L’agonia Alitalia durerà altri due anni, ma non c’è alcun piano industriale di rilancio. Il pre-accordo firmato al ministero del Lavoro tra governo, azienda e tutti i sindacati (tranne l’Unione Sindacale di Base) contiene tutto quello che l’azienda aveva chiesto (riduzione del personale e degli stipendi), ma in misura minore rispetto alla posizione con cui si era presentata al tavolo di trattativa.
Per chi ha una lunga esperienza di tavoli contrattuali, si tratta probabilmente del vero obiettivo che l’azienda aveva in mente fin dall’inizio. E’ quasi normale, infatti, presentarsi chiedendo 30 per ottenere i 10 a cui puntavi. I numeri sono anche quelli effettivi: Alitalia-Etihad aveva aperto i giochi chiedendo una riduzione dei salari del 30% e alla fine si è “accontentata” di poter tagliare “solo” l’8-10%.
Stesso discorso per gli esuberi tra il personale di terra con contratto a tempo indeterminato (da 1.338 a 980), ma solo grazie a una dose maggiore di ammortizzatori sociali (cassa integrazione per due anni, per cui formalmente il posto di lavoro viene mantenuto anche se non lavori più). A questo risultato contribuisce in parte anche il superamento del progetto di esternalizzazione della manutenzione e altre aree. Il resto è la solita fuffa di ogni crisi industriale (per esempio: l'attivazione di corsi di riqualificazione e formazione); comprese le “misure di incentivazione all'esodo” (dimissioni volontarie in cambio di qualche mese di stipendio).
Per il personale navigante (piloti e assistenti di volo) la situazione è di fatto identica, con un peggioramento drastico soprattutto per i nuovi assunti, che verranno trattati con il contratto CityLiner, molto meno “garantista” soprattutto sul piano normativo (orari, turni, riposi, ecc), oltre che per un salario d’accesso al di sotto di qualsiasi media europea. Prosegue anche l’applicazione dei “contratti di solidarietà” (accettati nella crisi precedente per ridurre, anche in quel caso, il numero dei licenziamenti al prezzo di una drastica riduzione di orario e salario) e vengono intanto da subito ridotti i riposi annuali (da 120 a 108, ovvero uno di meno al mese). Può sembrare una questione inessenziale a chi vede le cose da lontano, ma qui stiamo parlando di persone che prendono un aereo per lavoro, scendono e vivono con un altro fuso orario per qualche ora o qualche giorno (per i voli intercontinentali) e poi rientrano. Il riposo, qui, è fisiologicamente indispensabile.
Ma è sul piano industriale che... non c’è un piano. Il pre-accordo parla di “necessità di aumentare i ricavi” (diavolo! Una pensata davvero originale...) e si promette qualche volo intercontinentale in più (notoriamente il “lungo raggio” garantisce margini superiori, anche perché per il momento non insidiato dalle compagnie low cost). Si promette anche una ricapitalizzazione, per circa 2 miliardi (ma solo 900 milioni, pare, garantiti dai soci; il resto dovrebbe venire da prestiti bancari), ma nessuna vera svolta strategica.
Di fatto, in questo quadro, si prova a tirare avanti un altro paio di anni (scaricando un po’ di lavoratori e tagliando i salari, chiedendo che si finanzino con soldi pubblici gli ammortizzatori sociali), per poi ritrovarsi al punto di partenza e chiedere altri tagli.
Il pre-accordo verrà ora sottoposto al referendum tra i lavoratori. Ma in queste condizioni, come si è ormai imparato, da Pomigliano ad oggi, si vota con una pistola puntata alla tempia. E c’è pure qualche presunto sindacalista che, uscendo in piena notte dal ministero, ha osato dire che “abbiamo fatto il massimo”...
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