Era da tempo, troppo tempo, che questo paese doveva fare i conti con due macigni sulla sua storia. Quello degli “italiani brava gente” e quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra italiani – così come a quelli tedeschi – alla fine della seconda guerra mondiale. Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, ha finalmente aperto una inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, in particolare in Grecia, Jugoslavia, Albania. Non è dato sapere se la cosa verrà estesa a Libia ed Etiopia.
Il dott. De Paolis per ora si è limitato a far saper che è partito un "accertamento conoscitivo" e che è stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioè "atti relativi a", ma senza indagati.
A smuovere le acque è stato l'esposto presentato da alcuni cittadini, ispirato da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che rivelò all'opinione pubblica il famigerato "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupò una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, è firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie località della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco più di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorità competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, già da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si è appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.
Recentemente un giovane storico, Davide Conti, ha pubblicato il libro “Criminali di guerra italiani” dove, attraverso un'ampia mole di documenti ufficiali, ricostruisce i crimini di guerra commessi dal regio esercito durante l'occupazione italiana in Albania, Jugoslavia, Urss e Grecia e di cui le alte gerarchie militari avrebbero dovuto rispondere alla fine della guerra. Più precisamente, illustra le trattative, gli accordi, le politiche dilatorie attuate dal governo di Roma per giungere a eludere ogni forma di sanzione giuridica ai danni dei vertici del proprio esercito cosicché i mancati processi, le assoluzioni e la generale impunità ha permesso la narrazione auto-assolutoria degli italiani "brava gente".
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