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24/03/2014

Conformismo di massa e apocalissi tecnologiche: l'uomo è antiquato?

Per tutti gli anni Novanta il confronto fra integrati e apocalittici (per usare l’abusata formula di Umberto Eco) è stato al centro del dibattito sugli effetti sociali, economici, culturali e politici delle nuove tecnologie. Oggi questo conflitto sembra meno attuale a causa della sparizione, o quasi, di uno dei due campi. La voce degli apocalittici, infatti, si è fatta sempre più fievole, fino a ridursi a un vago rumore di disturbo sullo sfondo del possente coro degli integrati. Si sta dunque realizzando la profezia del più geniale degli apocalittici moderni (quel Gunther Anders che già alla fine dei Cinquanta – nel suo capolavoro, “L’uomo è antiquato” – formulò concetti ampiamente saccheggiati nei decenni successivi)?

Anders pensava che il conformismo di massa, che lui identificava con l’accettazione passiva di tutti i vincoli imposti dalla tecnologia, sarebbe inesorabilmente cresciuto, fino a divenire una potenza irresistibile, sorda a ogni voce critica. La Net Generation è forse quella destinata a incarnare tale inquietante profezia? Verrebbe da pensarlo, ove si consideri la relativa indifferenza con cui vengono accolte certe notizie. Ne cito solo due che mi hanno particolarmente colpito.

Prima notizia. A Phoenix, in Arizona, si è tenuto un convegno delle agenzie incaricate di sorvegliare il confine fra Messico e Stati Uniti. La riunione si è trasformata in una fiera commerciale in cui decine di imprese hi tech hanno presentato i loro prodotti (robot, droni, sensori e quant’altro) come strumenti irrinunciabili per la polizia di confine incaricata di “dissuadere” i tentativi di immigrazione clandestina. Dall’articolo del NYT apprendiamo che tutte queste tecnologie sono state progettate (e in parte già sperimentate) a scopo bellico.

Seconda notizia. Un articolo del Washington Post, dopo avere rivelato che il numero delle persone che non leggono libri è triplicato dal 1978 ad oggi, suggerisce due soluzioni per combattere il fenomeno, che rischia di espropriare le nuove generazioni di un insostituibile strumento di conoscenza. Prima soluzione: infarcire i libri (elettronici) di sussidi multimediali; seconda soluzione: adottare tecnologie di lettura rapida (che risolvano il problema dell’eccessiva “lentezza di fruizione” del medium, che lo rende indigesto ai giovani). In particolare viene propagandato un software che, invece di farci “perdere tempo” a leggere da sinistra a destra, fa scorrere le parole ad elevata velocità in un unico punto focale.

Due brevi commenti: nel primo caso è evidente che ci si prepara a combattere una vera e propria guerra contro la spinta demografica dei Paesi poveri verso quelli ricchi; nel secondo è altrettanto evidente che non si tratta affatto di “modernizzare” il medium libro, bensì di sostituirlo integralmente con nuovi supporti che, per loro stessa natura, appaiono inadatti a trasmettere competenze critiche (l’analisi critica è figlia della lentezza, non dell’ipervelocità!).

Ma perché scarseggiano le riflessioni “apocalittiche” su queste – e tante altre – notizie? Perché il pensiero apocalittico è fallito per il seguente motivo: i suoi cultori – a partire dallo stesso Anders – incolpano la tecnica in quanto tale degli orrori ipermoderni e, al tempo stesso, riconoscono l’ineluttabilità dell’avanzata tecnologica (“tutto quello che si può fare finirà per essere fatto, senza ragionare sulle conseguenze”). Ma ciò significa associare la rassegnazione alle profezie di sventura. Se invece tornassimo a guardare la luna e non il dito, cioè non la tecnica bensì gli interessi che essa incarna (chi vuole fare la guerra ai migranti? chi vuole spegnere lo spirito critico delle nuove generazioni?), forse avremmo una visione meno fatalista e catastrofica del futuro: certo, la tecnica non è mai “neutra”, ma proprio per questo possiamo immaginare di resisterle e farle cambiare direzione e, ove necessario, “fermarla” (non tutto quello che può essere fatto deve essere fatto).

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