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28/03/2014

Padoan e Visco, la contraddizione che non c'è


Il divorzio tra il Tesoro e la Banca d'Italia si è manifestato stamattina nella commemorazione del centenario di Guido Carli, che si è tenuto alla Luiss, università privata in calo di ascolti e credibilità. Quella che fu un'invenzione bislacca di Nino Andreatta, nel 1981, che ha poi fatto scuola in Europa, preparando la follia di una Banca Centrale Europea politicamente irresponsabile e strabicamente concentrata soltanto nella lotta all'inflazione, ha partorito infatti una mezza contrapposizione “dottrinale” tra il nuovo ministro dell'economia e il governatore della Banca d'Italia. Con il primo dipinto lanciatissimo nel chiedere un cambio radicale nella politica economica dell'Unione Europea e l'altra arroccato nella difesa del “rigore”, a partire dalle “riforme strutturali”. Differenze d'accenti, oltre che di ruolo istituzionale, ma meno di stanze di quanto non sembri. Anche perché Pier Carlo Padoan – appena arrivato dall'Ocse – non è certo il “keynes di sinistra” che popola inutilmente i sogni di molti; e Ignazio Visco non è affatto la maschera pacioccona del luciferino Wolfgang Schaeuble, ministro dell'economia tedesca e padre-padrone delle politiche economiche dentro la Ue.

Fresco di briefing con gli sherpa obamiani, e in linea con la “necessità oggettiva” di disincagliare le scelte del governo Renzi dalle secche disegnate dai trattati Ue, il primo ha scandito parole a mezza strada tra l'ultimatum e la richiesta d'aiuto: «Io penso sia il momento di dire che bisogna cambiare la direzione dell'agenda della politica economica in Europa e non solo perché suona bene»; anche perché «l'aggiustamento strutturale riguarda tutti, anche la Germania». La quale, spiega dettagliatamente un report di Kairos, ha perso competitività nelle proprie esportazioni verso Cina e Russi (e India) a causa del troppo forte apprezzamento dell'euro. Una conseguenza involontaria delle proprie decisioni, imposte peraltro a tutta Europa. Quindi ora esiste un margine per “correggere la rotta” che prima non si poteva vedere. Lo sa Obama, lo sa Renzi, ma lo sapeva benissimo anche la Merkel. Un primo segnale c'è già stato: il terribile Fiscal Compact entrerà in vigore con un anno di ritardo, dal 1 gennaio 2016, anziché dal prossimo Capodanno.

Così, a ben guardare, anche le parole di Visco sono meno distanti dalla “correzione” di quanto suonavano al primo ascolto. Vero, ha detto senza mezzi termini che «i segnali di risveglio che vediamo sono incoraggianti, ma vanno confermati con un'azione riformatrice costante»; e quindi che «Solo affrontando risolutamente i nodi strutturali» sarà possibile crescere in modo robusto e duraturo. Ma ha anche ammesso che i problemi dell'economia italiana non sono nati con lo “spendi che ti passa” di cui favoleggiano i liberisti.

Ha sparato naturalmente contro i «lacci e lacciuoli, intesi come rigidità legislative burocratiche, corporative, imprenditoriali, sindacali», che « sono sempre la remora principale allo sviluppo del nostro paese». Accomunando in un sol fascio sia le imprese che i sindacati complici, sia la burocrazia statale (funzionari intermedi e manager fannulloni) che i residui di clientele ormai prive di “utilità” (produzione di consenso).

Ma «la nostra economia ha subìto una ferita: né l'impulso della spesa pubblica, pur se orientata nelle direzioni più congrue, né l'espansione creditizia, pur se attuata con coraggio, varranno, da soli, a restituirle vigore. Occorrerà che durante un certo intervallo temporale si realizzino incrementi della produttività in modi compatibili con i più progrediti assetti che si mira a stabilire nella vita aziendale e nelle condizioni di lavoro». E qui l'apparente “rigorismo” di Visco si salda strettamente con il “correzionismo” di Renzi e Padoan: mettiamo in campo la “riforma strutturale del mercato del lavoro” – unica via rimasta, secondo questa visione, per “restituire competitività” alla produzione italiana – e la crescita tornerà ad affacciarsi sul nostro paese.

Insomma: stabilito chi deve pagare il conto per il “riequilibrio dei conti” (il lavoro dipendente presente e futuro), ci si capisce molto meglio...

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