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12/09/2015

Tfr in busta paga: una fregatura che non ha convinto nessuno

Era stata strombazzata come una delle misure del governo per “mettere soldi in tasca” ai lavoratori. In realtà molti – noi tra questi – l'avevano giudicata piuttosto una mossa per sfilarne altri dai portafogli già magrissimi dei dipendenti di ogni ordine e grado.

Bene. Ora ci sono le cifre, rese note dall'associazione dei consulenti del lavoro. E fanno ben sperare nella capacità di giudizio dei “subordinati”: soltanto lo 0,83% ha infatti chiesto di farsi accreditare in busta paga, mensilmente, anche il tfr.

Inequivocabile la motivazione addotta da tutti gli intervistati: la tassazione prevista – ordinaria, con l'aliquota Irpef che in molti casi si innalzava con l'aumentare “formale” dello stipendio netto – è troppo penalizzante. In altri termini, ci si rimette troppo, addirittura il 62% invece del normale 23.

Se ne ricava la conclusione che quanti l'hanno comunque chiesta sono ridotti davvero in pessime condizioni, tanto da preferire il pessimo detto “pochi, maledetti e subito”, pur di arrivare con meno affanni a fine mese.

Al contrario, cresce considerevolmente la percentuale di dipendenti che richiede anticipazioni del tfr già maturato per affrontare spese consistenti e impreviste, o semplicemente necessarie (spese mediche, cambio auto, acquisto della casa, ecc.): ben il 27% in più.

Facile capire il perché. In questo caso, infatti, l'anticipazione avviene con tassazione “separata”, secondo la normativa prevista normalmente per il tfr.

Conclusione: il governo Renzi spara propaganda senza riscontri.

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