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03/04/2017

Egitto - Al-Sisi incontra Trump. Caos giudiziaro su Tiran e Sanafir

Le due isole disabitate di Tiran e Sanafir non trovano pace. L’ultimo capitolo della vicenda a dir poco burrascosa è andato in scena ieri quando la “Corte delle questioni urgenti” ha rovesciato una precedente sentenza giudiziaria pronunciata a gennaio dalla Corte suprema che bloccava la loro cessione alla monarchia wahhabita di re Salman. Un rifiuto, in realtà, che era stato più volte ribadito in questi mesi: lo scorso 21 giugno un tribunale amministrativo aveva infatti annullato il loro trasferimento ai sauditi e a novembre una corte di appello aveva rigettato il ricorso del governo egiziano ribadendo nei fatti la proprietà egiziana di Tiran e Sanafir.
 
Non la pensa così però la “Corte delle questioni urgenti” che ieri ha rovesciato quanto finora sostenuto dalle autorità giudiziarie: la Corte suprema, ha dichiarato, non ha alcuna giurisdizione a riguardo e pertanto il suo parere è da considerarsi nullo. Una motivazione che è stata subito respinta sulle pagine del quotidiano al-Ahram da Malek Adly, uno degli avvocati che ha sfidato l’accordo egiziano-saudita. Secondo Adly, l’organismo giudiziario di ieri non può emettere sentenze su questo argomento né può contraddire il parere della Corte amministrativa suprema che ha una maggiore rilevanza giudiziaria. Che i due apparati giuridici abbiano posizioni così diametralmente diverse non deve destare alcuna sorpresa: la Corte delle questioni urgenti è spesso utilizzata dal governo per passare risoluzioni veloci che favoriscono l’esecutivo o che servono a silenziare il dissenso politico.

La proprietà di Tiran e Sanafir, per più di 30 anni sotto il controllo egiziano, è stata a lungo dibattuta nel corso degli anni dal Cairo e Riyadh che ne hanno rivendicato rispettivamente l’appartenenza. Alla base dell’accesa disputa diplomatica vi è l’importanza strategica che le due isole hanno poiché si trovano tra la città giordana Aqaba e quella israeliana di Eilat. Una rilevanza geopolitica, del resto, che non è sfuggita alla stessa Tel Aviv che le aveva occupate nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni salvo poi restituirle nel 1982 agli egiziani in seguito agli accordi di pace di Camp David.

La loro recente cessione ai “fratelli” sauditi – stabilita l’anno scorso durante una visita al Cairo di re Salman – aveva generato accese proteste da parte di numerosi egiziani che avevano accusato il governo di averle “vendute” in cambio di aiuti economici. Un sostegno finanziario di cui il governo egiziano ha sempre più bisogno per sopravvivere vista la situazione economica in cui versa, ma che ha un prezzo esoso: Riyadh ha comprato la fedeltà egiziana in politica interna (nella repressione dei Fratelli Musulmani) e in quella estera con prestiti, finanziamenti, donazioni e accordi sull’export di greggio.

Tutto sembrava procedere bene tra sauditi ed egiziani quando ad ottobre la luna di miele tra i due sembra essersi interrotta: l’Egitto ha infatti votato a favore della risoluzione russa sulla Siria avversata dai sauditi per poi riallacciare i rapporti con Mosca e discutere anche con l’Iran. Infine non ha mandato in Yemen i soldati che l’Arabia Saudita si aspettava.

Il verdetto giunge nelle stesse ore in cui al-Sisi è impegnato in un’importante visita ufficiale di cinque giorni negli Usa. Oggi incontrerà il presidente statunitense Donald Trump a cui ripeterà di essere l’alleato più affidabile nel mondo arabo. Tra i temi discussi, massima priorità l’avrà la lotta ai gruppi islamisti (più o meno radicali). Trump, che starebbe pensando di proclamare i Fratelli Musulmani un “gruppo terroristico”, non avrà molte difficoltà ad accordarsi con il Cairo che, da quando è salito al potere il golpista al-Sisi, si è fatto paladino della lotta senza quartiere ai gruppi dell’Islam politico (tout court considerati “terroristi”). Altri temi caldi saranno le crisi che vive l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa): dalla mattanza siro-irachena, al caos libico passando per il dimenticato Yemen. Dovrebbe trovare spazio anche la questione palestinese: ancora una volta verrà proposta dagli egiziani l’iniziativa araba del 2002 che offre a Israele il riconoscimento dei trattati di pace con tutti i Paesi della regione in cambio del suo ritiro dai territori palestinesi e arabi che ha occupato nel 1967.

L’incontro tra i due presidenti – la prima visita ufficiale di un capo di stato egiziano alla Casa Bianca dal 2010 sarà sicuramente “disteso”: al-Sisi, del resto, è stato il primo capo di stato arabo a felicitarsi a novembre con il suo pari americano per la vittoria alle presidenziali. Congratulazioni non soltanto figlie di retorica e diplomazia, ma manifestazioni sincere di vicinanza a Trump dopo alcune divergenze con l’amministrazione Obama. Differenze che, tuttavia, non hanno mai ostacolato l’arrivo degli ingenti aiuti militari ed economici americani all’Egitto (oltre 2 miliardi di dollari all’anno) previsti dagli accordi di Camp David del 1979.

In attesa del vertice di oggi con il nuovo inquilino della Casa Bianca, ieri, intanto, al-Sisi ha incontrato il capo della Banca Mondiale Jim Yong Kim con cui ha discusso delle riforme economiche implementate dal suo governo, di cooperazione nello sviluppo di importanti progetti sul suo territorio, di energia e trasporti. Il presidente ha poi detto a Kim che il suo esecutivo continuerà a realizzare il piano di riforme economiche previsto espandendo i programmi e le reti di protezione sociale e compiendo ulteriori passi in campo amministrativo e legislativo. L’incontro, tra sorrisi e strette di mano, è giunto più o meno a una settimana di distanza dalla consegna all’Egitto della prima tranche di aiuti (1 miliardo di dollari sui 3 complessivi) stanziati dalla Banca Mondiale per sostenere le “riforme economiche” del Cairo, in particolar modo in campo fiscale, in quello energetico e nel settore privato. Ma soldi arrivano anche dal Fondo Monetario che a novembre ha consegnato all’Egitto la prima parte degli aiuti economici (2,75 miliardi di dollari, sui 12 totali).

Rimpinguare le casse vuote egiziane è solo uno dei problemi che deve affrontare al-Sisi. Un altro tema chiave è quello legato alla sicurezza. Ieri l’esercito egiziano ha confermato l’uccisione (avvenuto lo scorso 18 marzo) di Abu Anas al-Ansari, uno dei membri fondatori del gruppo jihadista Ansar Beit al-Maqdis. La sua organizzazione aveva giurato alleanza all’autoproclamato califfato nel novembre del 2014 cambiando il nome in “Stato Islamico – provincia del Sinai”.

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