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20/03/2014

Il volo dei misteri

di Mario Lombardo

Nonostante la sorte del volo Malaysia Airlines 370 e dei suoi 239 passeggeri continui a rimanere avvolta nel mistero a più di dieci giorni dalla scomparsa, alcune rivelazioni giornalistiche e delle autorità locali hanno iniziato in questi giorni a fare luce su quanto è accaduto nei cieli del sud-est asiatico durante le prime ore di sabato 8 marzo. In particolare, l’ipotesi del dirottamento sembra diventata ora la più probabile dopo la notizia di una deliberata inversione di rotta a bordo del velivolo.
Inoltre, citando anonime fonti americane, il New York Times ha riportato che l’aereo avrebbe cambiato la propria rotta non con una virata operata manualmente ma in seguito alla modifica delle coordinate di volo sul computer di bordo.

Ciò comporta anche la pressoché totale certezza che ad operare le modifiche necessarie alla rotta Kuala Lumpur-Pechino sia stato un esperto del funzionamento del Boeing 777 o, quanto meno, di altri modelli della compagnia statunitense.

In questo nuovo scenario, le indagini si stanno concentrando sul comandante, Zaharie Ahmad Shah, e sul giovane co-pilota, Fariq Abdul Hamid, le cui abitazioni nella capitale malese sono già state perquisite. In quella del comandante è stato analizzato il simulatore di volo che egli aveva a disposizione, ma le tracce rimaste delle esercitazioni si riferirebbero a molteplici piste di atterraggio in Asia e in Europa, senza fornire indicazioni di possibili piani suicidi.

Quest’ultima ipotesi si scontra d’altra parte con le altre rivelazioni diffuse già la settimana scorsa, cioè che il Boeing 777 aveva proseguito il proprio volo per almeno altre sei ore dopo che gli strumenti di comunicazione con i controllori del traffico aereo civile erano stati spenti.

Come è noto, sono stati i radar militari malesi a rivelare sia la virata dalla rotta prestabilita che il proseguimento del volo. Nella giornata di martedì ciò è stato confermato anche dai militari thailandesi, i quali hanno fatto sapere di avere ricevuto fino all’1:22 dell’8 marzo scorso i normali segnali dal volo MH370 diretto a Pechino, per poi vederlo sparire dai radar. Sei minuti più tardi, l’aviazione militare thailandese ha poi intercettato il segnale di un velivolo sconosciuto, possibilmente quello della Malaysia Airlines, diretto ora verso ovest al di sopra dello Stretto di Malacca.

Dal momento che i segnali satellitari non permettono di localizzare il velivolo, le ricerche si stanno concentrando in aree comprese all’interno di due ampie zone a forma di arco, la prima verso nord-ovest e che va dalla Thailandia fino al Kazakistan, la seconda verso sud dall’Indonesia all’Oceano Indiano sud-orientale.

La prima area ha suggerito svariate teorie vista la folta presenza in essa di organizzazioni terroristiche. Difficilmente, tuttavia, l’aereo avrebbe potuto effettuare un atterraggio senza essere intercettato, dal momento che avrebbe dovuto attraversare spazi aerei fortemente sorvegliati da vari paesi. Nel secondo caso, invece, sono inclusi ampi tratti marini spesso senza copertura radar, così che un eventuale schianto potrebbe risultare difficile da individuare.

Nell’Oceano Indiano sud-orientale le ricerche sono affidate alle autorità australiane, le quali hanno però avvertito delle difficoltà incontrate nel coprire un’area molto vasta con mezzi limitati.

A rendere ancora più complicata la vicenda è stata poi una dichiarazione rilasciata dal governo cinese sempre nella giornata di martedì. Pechino, cioè, non avrebbe trovato alcuna prova che qualcuno tra i 153 passeggeri di nazionalità cinese dei 227 a bordo sia da collegare a trame terroristiche o di possibili dirottamenti.

Le autorità cinesi potrebbero però cercare di allentare le pressioni a cui sono sottoposte dopo il recente attentato terroristico nella città di Kunming, nel sud-ovest del paese, condotto dai separatisti Uiguri che ha fatto 29 vittime.

La probabilità di un dirottamento porta in ogni caso a valutare con attenzione la pista terroristica, anche se stranamente i media e i governi occidentali, a cominciare da quelli americani, hanno finora messo in guardia da conclusioni affrettate in questo senso, mentre in presenza di episodi sospetti sono soliti agitare la minaccia terroristica anche in assenza di indizi significativi.

Tra i pochi a non avere escluso questa pista già la settimana scorsa è stato il direttore della CIA, John Brennan, il quale in un intervento al Council on Foreign Relations di New York aveva ammesso l’ipotesi del terrorismo, suggerendo addirittura non meglio specificate “rivendicazioni di responsabilità” circa l’aereo scomparso.

Che gli Stati Uniti possano essere in possesso di maggiori informazioni sull’accaduto lo si può ipotizzare dalla massiccia presenza di installazioni militari e sistemi di sorveglianza su cui possono contare in quest’area del globo, soprattutto in seguito all’escalation militare seguita alla svolta strategica anti-cinese nel continente asiatico decisa dall’amministrazione Obama.

Questa possibilità l’ha prospettata nel fine settimana anche un ex comandante dell’aviazione militare USA, generale Tom McInerney. Quest’ultimo, in un’intervista rilasciata alla Fox ha affermato che il governo americano sa molto di più di quanto afferma pubblicamente e che ha “un quadro [dell’accaduto] più chiaro di quello dei governi di Cina e Malaysia”.

Dichiarazioni simili gettano qualche ombra anche sulla polemica, ora parzialmente rientrata, tra Kuala Lumpur e Washington, con il governo malese che avrebbe rifiutato l’assistenza dell’FBI nelle indagini per poi smorzare i toni e confermare pubblicamente la collaborazione con l’ente federale di polizia statunitense.

Oltre a questi interrogativi ne restano poi aperti molti altri, a cominciare dalle reali identità dei passeggeri - o di alcuni di essi - che potrebbero rappresentare la chiave per la risoluzione del mistero.

Inoltre, anche il comportamento del governo malese continua a suscitare perplessità. Innanzitutto, non è chiaro il motivo per cui l’annuncio del cambiamento di rotta del Boeing 777 sia avvenuto così tardivamente nonostante i militari avessero da subito intercettato segnali radar dal velivolo scomparso.

Il governo di Kuala Lumpur, infine, aveva inizialmente smentito le notizie provenienti dagli Stati Uniti che l’aeromobile aveva volato a lungo dopo avere perso contatto con i controllori del traffico aereo civile, per poi fare marcia indietro poche ore più tardi e confermare pubblicamente le rivelazioni diffuse dalla stampa internazionale.

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