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24/10/2016

Renzi cavalca l’euroscetticismo. Fino al 4 dicembre

Se Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan imitano il Berlusconi del 2011 e recitano la parte di quelli che “battono i pugni sul tavolo” davanti all'Unione Europea, fino ad evocare una sua possibile "fine", sarà bene tener d'occhio non quello che dicono, ma quello che fanno. Così come, in parallelo, bisogna guardare alle mosse della Commissione europea, molto più che le dichiarazioni ufficiali.

Veniamo prima di tutto ai fatti. Oggi dovrebbe arrivare la “lettera di richiamo” della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, e già si sa che conterrà una richiesta di informazioni sulle voragini palesi nella legge di bilancio, con indicazioni abbastanza chiare sulle modifiche da fare. Non solo riguardo al saldo finale della manovra (per mantenere il rapporto deficit/Pil entro il 2,2%, invece del 2,3 indicato nella bozza di legge di stabilità inviata a Bruxelles), ma anche sulle singole voci della manovra.

La vulgata ufficiale, diffusa dai media di regime, parla sempre di “eccessiva generosità” (l'eufemismo è d'obbligo) del governo nel quantificare le spese “eccezionali” sostenute per gestire il flusso dei migranti (su cui l'Unione Europea usa molti pesi e molte misure, come sottolineato dalle polemiche “o scegliete noi o l'Ungheria”) e soprattutto il dopo terremoto di Amatrice. In pratica, i furbetti del bilancino vorrebbero vedersi ammesse le spese non solo per l'emergenza e la ricostruzione dei paesi effettivamente colpiti, ma anche la messa in sicurezza degli edifici in zona sismica. Praticamente in tutta Italia.

Per il momento Renzi recita la parte del duro, asserendo che non intende cambiare la manovra, anche perché lo 0,1% di differenza (un miliardo e 600 milioni) non significa granché.

Ma è vero che la manovra resta quella indicata? Assolutamente no. Ogni giorno vengono comunicate modifiche più o meno rilevanti, quasi tutte concentrate nel non immenso comparto delle promesse a pensionati, lavoratori e contribuenti che non possono evadere il fisco. Un esempio? La chiusura di Equitalia e la rottamazione delle cartelle esattoriali. In pratica, Equitalia cambia soltanto il nome, diventando una più burocratica e chiara “Agenzia di riscossione”. Soprattutto, la rottamazione non riguarderà le contravvenzioni al codice della strada, ossia la più diffusa – numericamente – delle violazioni fiscali che un normale lavoratore dipendente, pensionato, precario o disoccupato può commettere. Al contrario, le evasioni fiscali di grande consistenza – parliamo di milioni di euro sottratti al fisco – saranno amichevolmente ridotte, depurandole da interessi di mora, sanzioni e diritti di aggio altrettanto milionari. I casi recenti di “contrattazione” tra vip e fisco (da Valentino Rossi a Dolce&Gabbana, da Raul Bova a Gianna Nannini e innumerevoli imprenditori non troppo noti al grande pubblico) hanno chiarito che neanche le tasse sono uguali per tutti. Chi ha poco deve sempre versare tutto; chi ha, e deve, molto, potrà ottenere sconti favolosi. Se non addirittura uno “scudo fiscale” (ora chiamato voluntary disclosure) per riportare in Italia capitali custoditi all'estero.

A chiacchiere, però, il governo “imbruttisce” davanti ai rilievi dell'Unione Europea. Che ora ha davanti un calendario preciso ma flessibile, tale da costringere l'Italia a rispettare i diktat senza però rischiare di far cadere anzitempo il guitto di Rignano sull'Arno. La lettera in arrivo potrebbe preludere a una bocciatura esplicita della legge di stabilità italiana, così come di altri paesi (Francia, Olanda, Belgio, Spagna e Portogallo), entro il 31 ottobre. Ma questa data verrà fatta scivolare senza conseguenze, rinviando il secondo monito pubblico al 9 novembre, quando la Commissione europea presenterà le proprie previsioni economiche e quindi anche i “suggerimenti” rivolti a ogni paese. Una settimana dopo – come da calendario istituzionale – pronuncerà il giudizio di condanna sulla qualità della manovra, ma non sarà neppure questo quello definitivo, con tutta probabilità. Perché verrebbe a coincidere con gli ultimi giorni della campagna referendaria e diventerebbe un colpo di maglio sulle già scarse possibilità di vittoria del “sì”; dunque anche alle possibilità che Renzi possa restare in sella.

Fatto il referendum, invece, l'Unione Europea potrà calare il suo spadone sui conti pubblici italiani, sia che questo governo possa restare in carica, sia che si trovi sul punto di mollare. Per dare la sentenza definitiva, infatti, la Commissione ha tempo fino a Capodanno. A quel punto potrebbe partire anche una “procedura di infrazione” che inchioderebbe ancora più le scelte di qualsiasi inquilino di Palazzo Chigi alle indicazioni di Bruxelles.

Nemmeno Juncker, insomma, può evitare un voto negativo da parte dell'Eurogruppo (il vertice informale dei ministri finanziaria, guidato da un killer come Jeroen Dijsselbloem) se lo scostamento tra i numeri presentati dal governo italiano e quelli pattuiti solo pochi mesi fa dovesse essere troppo ampio.

Ma sembra anche chiaro che Renzi & co. abbiano ricevuto dagli Stati Uniti una sorta di via libera a rimettere in discussione l'austerità predicata da Berlino (anche perché torna a tutto vantaggio dell'economia tedesca...). Nelle molte partite internazionali aperte in questo momento (con Russia e Medio Oriente), persino l'Italietta renziana può pensare di giocare in proprio almeno qualche mano. Fino al referendum, sembra altrettanto chiaro, lo potrà fare.

Poi basta...

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