estratto da l’Espresso, 20 marzo 2014
Movimenti popolari. Grillini e leghisti. Ma anche l’estrema sinistra. Dall’Italia alla Francia all’Est del Continente, i partiti
contro la Bce volano nei sondaggi.
Pronti a coalizzarsi a Strasburgo.
di Claudio Lindner
Togliersi un po’ di eurini dalle scarpe è diventata la tentazione dominante. Tra gli italiani e tra gli europei. Più a destra che a sinistra. Più al Sud che al Nord. Più urlata che ragionata. Ma anche più appassionata, questa tentazione, di quanto sia l’imperturbabilità degli euroconvinti. Che la rabbia stia montando anche in Italia lo dimostra il sondaggio esclusivo di Demopolis che pubblichiamo: un terzo degli italiani si pronuncia a favore dell’uscita dall’euro, per il ritorno alla lira. Nel 2012 erano il 21 per cento. Nel 2008, l’anno che finì con il tracollo finanziario, il 12 per cento. Il boom è sorprendente e preoccupante per gli effetti che può provocare [...]
NUOVI GURU. Fino a poco tempo fa l’uscita dall’euro era considerato argomento tabù. È vero, molti economisti americani anche premi Nobel, hanno espresso scetticismo sulla moneta unica, ma da quella parte dell’Oceano non poteva stupire. Ora il gruppo si allarga. Hanno fatto molto discutere in Francia le tesi di François Heisbourg, autore del saggio “La fin du rêve européen», la fine del sogno europeo, non tradotto ancora in italiano, nel quale si sostiene che l’Unione europea in senso politico si può salvare solo abbandonando l’euro. Qualche settimana fa era a Milano invitato da Ernesto Preatoni, ex scalatore di banche negli anni Ottanta («Cuccia mi chiamava sovversivo», gli piace ricordare), inventore al momento poco fortunato di Sharm El Sheikh e ora preso dal fuoco sacro anti-euro, con frequenti comparsate televisive su tutti i canali. «I giornalisti hanno in larga parte un pregiudizio pro-euro», sostiene il finanziere, che esprime quattro certezze.
Primo, tra trent’anni nessuno avrà più dubbi sul fatto che l’euro sia stato un errore. Secondo, un’uscita ben programmata ci consentirebbe di svalutare un debito pubblico ormai insostenibile e di far ripartire il mercato interno attraverso un’inflazione programmata. Terzo, l’inflazione stessa, come dimostrano i casi di Giappone e Usa, non è uno spauracchio. Quarto, proprio con la moneta unica si rischia invece il baratro di un’inflazione incontrollata. Preatoni ha avviato un club di discussione “Un’Europa diversa” e al primo dibattito, assieme a Heisbourg, erano presenti Paolo Savona e Giuliano Urbani. Sostiene però di non avere un colore politico e quindi di non voler essere strumentalizzato. Due economisti diciamo “dissidenti” e spesso interpellati sono Alberto Bagnai ed Emiliano Brancaccio. Il primo insegna a Pescara, tiene il blog “Goofynomics”, scrive sul “Fatto quotidiano” ed è autore di “Il tramonto dell’euro”, nel quale si spiegano gli errori fatti e si prefigura un percorso di uscita dalla moneta unica che salverebbe democrazia e benessere in Europa. Il secondo insegna all’università del Sannio, ha scritto il pamphlet L’austerità è di destra ed è stato cofirmatario di un manifesto apparso sul Financial Times nel settembre dello scorso anno nel quale si avverte che affidando il riequilibrio dell’Europa alle sole riforme strutturali, il destino dell’euro sarà segnato e l’esperienza della moneta unica si esaurirà con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico: «Occorre tenere presente che, qualora saltasse il sistema, esistono modalità alternative di uscita dall’eurozona: una gattopardesca, di stampo liberista e liberoscambista, che si limiterebbe ad affidare i tassi di cambio al gioco erratico delle forze del mercato». E una seconda, che si potrebbe chiamare “di sinistra”, definibile anche statuale e protezionista, per mettere in discussione il mercato unico, ipotizzare la nazionalizzazione del sistema bancario, e mirare soprattutto a salvaguardare le retribuzioni dei lavoratori dipendenti [...]
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