di Chiara Cruciati
Le carte della guerra
yemenita si scompigliano: le operazioni militari continuano mentre una
nuova road map mette in crisi la strategia saudita. Di dettagli se ne
hanno pochi, ma emerge quello principale: il principale alleato
dell’Arabia Saudita, il presidente Hadi, va messo da parte. Figura
troppo divisiva, secondo le Nazioni Unite. E anche secondo gli
Emirati Arabi: il paese, tra i protagonisti della coalizione anti-Houthi
a guida saudita, ha accolto la proposta dell’inviato Onu Ismail Ould
Cheikh Ahmed.
Il piano è stato sottoposto due giorni fa sia al movimento Houthi che
al partito dell’ex presidente Saleh. Prevedrebbe il ritiro dei ribelli
dalla capitale Sana’a, l’abbandono delle armi (quanto già stabilito
dalla risoluzione Onu 2216 del 2015 e accettata in via di principio
dagli Houthi) e la formazione di un nuovo governo di unità senza Hadi.
Il presidente e il suo vice-presidente, Ali Muslim al-Ahram (non
particolarmente ben visto dal movimento ribelle che lo accusa da tempo
di corruzione) dovrebbero cedere i propri poteri, in attesa della scelta
di un primo ministro che formi l’esecutivo. Ad Hadi resterebbe solo un ruolo simbolico.
Hadi si dice sorpreso: non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione,
commenta la sua amministrazione. Parla però uno dei funzionari
dell’ufficio del presidente, Abdullah al-Alimi: “Enfatizziamo la nostra
convinzione che tutte le proposte sono destinate a fallire se prevedono
un golpe, la madre di tutte le calamità”. Riyadh non commenta.
Il castello di carte saudita rischia di crollare: la risoluzione Onu
2216, all’epoca, riconosceva Hadi presidente legittimo, dichiarazione
che ha fatto molto comodo all’impunità saudita in 19 mesi di campagna
militare violentissima.
La risposta, forse, sta nella proposta che Riyadh insieme al Qatar ha
mosso all’Algeria perché partecipi ad operazioni di peacekeeping in
Yemen. Una formula poco chiara che sarebbe volta a coinvolgere un paese
che nel 2015, all’inizio dell’offensiva “Tempesta Decisiva”, rifiutò di
inviare le proprie truppe a sostegno della coalizione anti-Houthi. Per
ora non ci sono reazioni ufficiali, ma la strategia regionale di Algeri
fa pensare ad un rifiuto.
E la guerra continua. Il conflitto che ha già ucciso 10mila persone,
sfollato 3 milioni di civili e portato alla fame l’80% della
popolazione, si arricchisce ogni giorno di nuovi elementi che
indeboliscono alla base ogni accordo di pace. Dopotutto, si tratta di
una guerra globale, per procura, che vede il fronte sunnita impegnato
nella limitazione di quello sciita. L’Arabia Saudita, assillata
da seri problemi economici e da una riduzione del proprio ruolo politico
e militare in Medio Oriente a seguito dell’accordo sul nucleare
iraniano e della guerra civile siriana che non riesce a vincere, si è
tuffata in Yemen sperando di ricavarne nuova influenza.
E mentre un missile balistico lanciato dagli Houthi, dice l’Arabia
Saudita, sarebbe stato lanciato verso la Mecca nella notte di ieri, in
mezzo finiscono anche gli Stati Uniti che nelle ultime settimane hanno
agito direttamente nel conflitto. Dopo aver bombardato dei radar in mano
agli Houthi lungo la costa occidentale, navi da guerra statunitensi hanno intercettato mercoledì quattro navi iraniane dirette in Yemen.
Secondo il vice ammiraglio Donegan, trasportavano armi (migliaia di
fucili da assalto e per cecchini e missili anti-carro) da consegnare ai
ribelli, un’accusa che Teheran smentisce da mesi.
A monte sta il ruolo statunitense nel paese, dipinto come modello
della guerra a distanza Usa. La guerra con i droni con la potente
filiale di al Qaeda nella Penisola Arabica, lanciata dall’allora
presidente Bush all’indomani dell’11 settembre, è stata ampliata a
dismisura dal suo successore Obama.
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