di Michele Paris
L’interruzione del collegamento a Internet del fondatore di
WikiLeaks, Julian Assange, da parte del governo dell’Ecuador, che da
oltre quattro anni lo ospita nella sua ambasciata di Londra, è stato il
segnale del livello di disperazione raggiunto dal governo americano nel
tentativo di mettere fine alla diffusione dei documenti segreti relativi
alla campagna elettorale di Hillary Clinton e ai suoi legami con i
grandi interessi finanziari degli Stati Uniti.
Il paese
sudamericano ha negato di essere stato sottoposto alle pressioni di
Washington, ma nel comunicato ufficiale di martedì, nel quale ha ammesso
di avere escluso “temporaneamente” dalla rete Assange, ha fatto
riferimento alla presunta interferenza di WikiLeaks nelle vicende
elettorali degli Stati Uniti.
Assange aveva denunciato in
precedenza lo stop al collegamento a Internet e la sua organizzazione ha
fatto sapere di avere ricevuto informazioni da varie fonti circa
l’intervento diretto del segretario di Stato USA, John Kerry, sulle
autorità ecuadoriane nel corso dei recenti negoziati sul processo di
pace tra il governo colombiano e i guerriglieri delle FARC. Kerry
avrebbe chiesto un intervento per fermare Assange e la pubblicazione di
ulteriori documenti dalla portata devastante per la candidata favorita
dall’establishment a stelle e strisce.
I documenti parzialmente
pubblicati finora da WikiLeaks provengono dall’account di posta
elettronica del numero uno della campagna elettorale di Hillary, l’ex
consigliere di Obama ed ex capo di Gabinetto di Bill Clinton, John
Podesta. Oltre a quelle già pubblicate, resterebbero più di diecimila
e-mail da diffondere, forse con rivelazioni ancora più scottanti sull’ex
segretario di Stato.
Il tentativo di zittire WikiLeaks e
di isolare ulteriormente dal mondo esterno Assange ha implicazioni
inquietanti per la libertà di stampa e il diritto a conoscere fatti
fondamentali sul conto dei leader politici. Inoltre, il
giornalista/attivista australiano è già stato bersaglio di pesanti
minacce nel recente passato e i provvedimenti presi nei suoi confronti
ne hanno messo a serio rischio anche l’integrità fisica.
Proprio WikiLeaks aveva
rivelato una discussione che coinvolgeva Hillary Clinton, la quale,
durante la pubblicazione nel 2010 di centinaia di migliaia di documenti
riservati sulle attività del Dipartimento di Stato americano, chiedeva
ai suoi collaboratori se non fosse possibile “semplicemente eliminare
Assange con un drone”.
Hillary ha sostenuto di non ricordare la
frase e, se anche l’avesse pronunciata, sarebbe stato uno scherzo. Al
Dipartimento di Stato, tuttavia, l’allora segretario aveva la facoltà di
intervenire sul processo decisionale relativo all’elenco degli
individui da colpire arbitrariamente con i droni americani e, in ogni
caso, minacce alla vita di Assange sono state rivolte pubblicamente in
varie occasioni da altri esponenti Democratici e dell’apparato militare e
dell’intelligence americano.
Lo stesso esilio forzato
nell’ambasciata ecuadoriana a Londra è il risultato di una campagna
giudiziaria organizzata dal governo di Gran Bretagna e Svezia, dove è
tuttora in vigore un mandato di arresto nei confronti di Assange, con la
regia americana per incastrare quest’ultimo e avviare un processo di
estradizione verso gli Stati Uniti. Notizie circolate qualche anno fa
avevano rivelato come la giustizia americana abbia già istituito
segretamente un “Grand Jury” per raccomandare l’incriminazione di
Assange con l’accusa di tradimento e diffusione di documenti governativi
riservati.
Mentre
la maggior parte dei media ufficiali, soprattutto americani, continua a
dipingere Assange come uno stupratore che intende sottrarsi alla
giustizia, è necessario ricordare che le autorità svedesi non hanno
avviato alcun procedimento di incriminazione nei suoi confronti, bensì
intendono soltanto interrogarlo in merito a un caso dai contorni a dir
poco sospetti.
