La domanda – piuttosto cruda e diretta, diciamo così – è stata formulata da Hillary Clinton mentre era ancora capo del Dipartimento di Stato Usa, il ministero degli esteri. Quindi nel pieno della sua potenza politica e militare nella prima amministrazione Obama, molto prima di ripresentarsi come candidata alla presidenza.
L'obiettivo del drone che poi non partì – per considerazioni politiche, non certo militari – era Julian Assange, fondatore di Wikileaks, il sito che pubblica documenti riservati o segreti di ogni parte del mondo che arrivano in suo possesso. Un tipo di citizen journalism piuttosto ruvido e, si conferma anche in questo caso, assai rischioso. Se il vertice politico degli Stati Uniti chiede ai militari e alle “agenzie” di verificare la possibilità di farti fuori in modo asettico, non puoi proprio dormire tranquillo. Neanche all'interno dell'ambasciata ecuadoriana a Londra, dove Assange si è rifugiato e vive dal giugno 2012 in qualità di rifugiato politico.
Il sito True Pundit ha pubblicato due giorni fa un lungo articolo su ragioni e modalità della richiesta della Clinton, ricostruendola dettagliatamente. Una piccola bombetta, in una campagna elettorale che vede opposti due figuri di cui il pianeta intero deve diffidare (Trump è contemporaneamente sotto botta perché non paga le tasse da 18 anni, ha fatto affari con l'Iran quando era ancora nella lista degli “stati canaglia” e amenità varie).
Assange e Wikileaks hanno goduto di ottima fama presso i liberal a stelle e strisce fin quando alla presidenza c'era George Bush (2000-08), poi i neo amministratori del mondo pensavano di poter essere lasciati in pace.
Ma è bastato il primo anno di amministrazione Obama, e qualche documento pubblicato di troppo, a cambiare l'immagine di Assange da simpatico facinoroso a Frankenstein fuori controllo. A quel punto Wikileaks è diventato un covo da chiudere. L'offensiva, fin dall'inizio, è stata guidata da Hillary Clinton, visto che i problemi creati dai leaks riguardavano quasi esclusivamente la politica estera degli Stati Uniti, propagandisticamente descritta come “esportazione della democrazia” ma uscente come un mostro sanguinario da ogni mail del Pentagono o del Dipartimento di Stato. Qualcuno potrebbe obiettare che la realtà lo aveva dimostrato a sufficienza, certo; ma c'è sempre chi ci crede solo se lo vede scritto, perché incapace – da solo – di riconoscere i segni nel reale.
Il punto di rottura – nella semi tolleranza statunitense e clintoniana – è stato raggiunto nel novembre 2010, quando Wikileas ha annunciato la prossima pubblicazione a puntate del Cablegate, una gigantesca rassegna di documenti riservati che hanno come focus l'operato del governo e della diplomazia statunitense nel mondo. 251.287 documenti contenenti informazioni confidenziali inviate da 274 ambasciate americane in tutto il mondo al dipartimento di Stato degli Stati Uniti, a Washington.
Martedì 23 novembre 2010, poco dopo le 8 del mattino, al piano più alto (Mogano Row) del Dipartimento di stato, si tenta di formulare una strategia per evitare che Assange rilasci i documenti riservati che coprono il periodo dal 1966 al 2010. La paura era che la pubblicazione potesse ostacolare la futura raccolta di informazioni da parte degli Stati Uniti, compromettendo le corrispondenze private e di intelligence condivise con i governi stranieri e i leader dell'opposizione nei paesi sgraditi a Washington. Una manna per giornali e tv, un disastro per la potenza egemone.
Viene fuori che il Dipartimento di Stato della Clinton stava facendo pressione sul presidente Obama e la sua cerchia interna della Casa Bianca, contattando anche capi di stato a livello internazionale, per cercare di impedire la consegna dei cablo di Assange ai giornali; come piano b, se questo sforzo non avesse prodotto risultati apprezzabili, individuare una strategia di comunicazione per la riduzione del danno.
Quella mattina il vertice del Dipartimento era impegnato in una sorta di brain storming di ipotesi miranti a fermare Wikileaks, quando ad un certo punto una Clinton “frustrata”, riferiscono le fonti, sbottò con una domanda definitiva: "Non possiamo semplicemente mandare un drone contro questo ragazzo?"
Non era una battuta. Hillary Clinton chiese apertamente ai militari “un semplice rimedio per mettere a tacere Assange e Wikileaks”, riferiscono fonti – ovviamente anonime – del Dipartimento di Stato. La domanda sollevò inizialmente una risata generale in sala, che si è però rapidamente spenta perché il segretario continuava a parlare in maniera concisa e decisa. Assange, dopo tutto, era secondo la Clinton un bersaglio relativamente facile, visto che "andava in giro liberamente a ficcare il suo naso”, senza alcun timore di rappresaglie da parte degli Stati Uniti.
La Clinton era già arrabbiata per un precedente scoop dell'organizzazione di Assange, in quello stesso 2010, che aveva divulgato documenti segreti Usa sulla guerra in Afghanistan nel mese di luglio e la guerra in Iraq. In quei giorni Assange era relativamente libero (era stato fermato e rilasciato dalla polizia inglese per un mandato di cattura europeo inseguito a una denuncia per stupro – in realtà un rapporto sessuale consenziente, ma senza uso del preservativo – avanzata da una probabile agente israeliana in Svezia, unico paese europeo a classificare come “stupro” una situazione del genere).
La Clinton, riferiscono le fonti, “stava letteralmente fumando” perché ogni documento del Dipartimento di Stato inviato durante l'amministrazione Obama era stato firmato da lei. Sfortunata proprio, con le mail, 'sta signora...
La proposta di usare un drone è stata poi scartata durante la riunione, e ci si orientò per l'ipotesi di mettere una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa di Assange.
Subito dopo la conclusione della sessione di brain storming, una dei principali collaboratori di Clinton, il direttore della politica di pianificazione del Dipartimento di Stato, Ann-Marie Slaughter, scrisse una mail alla Clinton, al capo di stato maggiore Cheryl Mills, e agli aiutanti Huma Abebin e Jacob Sullivan contenente "un memorandum SP sulle possibili strategie legali e non giuridiche su Wikileaks". Il linguaggio diplomatico è molto eufemistico, sappiamo, ma quel “non giuridiche” resta un esempio quasi insuperabile di “narrazione tossica” per descrivere un'ipotesi di omicidio si Stato.
Inutile dire che nessuno dei nominati nell'articolo ha ritenuto di dover rispondere per confermare o smentire la ricostruzione.
Quindi l'America si trova a dover scegliere tra uno speculatore edilizio, evasore fiscale e razzista e una signora che davanti a un qualsiasi problema politico-mediatico chiama il Pentagono o la Cia e gli ordina di sparare contro qualcuno. Sarà irriverente, ma ci torna alla mente Max Paiella che imitava Gianni Alemanno: “sta per nevicare, chiamo esercito?”.
Purtroppo, chiunque scelgano, per il mondo ci sarà poco da ridere…
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