Capita, sempre più spesso, di imbattersi anche a sinistra in analisi e commenti che provano a leggere le ripetute aggressioni neocolonialiste occidentali attraverso la lente degli “opposti imperialismi”.
Fermandoci solo all’ultimo quinquennio è successo per la Libia, per la Siria e sta accadendo ora per l’Ucraina, dove il golpe fascista e l’aggressione alle popolazioni russofone vengono interpretate come il portato dello scontro fra l’espansionismo della Nato e quello russo. L’imperialismo è così spostato dal campo delle categorie economiche e scientifiche a quello più vago del giudizio morale. Putin è omofobo? Allora è imperialista. Assad è illiberale? Anche lui è imperialista. Gheddafi era cattivo? Per forza, visto che anche lui era un imperialista. Così facendo, però, ogni aggressione neocoloniale viene di fatto interpretata come uno scontro simmetrico i cui esiti dovrebbero esserci indifferenti, secondo la logica del nè con l’uno nè con l’altro. Quando non si finisce invece a parteggiare per il contendente più politically correct.
Ma è proprio così? Sabato il Sole 24 Ore riportava in un trafiletto la notizia della cancellazione del 90% del debito cubano nei confronti della Russia. Con un semplice tratto di penna Putin ha di fatto abbonato all’Avana 31,7 miliardi di dollari (quasi due leggi finanziarie italiane) impegnandosi inoltre ad utilizzare i restanti 3,5 miliardi per investimenti sull’isola. Certamente dietro questa operazione ci saranno state delle valutazioni geostrategiche, non siamo ingenui, ma questo poco importa. Ciò che conta è che ora questi fondi potranno essere utilizzati per implementare i programmi sociali (scuola, sanità, infrastrutture, ecc) sull’isola e le missioni internazionaliste, rafforzando così la rivoluzione cubana e, indirettamente, le altre rivoluzioni latinoamericane.
Ritorniamo dunque alla domanda di prima: per Cuba, per il Venezuela, per la Bolivia... e per i rivoluzionari del resto del pianeta è dunque indifferente l’esistenza (o meno) di un polo alternativo a quello statunitense e a quello europeo? Siamo davvero sicuri di trovarci di fronte a imperialismi equivalenti? Lasciamo la risposta a chi legge, non prima però di aver riportato un altro fatto accaduto in questi giorni e che forse sarà sfuggito a qualcuno.
Come tutti sapranno per via del blocco, da oltre 50 anni Cuba non può accedere alle normali linee di credito internazionali, questo se da una parte ha messo al riparo l’isola dalle ingerenze della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale dall’altra ha reso estremamente difficoltosa e onerosa ogni forma di finanziamento economico. Ebbene, a fine giugno la BNP Paribas, la più grande banca francese, ha accettato di dichiararsi colpevole di fronte al tribunale di New York di aver violato l’embargo statunitense nei confronti di Sudan, Iran e Cuba e sarà così costretta a pagare la sanzione più alta mai pagata da una banca, una multa pari a 8,9 miliardi di dollari. Un bel monito (questo si, imperialista) per chiunque commercia con l’Avana, o no?
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