La denuncia delle due “vittime” dello stupro,
legata in realtà al mancato uso di un profilattico, era stata infatti
archiviata in un primo momento dalla giustizia svedese, anche perché
almeno una delle donne coinvolte aveva ostentato sui social media il suo
rapporto sessuale, evidentemente consensuale, con Assange. Solo in
seguito all’intervento di un magistrato legato al Partito
Socialdemocratico svedese il caso era stato riaperto e da allora ha
avuto inizio la persecuzione giudiziaria contro Assange.
Quest’ultimo
aveva poi trovato rifugio presso la rappresentanza diplomatica
ecuadoriana in Gran Bretagna una volta esaurite le strade legali per
evitare l’estradizione in Svezia e, probabilmente, dal paese scandinavo
agli Stati Uniti. Dopo più di quattro anni di vita all’interno
dell’ambasciata, con il governo di Londra che aveva anche respinto la
concessione di una sorta di salvacondotto per consentire il
trasferimento di Assange in ospedale, un rapporto diffuso quest’anno dal
Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulle Detenzioni Arbitrarie ha
condannato duramente la Gran Bretagna e la Svezia, i cui governi hanno
però ignorato le conclusioni non vincolanti.
La decisione del
governo dell’Ecuador sembra essere comunque poco più che simbolica,
malgrado il presidente Correa abbia sostenuto pubblicamente di preferire
una vittoria di Hillary Clinton nelle presidenziali di novembre. Il
provvedimento di blocco del collegamento a Internet di Assange è appunto
di natura temporanea e Quito ha tenuto a precisare che l’offerta di
asilo rimane intatta, così come il suo diritto a svolgere l’attività
giornalistica.
Allo stesso tempo, è probabile che il governo
americano farà altre pressioni su quello ecuadoriano, lasciato peraltro
vergognosamente solo dagli altri paesi nel gestire una vicenda dalle
implicazioni cruciali per la libertà di stampa e i diritti democratici a
livello internazionale.
La vicenda di Assange e le attività di
WikiLeaks, di fatto quasi eroiche viste le circostanze, dopo le ultime
rivelazioni su Hillary Clinton si intrecciano d’altronde con quella che è
una delle principali questioni strategiche di questi anni, vale a dire
la rivalità tra Stati Uniti e Russia e il pericolo di un conflitto
diretto tra le due potenze nucleari.
Senza una sola prova
concreta, il governo e i media negli Stati Uniti insistono
nell’attribuire a Mosca la penetrazione nei server del Partito
Democratico e dei collaboratori di Hillary Clinton, da cui provengono le
e-mail pubblicate da WikiLeaks. L’organizzazione di Julian
Assange sarebbe perciò complice di Putin nel tentativo di penalizzare la
candidata Democratica alla Casa Bianca e di favorire Donald Trump,
attestato su posizioni teoricamente più moderate per quel che riguarda i
rapporti con Mosca.
Il contenuto delle e-mail diffuse in questi giorni viene così in sostanza ignorato, mentre si denuncia WikiLeaks e
la Russia per il tentativo di interferire in un processo elettorale
altrimenti esemplarmente democratico. Questa strategia di Hillary e del
suo partito serve in primo luogo a sostenere la propria candidatura alla
presidenza ed evitare un ulteriore peggioramento del già misero
gradimento tra gli americani.
Parallelamente, però, gli attacchi
contro Mosca rientrano nel progetto “neo-con, abbracciato in pieno da
Hillary, di contenimento della Russia, contro la quale a Washington si
sta preparando un’offensiva che vedrà un’accelerazione dopo il voto di
novembre.
Chiunque sostenga tesi diverse o rappresenti un
ostacolo a questo progetto – da Donald Trump a Julian Assange e
WikiLeaks – è perciò un nemico se non un traditore, intenzionato a
favorire quella che viene rappresentata come la principale minaccia alla
sicurezza degli Stati Uniti.
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