In Turchia è iniziato il conto alla rovescia verso le elezioni
amministrative. Portando al voto tutte le città e le province del Paese,
questo appuntamento elettorale rappresenta un banco di prova
importante per le forze politiche in gioco; ma in particolare dopo
l’ondata di proteste sollevata dalla vicenda Gezi Park, il frantumarsi
delle alleanze nel fronte dell’islam politico moderato e l’emergere di
una serie di scandali di corruzione che hanno coinvolto il Partito della
giustizia e dello sviluppo e travolto il governo, fanno si che questo
voto sia diventato decisivo per il futuro politico del premier Recep
Tayp Erdogan.
Di conseguenza in questi giorni si assiste a un surplus di escalation
di tensione che investe più fronti, dal locale al globale, dal politico
allo scandalistico. E in questo senso tutti si stanno dando da fare
senza esclusione di colpi. Il primo ministro al solito ostenta
sicurezza, adoperando con spavalderia e arroganza anche le misure più
impopolari e per alcuni versi controproducenti, come la messa al bando
di Twitter.
Mossa che oltre alle dure critiche della comunità internazionale, è
stata boicottata dallo stesso presidente della Repubblica Turca
Abdullah, che ha aggirato il blocco, come abbastanza agevolmente stanno
facendo tutti gli utenti, per dissentire pubblicamente da quella che è
stata una decisione unilaterale del governo e la cui origine
giudiziaria è stata smentita dal tribunale stesso. Un tentativo di
censura risolto in un flop quindi, ma che va comunque nella pericolosa
direzione di dissuadere i media nella diffusione di notizie invise al
governo. Anche il canale YouTube è sotto il mirino, per la pubblicazione di video inerenti la presunta corruzione dell’esecutivo.
E il fronte social media non cessa di surriscaldarsi: da giorni si parla di nuove “verità” devastanti, di presunti video hard con
protagonisti uomini del potere islamico che verranno diffusi sulla
rete. Per non parlare della voce sulla presunta relazione del premier
Erdogan con l’ex-Miss Turchia Defne Samyeli. Finora nessuna prova.
Nel frattempo, quasi non ci si accorge della rimozione di 271
magistrati, che si aggiungono agli altri 200 giudici e agli 8mila
funzionari di polizia che in seguito allo scoppio dello scandalo
corruzione sono stati sollevati dall’incarico o trasferiti, mentre
rimbalza sui media internazionali la notizia dell’abbattimento di un aereo siriano avvenuto al confine fra i due Paesi,
per aver violato lo spazio aereo di Ankara. Secondo fonti militari di
Damasco stava colpendo postazioni di terroristi in territorio siriano.
Reciproche accuse di interventi da parte di entrambi i Paesi come già
avvenuto in occasione di altri incidenti negli ultimi due anni, da
quando la Turchia è apertamente schierata contro il regime di Bashar al
Assad. Un innalzamento della tensione orchestrato ad hoc secondo il principale partito di opposizione,
il cui leader Kemal Kilicdaroglu già tre giorni prima aveva denunciato
il rischio che Erdogan, invischiato negli scandali di corruzione, si
lanciasse in una “avventura” militare in Siria tutta pre elettorale. E
che potrebbe avere anche come scopo la sospensione delle elezioni amministrative.
Considerazioni a cui il ministro degli Esteri Davutoglu ha replicato
dicendo che al momento le elezioni sono al sicuro e accusando
l’opposizione di antipatriottismo. Di fatto, a 5 giorni dal voto la
Turchia punta i fucili sulla Siria, che entra in primo piano nella
campagna elettorale: non a caso l’annuncio dell’abbattimento del jet è
stato fatto dal premier stesso durante un comizio elettorale. Quel che
si suol dire difendersi attaccando.
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