eletti, senza snaturarla completamente, ad invitare a non procedere sulle riforme a colpi di voti di fiducia. «L’Italicum più la riforma del Senato nel senso di un monocameralismo di fatto, può rappresentare un rischio per la democrazia».

Avevamo appena archiviato l'”appello” di altri costituzionalisti distratti per oltre un ventennio – a partire da Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, cui si sono aggiunti ora anche Grillo e Casaleggio – che chiedono di fermare il progetto del governo, definito una «svolta autoritaria». Ora l'uscita da parte della seconda carica dello Stato.

A suo modo, la risposta di Renzi alle critiche è suonata come una certificazione del vuoto assoluto che abita questo interprete del “cambiamento”: «Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare. I politici devono capire che se per anni hanno chiesto di fare sacrifici alle famiglie ora i sacrifici li devono fare loro».

Nulla di nulla sul merito costituzionale delle critiche, solo un bla bla para-grillino e un po' para-culo sul “cambiamento” e i “sacrifici per i politici”, come se avere il bicameralismo o no fosse solo un problema di costi. Come se – e non fatichiamo affatto a crederlo – Renzi non sapesse neppure di che si sta parlando. E viene in mente la risposta assurda data sui problemi che verranno creati dall'entrata in vigore del fiscal compact (dal gennaio 2016): “è un tema che affronteremo nei prossimi mesi”. Come se quei 50 miliardi di manovra annuale per i prossimi venti anni – se la crescita, come sembra plausibile, resterà molto al di sotto del 3% – fossero un dettaglio e non l'incubo di ogni governante serio.

In ogni caso, emerge con nettezza che questo personaggio di non elevata statura – diciamo così – la butta in battute anziché in politica. Sembra insomma uno che abbia imparato la lezione da Berlusconi, condendola con qualche sortita a là Vendola, ma con un'attenzione estrema a non entrare mai nel merito delle cose.

È il tipo di “politico” indispensabile al tempo della Troika; un attore da avanspettacolo, dietro cui avanza un'orda di avvoltoi senza freni.

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