Sky TG24 Economia, 28 marzo 2014. Matteo
Renzi difende la riforma del lavoro che elimina l’obbligo di causale
sui contratti a tempo determinato e agevola l’apprendistato. Quali sono i
reali moventi di questa ulteriore precarizzazione dei contratti? Come
riconosciuto anche dal capo economista del Fondo Monetario
Internazionale, stando alle evidenze empiriche disponibili non è
possibile stabilire correlazioni tra maggiore precarietà e minore
disoccupazione. E’ vero invece che i contratti precari riducono il
potere rivendicativo dei lavoratori e consentono quindi di ridurre i
salari [1]. Per la BCE e per la Commissione UE è in fondo questo il
motivo per cui le riforme del lavoro sono auspicabili: esse dovrebbero
consentire all’Italia e agli altri paesi periferici di ridurre lo scarto
di competitività rispetto alla Germania e agli altri paesi centrali
dell’eurozona. Il problema è che quel divario è enorme. Il differenziale
di crescita tra i costi unitari del lavoro italiani e tedeschi dalla
nascita dell’euro ad oggi ammonta a circa 25 punti percentuali. Pensare
di colmarlo a colpi di flessibilità dei contratti e conseguente
schiacciamento dei salari è un’illusione pericolosa, che in realtà
alimenta una gara al ribasso in grado di deprimere ulteriormente i
redditi e l’occupazione. Alessandro Marenzi intervista Giampaolo Galli
(Partito Democratico) e Emiliano Brancaccio (Università del Sannio).
[1] “Le differenze nei regimi di
protezione dell’impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze
tra i tassi di disoccupazione dei vari paesi” (O. Blanchard, “European
unemployment: the evolution of facts and ideas”, Economic Policy 2006). Cfr. anche E. Brancaccio, Anti-Blanchard. Un approccio comparato allo studio della macroeconomia, Franco Angeli, Milano 2012.
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