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28/10/2016

Yemen - Onu Contro Arabia Saudita: chiesta la cacciata di Hadi

di Chiara Cruciati

Le carte della guerra yemenita si scompigliano: le operazioni militari continuano mentre una nuova road map mette in crisi la strategia saudita. Di dettagli se ne hanno pochi, ma emerge quello principale: il principale alleato dell’Arabia Saudita, il presidente Hadi, va messo da parte. Figura troppo divisiva, secondo le Nazioni Unite. E anche secondo gli Emirati Arabi: il paese, tra i protagonisti della coalizione anti-Houthi a guida saudita, ha accolto la proposta dell’inviato Onu Ismail Ould Cheikh Ahmed.

Il piano è stato sottoposto due giorni fa sia al movimento Houthi che al partito dell’ex presidente Saleh. Prevedrebbe il ritiro dei ribelli dalla capitale Sana’a, l’abbandono delle armi (quanto già stabilito dalla risoluzione Onu 2216 del 2015 e accettata in via di principio dagli Houthi) e la formazione di un nuovo governo di unità senza Hadi. Il presidente e il suo vice-presidente, Ali Muslim al-Ahram (non particolarmente ben visto dal movimento ribelle che lo accusa da tempo di corruzione) dovrebbero cedere i propri poteri, in attesa della scelta di un primo ministro che formi l’esecutivo. Ad Hadi resterebbe solo un ruolo simbolico.

Hadi si dice sorpreso: non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione, commenta la sua amministrazione. Parla però uno dei funzionari dell’ufficio del presidente, Abdullah al-Alimi: “Enfatizziamo la nostra convinzione che tutte le proposte sono destinate a fallire se prevedono un golpe, la madre di tutte le calamità”. Riyadh non commenta. Il castello di carte saudita rischia di crollare: la risoluzione Onu 2216, all’epoca, riconosceva Hadi presidente legittimo, dichiarazione che ha fatto molto comodo all’impunità saudita in 19 mesi di campagna militare violentissima.

La risposta, forse, sta nella proposta che Riyadh insieme al Qatar ha mosso all’Algeria perché partecipi ad operazioni di peacekeeping in Yemen. Una formula poco chiara che sarebbe volta a coinvolgere un paese che nel 2015, all’inizio dell’offensiva “Tempesta Decisiva”, rifiutò di inviare le proprie truppe a sostegno della coalizione anti-Houthi. Per ora non ci sono reazioni ufficiali, ma la strategia regionale di Algeri fa pensare ad un rifiuto.

E la guerra continua. Il conflitto che ha già ucciso 10mila persone, sfollato 3 milioni di civili e portato alla fame l’80% della popolazione, si arricchisce ogni giorno di nuovi elementi che indeboliscono alla base ogni accordo di pace. Dopotutto, si tratta di una guerra globale, per procura, che vede il fronte sunnita impegnato nella limitazione di quello sciita. L’Arabia Saudita, assillata da seri problemi economici e da una riduzione del proprio ruolo politico e militare in Medio Oriente a seguito dell’accordo sul nucleare iraniano e della guerra civile siriana che non riesce a vincere, si è tuffata in Yemen sperando di ricavarne nuova influenza.

E mentre un missile balistico lanciato dagli Houthi, dice l’Arabia Saudita, sarebbe stato lanciato verso la Mecca nella notte di ieri, in mezzo finiscono anche gli Stati Uniti che nelle ultime settimane hanno agito direttamente nel conflitto. Dopo aver bombardato dei radar in mano agli Houthi lungo la costa occidentale, navi da guerra statunitensi hanno intercettato mercoledì quattro navi iraniane dirette in Yemen. Secondo il vice ammiraglio Donegan, trasportavano armi (migliaia di fucili da assalto e per cecchini e missili anti-carro) da consegnare ai ribelli, un’accusa che Teheran smentisce da mesi.

A monte sta il ruolo statunitense nel paese, dipinto come modello della guerra a distanza Usa. La guerra con i droni con la potente filiale di al Qaeda nella Penisola Arabica, lanciata dall’allora presidente Bush all’indomani dell’11 settembre, è stata ampliata a dismisura dal suo successore Obama.

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