La Lega araba ha concluso il suo vertice in Kuwait dedicato in buona parte alla guerra civile siriana, appellandosi da un lato all’intervento del Consiglio di Sicurezza per fermare il conflitto e dall’altro invocando, per bocca del principe ereditario saudita Salman, l’invio di rifornimenti di armi alle milizie – siriane e jihadiste straniere –, «per alterare la situazione sul campo» che nell’ultimo anno ha visto le forze governative recuperare il controllo di una parte del terreno perduto tra il 2011 e il 2012. Dopo aver subito sconfitte devastanti a Qusair, nel 2013, e a Yabroud, pochi giorni fa, e la perdita del controllo della frontiera con il Libano, da dove arrivavano integralisti sunniti e armi, l’opposizione ha lanciato venerdì scorso un’offensiva a Kasab, un valico sulla frontiera tra Siria e Libano, che ha colto di sorpresa l’Esercito siriano nella provincia di Latakiya. L’attacco ha un forte significato simbolico perché avviene nella roccaforte degli alawiti e della famiglia Assad.
E’
in corso una battaglia feroce, che ha già fatto centinaia di morti, di
eccezionale importanza per le milizie del Fronte al Nusra (ala siriana
di al Qaeda) e dell’Esercito libero siriano (il braccio armato della
Coalizione Nazionale dell’opposizione). Tra i caduti ci sono anche tre
parenti del presidente Bashar Assad, tra cui il cugino, Hilal al Assad,
capo della Difesa Civile, la forza paramilitare che si è rivelata
fondamentale nell’ultimo anno per mantenere il controllo di territori
strappati dall’Esercito e Hezbollah alle milizie ribelli. Obiettivo
dell’offensiva, pianificata da lungo tempo, è quello di creare una
testa di ponte in una zona strategica, in grado di fornire
all’opposizione un passaggio stabile per i rifornimenti di armi ed
equipaggiamenti e di compensare la perdita del controllo della frontiera
tra Libano e Siria. Essenziale è il sostegno di Ankara, che ha
fatto capire le sue intenzioni qualche giorno fa abbattendo un Mig
siriano sul confine. Il premier turco Erdogan, anche per ragioni
elettorali, ha deciso di intervenire direttamente nel conflitto, per ora
con un forte appoggio dalle retrovie, dopo aver capito che Assad non è
così debole e isolato come credeva sino ad un anno fa. Lo ha fatto rompendo l’accordo non dichiarato di non trasformare la Turchia in una base di lancio per l’opposizione armata. Assad ha avuto il torto di sottovalutare le mosse di uno dei suoi più accaniti nemici.
Al
Nusra e l’Esl stanno facendo progressi, anche se limitati, e hanno
costretto l’Esercito governativo ad inviare a Kasab truppe fresche e ben
addestrate per respingere l’assalto. E’ questo il secondo obiettivo
dell’offensiva: obbligare Damasco a concentrare parte delle sue forze
nella provincia di Latakiya. Così l’Esercito governativo avrà
meno uomini da impiegare nel sud del Paese dove al Nusra, l’Esl e una
cinquantina di gruppi islamisti si sono uniti in una nuova alleanza
militare e, grazie alle armi e munizioni (pagate dai sauditi) che
entrano dalla Giordania, stanno per lanciare un attacco massiccio verso
Damasco, che dista poche decine di chilometri. Hanno già preso il
controllo di Quneitra e di altre località a ridosso delle alture del
Golan occupate da Israele. Non è noto se alla battaglia di
Kasab stiano partecipando, dalla parte di Damasco, anche combattenti
sciiti di Hezbollah e dalla brigata Abbas, che hanno giocato un ruolo
fondamentale nelle battaglie di Quseir e Yabroud e per il controllo del
monte Qalamoun. E’ prevedibile che saranno impiegati solo se le cose
volgeranno al peggio perché ora servono sul fronte meridionale e lungo
la frontiera con il Libano.
L’opposizione
e suoi numerosi sponsor regionali e occidentali punta a sfiancare
l’Esercito governativo che ha retto all’urto delle forze ribelli ma ha
perduto sino ad oggi 30 mila soldati (altre migliaia
sono rimasti feriti gravemente) . Perdite che l’Esercito pensa di
colmare con la leva di 20mila giovani (ora ancora nelle scuole) nei
prossimi tre anni. Un costo sociale elevato per una popolazione sfinita
da tre anni di combattimenti, attentati jihadisti, stragi a sfondo
religioso, bombardamenti. Un bagno di sangue che ha fatto oltre 140mila morti e costretto milioni di siriani ad abbandonare le loro case.
Senza dimenticare l’economia ferma e l’inflazione alle stelle. Su
questa fragilità giocano gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita – a fine
settimana è previsto un summit tra Barack Obama e re Abdallah –
per far crollare Bashar Assad destinato ad essere sempre più dipendente
dall’aiuto economico e militare dell’Iran e della Russia.
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