L'ansia da bombardamento che pervade l'amministrazione statunitense sta provocando i primi danni, diretti e collaterali. Le forze armate Usa hanno infatti confermato che in seguito ad un raid aereo nel nord della Siria sono rimasti uccisi per errore 18 combattenti kurdi impegnati nella lotta all'Isis e quindi ritenuti "alleati" della coalizione a guida Usa. Secondo il Comando centrale statunitense, martedì scorso gli aerei Usa si sono fidati delle coordinate errate date loro dalle Forze democratiche siriane (Sdf), composte soprattutto da miliziani curdi. L'obiettivo era una posizione dell'Isis a sud di Tabqa, roccaforte dello Stato Islamico, ma le bombe sganciate dagli aerei militari statunitensi sono invece finite sulle stesse linee delle Sdf, causando 18 morti. Si conferma così la nemesi secondo cui gli alleati degli Usa prima o poi, intenzionalmente o meno, finiscono nel mirino degli Usa stessi.
Parallelamente, vengono invece denunciate le conseguenze di un bombardamento Usa avvenuto nei giorni scorsi. L'agenzia governativa siriana Sana afferma che "centinaia di persone, tra cui civili", sono state uccise nell'est della Siria in un raid compiuto dalla Coalizione anti-Isis a guida Usa contro un "deposito di armi chimiche dello Stato islamico" nella regione di Dayr az Zor. "Molte persone sono morte soffocate per l'inalazione di gas tossici", afferma l'agenzia Sana. Il raid sarebbe avvenuto ieri tra le 17.30 e le 17.50, afferma l'agenzia, sottolineando che secondo la nota dello Stato maggiore delle forze armate siriane "il deposito di sostanze velenose" colpito era a Hatla, ad est di Deyr az Zor, nell'omonima regione confinante con l'Iraq.
Insomma una dinamica molto simile a quella avvenuta a Idlib ma, diversamente da questa, non ha suscitato alcuno scalpore ripercussioni mediatiche, diplomatiche, politiche o militari da parte della comunità internazionale, a conferma di un vergognoso doppio standard sempre meno credibile né sopportabile.
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