di Mario Lombardo
Nonostante la sorte del volo
Malaysia Airlines 370 e dei suoi 239 passeggeri continui a rimanere
avvolta nel mistero a più di dieci giorni dalla scomparsa, alcune
rivelazioni giornalistiche e delle autorità locali hanno iniziato in
questi giorni a fare luce su quanto è accaduto nei cieli del sud-est
asiatico durante le prime ore di sabato 8 marzo. In particolare,
l’ipotesi del dirottamento sembra diventata ora la più probabile dopo la
notizia di una deliberata inversione di rotta a bordo del velivolo.
Inoltre, citando anonime fonti americane, il New York Times
ha riportato che l’aereo avrebbe cambiato la propria rotta non con una
virata operata manualmente ma in seguito alla modifica delle coordinate
di volo sul computer di bordo.
Ciò comporta anche la pressoché
totale certezza che ad operare le modifiche necessarie alla rotta Kuala
Lumpur-Pechino sia stato un esperto del funzionamento del Boeing 777 o,
quanto meno, di altri modelli della compagnia statunitense.
In
questo nuovo scenario, le indagini si stanno concentrando sul
comandante, Zaharie Ahmad Shah, e sul giovane co-pilota, Fariq Abdul
Hamid, le cui abitazioni nella capitale malese sono già state
perquisite. In quella del comandante è stato analizzato il simulatore di
volo che egli aveva a disposizione, ma le tracce rimaste delle
esercitazioni si riferirebbero a molteplici piste di atterraggio in Asia
e in Europa, senza fornire indicazioni di possibili piani suicidi.
Quest’ultima
ipotesi si scontra d’altra parte con le altre rivelazioni diffuse già
la settimana scorsa, cioè che il Boeing 777 aveva proseguito il proprio
volo per almeno altre sei ore dopo che gli strumenti di comunicazione
con i controllori del traffico aereo civile erano stati spenti.
Come
è noto, sono stati i radar militari malesi a rivelare sia la virata
dalla rotta prestabilita che il proseguimento del volo. Nella giornata
di martedì ciò è stato confermato anche dai militari thailandesi, i
quali hanno fatto sapere di avere ricevuto fino all’1:22 dell’8 marzo
scorso i normali segnali dal volo MH370 diretto a Pechino, per poi
vederlo sparire dai radar. Sei minuti più tardi, l’aviazione militare
thailandese ha poi intercettato il segnale di un velivolo sconosciuto,
possibilmente quello della Malaysia Airlines, diretto ora verso ovest al
di sopra dello Stretto di Malacca.
Dal
momento che i segnali satellitari non permettono di localizzare il
velivolo, le ricerche si stanno concentrando in aree comprese
all’interno di due ampie zone a forma di arco, la prima verso nord-ovest
e che va dalla Thailandia fino al Kazakistan, la seconda verso sud
dall’Indonesia all’Oceano Indiano sud-orientale.
La prima area ha
suggerito svariate teorie vista la folta presenza in essa di
organizzazioni terroristiche. Difficilmente, tuttavia, l’aereo avrebbe
potuto effettuare un atterraggio senza essere intercettato, dal momento
che avrebbe dovuto attraversare spazi aerei fortemente sorvegliati da
vari paesi. Nel secondo caso, invece, sono inclusi ampi tratti marini
spesso senza copertura radar, così che un eventuale schianto potrebbe
risultare difficile da individuare.
Nell’Oceano Indiano
sud-orientale le ricerche sono affidate alle autorità australiane, le
quali hanno però avvertito delle difficoltà incontrate nel coprire
un’area molto vasta con mezzi limitati.
A rendere ancora più
complicata la vicenda è stata poi una dichiarazione rilasciata dal
governo cinese sempre nella giornata di martedì. Pechino, cioè, non
avrebbe trovato alcuna prova che qualcuno tra i 153 passeggeri di
nazionalità cinese dei 227 a bordo sia da collegare a trame
terroristiche o di possibili dirottamenti.
Le autorità cinesi
potrebbero però cercare di allentare le pressioni a cui sono sottoposte
dopo il recente attentato terroristico nella città di Kunming, nel
sud-ovest del paese, condotto dai separatisti Uiguri che ha fatto 29
vittime.
La probabilità di un dirottamento porta in ogni caso a
valutare con attenzione la pista terroristica, anche se stranamente i
media e i governi occidentali, a cominciare da quelli americani, hanno
finora messo in guardia da conclusioni affrettate in questo senso,
mentre in presenza di episodi sospetti sono soliti agitare la minaccia
terroristica anche in assenza di indizi significativi.
Tra i
pochi a non avere escluso questa pista già la settimana scorsa è stato il
direttore della CIA, John Brennan, il quale in un intervento al Council
on Foreign Relations di New York aveva ammesso l’ipotesi del terrorismo,
suggerendo addirittura non meglio specificate “rivendicazioni di
responsabilità” circa l’aereo scomparso.
Che gli Stati Uniti
possano essere in possesso di maggiori informazioni sull’accaduto lo si
può ipotizzare dalla massiccia presenza di installazioni militari e
sistemi di sorveglianza su cui possono contare in quest’area del globo,
soprattutto in seguito all’escalation militare seguita alla svolta
strategica anti-cinese nel continente asiatico decisa
dall’amministrazione Obama.
Questa
possibilità l’ha prospettata nel fine settimana anche un ex comandante
dell’aviazione militare USA, generale Tom McInerney. Quest’ultimo, in
un’intervista rilasciata alla Fox ha affermato che il governo
americano sa molto di più di quanto afferma pubblicamente e che ha “un
quadro [dell’accaduto] più chiaro di quello dei governi di Cina e
Malaysia”.
Dichiarazioni simili gettano qualche ombra anche sulla
polemica, ora parzialmente rientrata, tra Kuala Lumpur e Washington,
con il governo malese che avrebbe rifiutato l’assistenza dell’FBI nelle
indagini per poi smorzare i toni e confermare pubblicamente la
collaborazione con l’ente federale di polizia statunitense.
Oltre
a questi interrogativi ne restano poi aperti molti altri, a cominciare
dalle reali identità dei passeggeri - o di alcuni di essi - che
potrebbero rappresentare la chiave per la risoluzione del mistero.
Inoltre,
anche il comportamento del governo malese continua a suscitare
perplessità. Innanzitutto, non è chiaro il motivo per cui l’annuncio del
cambiamento di rotta del Boeing 777 sia avvenuto così tardivamente
nonostante i militari avessero da subito intercettato segnali radar dal
velivolo scomparso.
Il governo di Kuala Lumpur, infine, aveva
inizialmente smentito le notizie provenienti dagli Stati Uniti che
l’aeromobile aveva volato a lungo dopo avere perso contatto con i
controllori del traffico aereo civile, per poi fare marcia indietro
poche ore più tardi e confermare pubblicamente le rivelazioni diffuse
dalla stampa internazionale.
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