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21/03/2014

Palestina - I numeri del processo di pace

Continuano gli sforzi internazionali per tenere in vita artificialmente quest’ultimo round di negoziati  ormai moribondi. Continuano, nonostante l’inconciliabilità delle posizioni e l’assurdità delle richieste che entrambe le parti dichiarano di ricevere. Ora si parla di prolungare il negoziato da sei mesi a un anno, con Israele che minaccia di far saltare l’accordo siglato a luglio per la liberazione dell’ultima mandata di prigionieri palestinesi se Abu Mazen si rifiutasse di trascinarsi ulteriormente negli infruttuosi colloqui.

Tra dubbi e sfiducia, l’unico dato certo è che se il negoziato continuerà, lo farà sulla pelle dei palestinesi. In un rapporto diffuso martedì scorso dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, si snocciolano i numeri del processo di pace: 56 palestinesi uccisi e 897 feriti dall’inizio dei colloqui nel luglio scorso. L’ultimo a morire, non ancora conteggiato nelle griglie ufficiali, è stato ieri Yousef Sami Shawamreh, 15 anni, colpito alla schiena dai militari israeliani nel villaggio di Deir al-Asal al-Tahta, a 15 km a sud di Hebron, mentre raccoglieva della gundelia, un’erba usata per cucinare. Secondo l’esercito israeliano, invece, stava “cercando di danneggiare la barriera” di separazione assieme ai suoi amici.

Già lo scorso mese su Tel Aviv erano piovute le critiche delle organizzazioni internazionali,  in primis Amnesty International, che accusava i soldati israeliani di avere il “grilletto facile” e di uccidere senza alcun ritegno persone che non rappresentavano “alcuna minaccia”: a questo le autorità israeliane avevano risposto con i numeri del “forte aumento degli attacchi violenti e terroristici palestinesi”, lamentando 132 israeliani (coloni illegali) feriti nel 2013.

Feriti che, a quanto pare, necessiterebbero di protezione: come la scorta fornita dai militari israeliani ai coloni per le loro scorribande nei villaggi palestinesi, documentate continuamente da gruppi di informazione israeliani e palestinesi per i diritti umani. O come le incursioni, sempre più frequenti, dei coloni nei luoghi sacri sparsi in tutti i Territori occupati, siano essi la moschea di al-Aqsa di Gerusalemme sacra per i musulmani o la tomba di Giuseppe nel centro del campo profughi di Balata, a Nablus, dove devoti israeliani effettuano il pellegrinaggio una notte al mese protetti da cordoni di militari.

Gli attacchi dei coloni negli otto mesi passati dall’inizio dei negoziati hanno toccato quota 500 in Cisgiordania e a Gerusalemme est, con danni ai campi coltivati e alle abitazioni, oltre agli atti di vandalismo verso chiese, moschee e altri edifici pubblici e privati. Assieme a questo, è stato registrato un aumento vertiginoso dei raid dell’esercito israeliano nei Territori occupati, con 3.676 incursioni nelle zone sotto esclusivo controllo palestinese (area A) e più di 3 mila arresti, oltre a decine di raid dell’aviazione su Gaza e centinaia di episodi di violenza da parte dell’esercito israeliano nella Striscia – dall’allontanamento dei pescatori e dei contadini, al fuoco sulle manifestazioni settimanali dei giovani gazawi al confine e agli omicidi mirati. E se ciò non bastasse, dall’inizio dei negoziati Israele ha annunciato e cominciato la costruzione di migliaia di nuove unità abitative nelle colonie: 10.509 per l’esattezza, mentre in otto mesi sono state demolite quasi 150 abitazioni palestinesi per far loro posto.

“Violazioni israeliane del diritto internazionale – si legge nel comunicato diffuso dall’Olp – e dei diritti umani hanno continuato senza sosta. Piuttosto che dimostrare buona volontà nel corso di questo periodo, Israele ha fatto il contrario, con l’obiettivo di deragliare gli sforzi di pace statunitensi guidati dal Segretario di Stato Kerry”. In ultimo, i numeri dei prigionieri palestinesi da liberare secondo l’accordo siglato tra Israele e Anp all’inizio dei negoziati: 104, di cui 78 già rilasciati in tre differenti tranches. Ora Israele minaccia di non liberare gli ultimi 30 il 29 marzo, ma di trattenerli perché “i palestinesi – ha affermato il ministro dell’economia Naftali Bennet, politico estremista legato ai movimenti dei coloni – non hanno fatto alcun passo avanti nel processo di pace promosso dagli Stati Uniti”.

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