Come volevasi dimostrare... I socialisti spagnoli, che nei piani di Podemos – e di alcune aree interne ad Izquierda Unida – avrebbero dovuto costituire il perno di un ‘governo di cambiamento’ alternativo alla destra, hanno invece deciso di salvare il Pp di Mariano Rajoy permettendogli di governare nonostante non possa contare in parlamento su una maggioranza assoluta. Sarà grazie ai voti dei deputati socialisti che nei prossimi giorni, infatti, l’attuale capo del governo di Madrid potrà ottenere una maggioranza che non ha. Con sommo entusiasmo dei poteri forti interni ed internazionali – Unione Europea in testa – che da tempo operavano forti pressioni sullo stato maggiore del Partito Socialista Operaio (?!) Spagnolo affinché si prestasse ad un governo di ‘grande coalizione’ allo scopo di imporre quella stabilità politica in grado di permettere la rapida attuazione delle cosiddette ‘riforme’ politiche, economiche ed istituzionali di cui Bruxelles chiede l’implementazione.
A mettersi di traverso era stato finora il segretario socialista, Pedro Sanchez, che ha tentato di resistere alle pressioni di Bruxelles e di Francoforte, così come della Confindustria e degli ambienti dominanti spagnoli. Sanchez non condivideva infatti il progetto di un governo di coalizione con un partito – il PP – che finora è sempre stato il principale antagonista del Psoe, anche se insieme le due formazioni hanno di fatto governato lo Stato Spagnolo da quando, alla fine degli anni ’70, il i settori più ‘modernisti’ del fanchismo decisero che era venuto il tempo di dismettere le forme dittatoriali di governo per permettere l’ingresso di Madrid nell’allora Comunità Economica Europea e nella Nato, e per conservare il potere economico e politico nonostante l’apparente cambio di regime. Negli ultimi tre decenni Psoe e Pp hanno di fatto condiviso la stragrande maggioranza delle scelte di politica interna ed internazionale, alternandosi al potere all’interno di un sistema costruito su misura attorno alle esigenze di una classe dirigente inamovibile e corrotta. Finora però il sistema si è retto, appunto, sull’alternanza, e i due partiti non hanno mai sostenuto lo stesso governo: quando il PP era al potere il Psoe era all’opposizione, e viceversa, legittimandosi l’un l’altro.
Per Sanchez e altri dirigenti del Psoe, il rischio di un sostegno ad un governo guidato da Rajoy è quello di un suicidio politico che potrebbe ridurre i socialisti al pubblico ludibrio – e quindi ai minimi termini – a vantaggio di Podemos e di altre formazioni di centrosinistra, oltre che dello stesso PP.
Ma il giovane segretario in camicia bianca non ce l’ha fatta a tenere il Psoe fuori dall’abbraccio mortale, assediato com’era dai baroni socialisti che governano di fatto il partito nelle regioni e nelle città, sensibili ai richiami dell’Unione Europea e degli imprenditori. E così nel Comitato Federale del primo ottobre i ‘ribelli’, guidati dalla governatrice andalusa Susana Diez, hanno messo in minoranza Pedro Sanchez, costringendolo alle dimissioni. Oggi lo stesso organismo – con ben 139 voti a favore e 96 contrari – ha deciso che i deputati socialisti si astengano nel corso della sessione parlamentare di investitura di Mariano Rajoy come premier. Una decisione che rischia di mandare il partito in pezzi, con ciò che rimane dei socialisti catalani – già ridotti ai minimi termini dalla scissione delle correnti sovraniste – che minacciano di disobbedire alla direzione in polemica con la scelta di fare da stampella al capo della destra nazionalista spagnola. E qualcuno potrebbe anche ufficializzare il proprio addio.
La votazione che dovrebbe a questo punto permettere a Rajoy di ricevere la fiducia – quanti deputati socialisti obbediranno alla direzione del partito non è chiaro, ma la destra interna dispone di un largo seguito nel gruppo parlamentare del Psoe – dovrà tenersi entro massimo otto giorni, visto che a fine mese scade il termine oltre il quale il capo dello stato, cioè il re Filippo VI, sarà costretto a sciogliere le Cortes e a convocare le terze elezioni in poco più di un anno. Da capire anche cosa faranno i deputati di Ciudadanos, formazione di centrodestra, liberista e nazionalista, che negli ultimi dodici mesi era stata utilizzata dal sistema come ‘ruota di scorta’ per recuperare la maggior parte dei voti persi dal PP ma che ora che la formazione di Rajoy ha il vento in poppa sembra perdere appeal ed interesse tanto per gli elettori quanto per i poteri forti.
Da vedere anche quali saranno le ripercussioni su Podemos, che alle scorse elezioni ha fallito il sorpasso nei confronti dei socialisti nonostante la coalizione elettorale formata insieme a Izquierda Unida e a varie formazioni statali e locali ecologiste, sovraniste e di centro-sinistra. Il fallimento del 26 giugno ha avuto forti ripercussioni all’interno della formazione ‘morada’, in cui lo scontro tra correnti e dirigenti si è fatto ancora più forte che in passato. Podemos nei giorni scorsi aveva minacciato di ritirare il proprio appoggio ai sindaci e ai governatori regionali socialisti che sta sostenendo, ma non sembra essere servito a molto.
Ora che i socialisti vengono ‘commissariati’ dall’Unione Europea anche a costo di perderne qualche pezzo, la formazione di Pablo Iglesias vede sfumare la possibilità di creare un'alleanza con il Psoe, ritenuta l’unica mossa in grado di portare Podemos al governo. Il rischio per i podemisti, che negli ultimi due anni hanno fortemente moderato il proprio linguaggio, la propria piattaforma politica e le proprie rivendicazioni, è quello di diventare ininfluenti dal punto di vista della competizione politica ed istituzionale, anche se teoricamente la sterzata a destra dei socialisti potrebbe permettere al partito populista di occupare nuovi spazi politici lasciati scoperti dal Psoe. Ma la spinta a diventare attrattivi nei confronti dei settori del Psoe che non vedono di buon occhio il favore a Rajoy non farà altro che accelerare la virata socialdemocratica impressa a Podemos da Pablo Iglesias.
Un doppio risultato per Bruxelles e Francoforte: da un lato un governo stabile in grado di imporre nuovi sacrifici – tagli, privatizzazioni, 'riforme' – ai cittadini, dall'altro la sostanziale neutralizzazione di una forza politica moderata ma comunque ancorata, finora, a sinistra.
Non c’è che dire: l’Unione Europea gioca sporco, ma gioca davvero bene...
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