La visita della qualificata delegazione cinese a Livorno, con i vertici della China Railway e qualche mediatore finanziario, non è di quelle che passano inosservate. Tantomeno se porterà a quell’investimento sulla Darsena Europa che, fino a non molto tempo fa, sembrava davvero un miraggio. Naturalmente in queste vicende non bisogna lasciarsi abbagliare dai numeri e dai nomi, e si devono capire le opportunità e le criticità che offre l’eventuale concretizzazione della visita della delegazione cinese.
Questo approfondimento si divide in vari paragrafi cercando di dare al lettore una chiave per la comprensione di certi processi di livello internazionale, sia per la logistica sia per l’entità delle produzioni in settori di base come l’acciaio. Il surplus produttivo della Cina con l’orientamento ad investire verso maxi infrastrutture talvolta non si traduce direttamente in benessere ma nel suo contrario in termini di speculazioni fini a se stesse che creano bolle finanziarie e consumo di territorio inutilizzabile per lunghi periodi. L’articolo che segue è propedeutico al convegno su Porti e Logistica del prossimo 5 aprile a Livorno, per cercare di essere pronti e critici nei confronti di eventuali presentazioni mistificanti e completamente fuori dalla realtà a cui la politica nazionale tenta di sottoporci quotidianamente. Ma serve anche per cercare di capire come e perché i capitali cinesi siano interessati anche a Compagnia Portuali (CILP) e all’acciaio di Piombino.
Riassumendo: c’è interessamento concreto per la Darsena Europa almeno fino a quando i possibili investitori cinesi non faranno una valutazione definitiva sul bando. C’è interesse su infrastrutture ferroviarie, interporto e una trattativa seria con Cilp. Le ricadute di un accordo cinesi-Cilp sarebbero già immediate e andrebbero testate in uno scenario che, oltre alla questione Darsena Europa, vede criticità su dighe foranee, scavalco e Scolmatore. Ma, se l’investimento cinese diventasse sistematico, che tipo di logica può prendere piede? Qui la politica deve stare con le orecchie ben dritte, perché ci sono due atteggiamenti standard, che si sono riprodotti in tutto il mondo, verso i quali i soggetti locali devono mostrare capacità di regolazione e di trattativa. Con un occhio di riguardo verso la filiera degli appalti, perché non è detto che portino ricadute sul territorio, come già sperimentato in Africa.
Per chi vuole approfondire ulteriormente ci sarebbe da toccare il Piano OBOR (One Belt and One Road), autorizzato dal Consiglio di Stato cinese nel 2015 e che traccia una vera e propria linea di politica economica estera in termini di logistica, quindi ferrovie e porti, per il paese del Dragone che si attiverà attraverso project finance e accordi bilaterali.
1) Il modello di investimento cinese all’estero.
Le esigenze del sistema Cina verso l’estero nell’ultimo ventennio sono state tre: l’esportazione della costruzione di infrastrutture, di merci e di capitali, nelle dimensioni tali da soddisfare soggetti che crescevano in un contesto di gigantismo economico e finanziario. Naturalmente, l’elemento indispensabile per le prime due necessità, espresse dal sistema Cina, era la movimentazione di capitali. Potremmo dire che il modello espresso nel mondo infrastrutturale è stato “vendere merci cinesi tramite capitali o intermediari cinesi” e tra le merci qui ci stanno anche i servizi finanziari oltre che fornitura di infrastrutture. Mentre per le merci fisiche la logica è sempre stata quella di tenere bassa la moneta nazionale (anche a costo di creare bolle finanziarie). Una logica comunque di sistema che, dal dopoguerra, ha fatto ad esempio la fortuna di paesi come la Germania (senza le bolle esportate però, intelligentemente, altrove dalla Spagna alla Grecia agli stessi Usa). Una logica, quella della penetrazione delle infrastrutture cinesi con capitali di Pechino, che si è espressa in Africa come negli Stati Uniti. In questo schema c’è però una novità. E quando si parla di costruzione di infrastrutture e di sinergie portuali non è una novità da poco. Riguarda proprio la movimentazione di capitali, la precondizione di ogni movimento infrastrutturale. Negli ultimi mesi si è infatti materializzata la restrizione, da parte del governo di Pechino dei movimenti di capitali verso l’estero visto anche, ma non solo, il timore che anche il timido rialzo dei tassi di interesse Usa possa far fuggire i capitali americani in luogo, aumentare l’indebitamento del paese (espresso in dollari) e provocare una fuga generalizzata dei capitali cinesi verso gli Stati Uniti o l’Europa. Le misure prese dal governo cinese devono esser ben chiare a chi si occupa di infrastrutture: in base alle nuove regole introdotte a partire dall’inizio del 2017, sono previsti controlli più ferrei sui movimenti di capitali da parte delle banche, in particolare, gli istituti di credito di Shanghai devono importare renminbi, la valuta cinese, in eguale misura all’ammontare delle esportazioni. Ancora più vincolanti i limiti per le banche di Pechino, che dovranno, a quanto si apprende da stampa specializzata, fare rientrare cento renminbi per ogni ottanta che i clienti intendono portare all’estero, garantendo un forte afflusso netto di capitali. Non è quindi un caso che il rappresentante di China Railway si sia presentato non tanto con la banca cinese dell’Export-import, il colosso bancario che solo nel 2010 ha firmato e finanziato progetti fuori dalla Cina per oltre 100 miliardi di euro, ma con un attore finanziario che opera con fondi offshore (come da descrizione di stampa locale). Significa che eventualmente la sinergia, per l’operazione Darsena Europa, è tra China Railway e un attore di fund-raising viste le restrizioni finanziarie presenti per l’investimento diretto da Pechino. Ma, anche qui, si fa presto a dire un attore quando si tratta di fund-raising. Prima di tutto perché vanno raccolti fondi fuori dalla Cina e trasferiti verso l’Italia con un veicolo finanziario adatto (la vicenda Milan è un esempio di quanto siano difficili operazioni del genere e quanto possano lievitare i costi finanziari del fund-raising). Poi perché l’eventuale presenza di un attore cinese nel finanziamento deve seguire una procedura politica (è la parola giusta) riassumibile in questo schema, redatto tra l’altro poche settimane prima del periodo delle restrizioni.
