Le elezioni in Francia costituiscono la ripetizione di quanto già
abbiamo visto. Quando la sinistra al governo fa politiche di destra e si
presenta come la continuazione di quest'ultima è l'estrema destra a
sfondare. Il risultato del Front National di Marine Le Pen, infatti, non
lascia spazio a dubbi: ballottaggio a Marsiglia, vittoria al primo
turno nell'ex bastione operaio del Pas de Calais, risultati importanti
in molte altre città. E, contestualmente, disfatte ovunque da parte del
Partito socialista, senza grandi benefici per la sinistra più estrema,
presentatasi in questa tornata con molte divisioni al suo interno.
La situazione si potrebbe liquidare con queste brevi battute se, però,
stavolta non ci fosse la novità europea e il significato più ampio del
voto. Che si interseca con il tentativo di Marine Le Pen di cambiare
pelle al movimento politico ereditato dal padre, cercando di portarlo da
un'identità chiaramente razzista, antisemita e di matrice fascista a
quella che potremmo definire dell'euroscetticismo. In
questa chiave il voto francese ha un respiro più ampio e interroga le
attuali politiche dell'Unione europea ma anche le risposte che a queste
devono essere date.
Dalla Francia il vento di un nuovo "sovranismo" -
definirlo nazionalismo è ancora prematuro - cioè di politiche economiche
che risiedano più nettamente nelle mani degli Stati nazionali come
rimedio all'austerità soffia ancora più forte. E dispiegherà i suoi
effetti alle prossime elezioni del 25 maggio. Del resto, movimenti e
spinte analoghe esistono ovunque e con risultati elettorali sempre più
significativi. Basti pensare all'Italia e al voto del Movimento Cinque
Stelle.
Qui, dunque, c'è la novità. Il voto al Front National o al M5S, che
restano due movimenti nettamente distinti, si nutrono della stessa
spinta popolare: rifiuto dell'austerità, rifiuto della "vecchia
politica", della corruzione, delle liturgie istituzionali, nazionali o
eruopee che siano, le quali alla fine producono sempre lo stesso
risultato: taglio alle spese sociali, riduzione dei salari, dei servizi
pubblici, libertà alle imprese di fare quello che vogliono a partire dai
licenziamenti. Questa spinta non sarà fermata con il richiamo all'antifascismo
o, come si dice in Francia, con la saldatura di un improbabile e
irriconoscibile, oggi, Fronte repubblicano. Ed è lo stesso motivo per
cui non basterà una dose di responsabilità in più per svuotare il
consenso del "grillismo" in Italia (va anche detto, comunque, che per
fortuna nel nostro paese questo vento euroscettico si esprime tramite un
movimento di ben altra natura rispetto al Fn e permeato da ambizioni di
rinnovamento e di progresso non negabili). Il fallimento progressivo di
questa Europa e delle politiche di cui si nutre è sotto gli occhi di
tutti. I partiti dell'establishmenti, quelli del Pse e quelli del Ppe o
dei Liberali, lo sanno ma non è nella loro natura cambiare strategia. Si
blinderanno fino alla morte, sperando di recuperare, e continueranno
con l'andazzo di sempre. Al massimo, come fa Renzi in Italia,
cercheranno di recuperare anch'essi una dose di populismo per non
rimanere spiazzati del tutto.
Man mano, però, che l'austerità continua - con vantaggio per banche e
imprese private e scorno di lavoratori e precari - la spinta
euroscettica non potrà che aumentare perché oggi costituisce la vera
forza alternativa. Questo è il vero problema, anche per chi si colloca a
sinistra.
Se è così, non ce la si cava solo, come fa la lista Tsipras in Italia,
con un europeismo progressista. Serve un di più in termini di
scardinamento dei meccanismi dell'Unione senza per questo cedere al
sovranismo o all'illusione che basti uscire dall'euro per cambiare di
segno alle politiche liberiste. Per questo lavoriamo a una mobilitazione
all'insegna del "Disobbediamo ai Trattati". Occorre, infatti, mettere
al primo posto il ribaltamento delle priorità: basta con il rispetto dei
parametri, basta con il primato del debito, basta con la supremazia
delle banche. Qualsiasi politica europeista deve vedere al primo posto la riconquista di reddito e diritti,
il recupero del salario e dei diritti sociali tagliati o aboliti negli
ultimi dieci-venti anni. Cambiare verso significa andare davvero da
un'altra parte e se questa non coincide con le direttive della
burocrazia di Bruxelles i governi devono essere pronti a ogni evenienza.
Anche l'estromissione dalla moneta unica, non come scelta a monte ma
come conseguenza "a valle" per effetto del cambiamento radicale delle
politiche economiche e sociali. Questa è la prospettiva su cui si può
costruire movimento e allargare il fronte della resistenza. Su questo ci
muoveremo nei prossimi mesi, in particolare nelle giornate indette dal Coordinamento transnazionale Blockupy2014 che faremo vivere anche in Italia con una serie di date di mobilitazione dal 15 al 25 maggio.
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