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19/03/2014

Egitto, elezioni presidenziali senza candidati

Le elezioni si avvicinano ma finora solo Sabbahi (Fronte di Salvezza Nazionale) ha annunciato la sua candidatura. Il Generale al-Sisi continua a mantenere il riserbo e a non scendere ufficialmente in campo. Ma tutti lo danno per vincitore.

Il generale Abdel Fattah al-Sisi
Un sondaggio condotto dal “Centro egiziano per l’Opinione Pubblica” Baseera ha confermato ciò che molti egiziani sanno già molto bene: se il Generale Abdel Fattah al-Sisi si candiderà alle prossime presidenziali vincerà senza problemi. Secondo i dati di Baseera il 51% degli egiziani ha deciso che voterà per l’attuale Ministro della Difesa, nonostante la sua candidatura non sia stata ancora ufficializzata. Il 45% degli intervistati ha detto di essere ancora indecisa mentre solo l’1% ha dichiarato che voterà per il candidato dell’opposizione Hamdeen Sabbahi che, per ironia della sorte, è l’unico finora ad aver annunciato la propria candidatura.

I risultati del sondaggio, eseguito tra il 27 febbraio e il 4 marzo su un campione di 2.062 intervistati di età superiore ai 18 anni, hanno evidenziato alcuni aspetti interessanti sebbene non sorprendenti. L’affluenza alle urne dovrebbe essere molto alta intorno all’83% (81% nei governatorati urbani, 79% nell’Alto Egitto). La percentuale di coloro che non intende votare tra i giovani fino ai 30 anni è il doppio rispetto a quella degli intervistati che hanno una età superiore ai 30.

Dunque ennesima conferma che il Generale ha la vittoria in pugno. L’unica domanda da porsi è solo quando arriverà l’ufficialità della sua candidatura. O, posta in un modo diverso, è perché tarda ad arrivare. Al momento al-Sisi non si è dimesso dalla carica militare, non ha ufficializzato la sua partecipazione elettorale né ha affrontato pubblicamente il tema preferendo dribblare l’argomento. Ciononostante, la stampa locale e gli analisti internazionali continuano a considerare la sua candidatura certa, un suo annuncio imminente e già ne celebrano il trionfo. Il Generale, del resto, ha già incassato il sostegno delle Forze Armate e poster con la sua fotografia fanno ormai parte dell’arredo urbano del Paese.

Ma se appare certo primo o poi il suo annuncio, regna ancora incertezza su quanti lo sfideranno. Alcuni “big” si sono defilati. Il leader di “Egitto Forte”, Abdel Moneim Futuh, ha detto che non gareggerà. A defilarsi è stato anche l’ex Capo di Stato Maggiore, Sami Annan. La scorsa settimana Annan ha sciolto gli ultimi dubbi affermando che la sua decisione deriva dal bisogno di dare “priorità al bene nazionale, alla comprensione dei pericoli che incombono sul Paese e i complotti orditi contro lo stato”. In poche parole non interferire con la giunta militare.

Domenica poi è stato il turno dell’avvocato Khaled Alì. In una conferenza stampa tenuta presso il sindacato della stampa, Alì ha detto che non parteciperà alle presidenziali “farsa” dove “già si conosce il nome del vincitore”. Un chiaro riferimento ad al-Sisi, il vincente taciturno. “Vogliamo una vera democrazia, non ci prendete in giro, finitela con questo show” ha attaccato l’avvocato. La sua posizione è chiara e netta: “noi non prenderemo parte ad alcun accordo né saremo parte del vostro spettacolo”. Alì ha fortemente criticato la legge elettorale e l’atmosfera politica generale che si respira in Egitto. Secondo lui questi due fattori non permettono il regolare svolgimento delle elezioni.

Alì ha poi affrontato anche lo scottante tema della separazione tra esercito e politica. “Come politici – ha affermato – possiamo essere in disaccordo ed entrare in conflitto ma non possiamo permettere che l’esercito sia parte di questo conflitto perché ciò metterebbe a rischio non solo l’istituzione militare ma tutti noi”. In pratica per Alì i militari devono stare fuori dalla politica e limitarsi al loro campo. Ma, ha voluto precisare, come la battaglia che intende portare avanti non sia contro l’esercito ma contro coloro che cercano di ottenere vantaggi personali. Non sembra difficile immaginare che ancora una volta nella mente dei presenti sarà venuto in mente il vincente taciturno.

Per ciò che concerne la legge elettorale Alì ha evidenziato come essa permetta di iniziare la campagna elettorale solo dopo che la lista finale dei candidati è stata pubblicata. Ciò, in pratica, vuol dire dar meno di 20 giorni a ciascun candidato per effettuare la propria campagna elettorale.

Ad avvelenare il clima è per Alì anche la “legge sulle proteste”, approvata pochi mesi fa dal governo e che ha portato all’arresto di migliaia di manifestanti. Dunque Alì si tira fuori dai giochi? No, niente affatto. La sua scelta non è un ritiro dalla vita politica. Su questo punto è stato chiaro. Anzi, ha evidenziato come rispetto agli altri due schieramenti rappresentati dai militari e dal blocco della variegata opposizione guidata da Sabbahi, egli costituisca una “terza via” che pone come priorità la giustizia sociale.

Chi non prenderà parte alle presidenziali è anche il Presidente ad interim Mansour. La conferma è arrivata ieri durante una intervista con la CBC. Mansour ha anche aggiunto, non senza un pizzico di orgoglio, che “l’Egitto sta meglio rispetto all’inizio della fase di transizione”.

Una dichiarazione discutibile quella del Presidente. Quanto meno fuori luogo visto il clima che si respira in Egitto. La violenza e la repressione confutano la sua affermazione e mostrano quanto sia affrettata la sua tranquillità. Gli arresti sono all’ordine del giorno, il sangue scorre senza sosta. Sabato cinque poliziotti sono stati uccisi da uomini armati. “Sono stati i terroristi della Fratellanza” ha subito gridato il Cairo. Poco importa se il movimento aveva subito preso le distanze dall’attacco. Sì perché nell’“Egitto migliore” di Mansour non è importante dimostrare la colpevolezza quando il “nemico” è già pronto all’uso e si chiama dissenso.

Domenica cinque bombe sono state trovate nei pressi di una scuola a Talebeya a Giza e detonate dagli artificieri. Il Sinai continua ad essere di fatto una regione in mano a bande di islamisti che fanno il bello e il cattivo tempo nella penisola per poi spingersi all’interno del Paese a mietere vittime. In questo clima di tensione, violenza e paura, continuano senza sosta gli arresti. Due giorni fa le Forze Armate hanno catturato 17 “terroristi” a Sheykh Zuwayed e Rafah nel nord del Sinai dove, solo lo scorso mese, 112 miliziani sono stati uccisi o feriti in raid militari. L’esercito ha anche arrestato 69 persone sospettate di essere affiliate del gruppo estremista Ansar Beit al-Maqdes, autore di diversi attacchi a militari e forze di polizia. Accanto a questi dati si aggiunga la criminalizzazione dello straniero – soprattutto se palestinese – e il recente bando di Hamas perché legata ai “terroristi” della Fratellanza. Sì, ha ragione Mansour, è proprio un “Egitto migliore”.

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