21/03/2014
Se la disinformazione sulla Terra dei fuochi distrugge due volte
A monte c’era la camorra e quell’alleanza criminale con gli inquinatori favorita dalla connivenza della politica. A valle la lurida cointeressenza tra concorreanza sleale delle filiere agroindustriali, la disinformazione che specula sull’allarmismo ma non va mai a fondo sulle cause, forme ormai diffuse di fanatismo bio, e i mestatori nel torbido dell’odio antimeridionale. Tutti insieme hanno partorito in questi anni un mostro lanciato contro l’intera plurimillenaria agricoltura campana. Pochi mesi di martellamento mediatico tendenzioso hanno rappresentato un’intera regione come una Chernobil irrespirabile e hanno messo in ginocchio quasi tutti il primario di una terra, ortaggi, frutta, caseario.
Adesso la realtà delle ricerche emerge ma non fa rumore. Gli sversamenti erano incontrollati ma non indiscriminati. Gli avvelenatori (ergastolo!) usavano delimitate porzioni di un territorio parcellizzato da millenni. Non poteva essere altrimenti. Il territorio avvelenato era perfettamente, perfino facilmente, delimitabile. Come scrive Antonio Cianciullo si passa finalmente «dall’allarme indefinito alla valutazione del rischio». Allo stato, si legge nel rapporto del Ministero dell’Agricoltura, parliamo di 9,2 km quadrati agricoli (appena 64 ettari), una frazione minima dei 57 comuni (33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta) della cosiddetta Terra dei fuochi, appena lo 0,01% del territorio regionale campano che di comuni ne ha ben 531. I siti oggi definiti “no food” (sic) sono 51, cinquantuno su decine di migliaia. Certo, è possibile che ve ne siano altri non scoperti ma il Ministero per la prima volta scrive nero su bianco che il 98% del territorio dei comuni studiati non è a rischio. La conseguenza afferma Vito Amendolara, presidente dell’Osservatorio della dieta mediterranea, è che: «È stato cancellato un marchio. I dati certi sconfessano chi ha voluto marchiare la Campania a fuoco».
Per troppi, per convenienza o mascherandosi dietro la forma più sterile di principio di precauzione è stato facile, una volta di più, individuare una regione intera da mandare all’inferno, da derubare dei propri simboli, da depredare per carpirne subdolamente quote di mercato. Per troppi era conveniente additare un’intera regione con 1,5 milioni di ettari di territorio come una Seveso intera avvelenata: nel dubbio non comprate campano, comprate i nostri prodotti. Per troppi era più facile nascondersi dietro un principio di precauzione: io preferisco non mangiare campano. Condannando a morte decine di migliaia di lavoratori e di imprese agricole sane. Una perversione nella perversione della crisi.
Li abbiamo visti tutti i cartelli “mozzarella di bufala di solo latte marchigiano” o “solo latte padano”. Vergogna, come se le filiere agroindustriali della pianura padana potessero tranquillizzare. La Terra dei fuochi esiste, il pane avvelenato della camorra esiste. La terra desolata dalla cointeressenza tra criminalità organizzata, sversatori settentrionali e politica complice esiste. Raffaele Cantone, che potrebbe essere il nuovo capo dell’autorità anticorruzione, indica tre livelli di responsabilità: «il primo è l’inquinamento dovuto alla camorra che negli anni Ottanta e Novanta risolse i problemi degli industriali del Nord trasferendo i rifiuti industriali inquinanti in aree del Casertano e del Napoletano, a costi bassissimi». Il secondo è dovuto agli scarti industriali locali. Il terzo al problema delle ecoballe. Come si sarebbe detto un tempo il problema resta politico. La negazionista Lorenzin, che attribuiva le morti per tumore a cattive abitudini dell’etnia campana, resta ministro. Andrea Orlando, che da ministro dell’Ambiente si diede una scrollata di spalle e commentò «ci vorranno cent’anni per bonificare» e… ciao, è stato addirittura promosso alla Giustizia. Chissà se andranno d’accordo Cantone e Orlando.
Di nuovo la politica, quella locale e quella nazionale, resta più malata della terra più avvelenata: come si fanno le bonifiche? Come si bonificano non solo i veleni ma anche le cause? Con quali risorse? Come si riparano i danni provocati dalla disinformazione a decine di migliaia di aziende sane e si rilancia un marchio che da tremila anni produce piacere al palato e salute? Questo è forse il più risolvibile dei problemi. Potete davvero resistere ad una mozzarella di bufala campana?
PS. Faccio una piccola proposta riparatoria. Che vi siate fatti condizionare o no in questo periodo nella prossima spesa cercate, chiedete ai commercianti e mettete in borsa un prodotto campano: delle mele annurche, dei limoni di Sorrento, delle nocciole del nolano, una pasta di Gragnano, dei pomodori San Marzano, del caciocavallo, o anche solo un vino, Greco di Tufo, Aglianico, Falanghina… Così, per ricominciare a fare amicizia.
Fonte
Grande Gennaro cazzo! Davvero un bel pezzo, io la bufala sulla pizza ed i paccheri di Gragnano me li godo alla grande e s'inculino tutti gli stronzi della retorica sui "terroni", che se non ci fossero stati gli imprenditori settentrionali con le pezze al culo con annessi gli amichetti xenofobi di destra (più o meno borghesi), col cavolo che la Campania avrebbe la nomea di pattumiera d'Italia!
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