2) Il bando per la Darsena Europa e CILP
È quindi comprensibile che gli operatori cinesi abbiano mostrato fretta nell’acquisire la documentazione per partecipare alla gara della Darsena Europa. Non solo perché scade il 21 maggio, dopo un periodo di rinvii, ma anche perché, eventualmente, lo schema della raccolta dei finanziamenti deve essere necessariamente complesso. Trovando una sponda societaria, o una società ad hoc, a Livorno altrimenti più che una partecipazione ad una gara tutto questo può diventare un calvario senza risultati. Nel caso i cinesi, vedremo in che forma, partecipassero al bando sulla gara della Darsena Europa capiremo se la forma giuridica del bando è adatta alle modalità di costruzione della raccolta di capitali così come si configurano in questi soggetti. Ricordiamo che il bando è stato costruito entro uno schema politico che prevedeva il finanziamento di più soggetti pubblici, tra cui la regione che ha messo a bilancio il pagamento degli interessi del capitale prestato nel tentativo di restrizione dei livelli di rischio dell’investimento, e un soggetto privato di fund-raising. Vedremo se questo schema, che all’epoca pareva troppo affollato di soggetti finanziatori per tenere, passerà la prova dei fatti entro lo schema giuridico-normativo che si è data l’Authority, oppure se muteranno le condizioni reali di finanziamento dell’opera. Sarebbe interessante anche sapere cosa si sono detti, nel loro incontro, il ministro Delrio e il rappresentante di China Railway. Il primo, in occasioni anche pubbliche, ha parlato di rischio di overcapacity dei nuovi progetti infrastrutturali nei porti italiani, il secondo, invece, sulla overcapacity, in Cina e non, ci cresce.
Entrambi i temi, la questione della tenuta finanziaria del bando e quella della convergenza, e divergenza, di opinioni tra autorità italiane e cinesi sono fondamentali per stampa e politica locali. Perché fanno la differenza tra un’occasione di sviluppo e una per l’ennesimo inutile effetto annuncio. Anche perché, al di là del meritato rispetto e della dovuta cortesia verso la China Railway, c’è da capire pubblicamente e chiaramente davvero chi vorrebbe fare cosa. Ad esempio, se è vero, come confermato da più fonti, che la China Railway ha mostrato, nella sua visita livornese, interesse per la rete ferroviaria portuale locale è anche vero che, in tutto il mondo, ci risulta che, dall’Algeria all’Uganda al Sudan al Lagos, sia stata ovviamente capofila solo di progetti ferroviari. E se andiamo a vedere i progetti vetrina della China Railroad International non c’è un porto. Non solo, nelle scorse settimane la China Railway ha inaugurato un viaggio ferroviario, di vagoni merci che trasportano container, da Pechino a Londra. Questo investimento è complementare o concorrente della China Railway a un investimento nei porti del Mediterraneo? Non è una questione piccola né va affrontata a colpi di slogan.
Insomma, dando un’occhiata a ciò che questa azienda dice di sé, e che oggettivamente fa, il soggetto China Railway è più ferroviario che portuale. Certo stiamo parlando di parte di una holding vastissima, che comprende anche una società che costruisce porti, ma è anche vero che, in questi casi, capire chi dovrebbe fare cosa è essenziale per capire se gli affari possono funzionare o meno. Perché un dettaglio insignificante magari per l’opinione pubblica è invece essenziale per la politica e l’economia. Per capire se l’operazione, ci venga consentito il gioco di parole, può andare in porto.
Dalla qualità del fund-raising e della cordata costruttrice della eventuale Darsena Europa dipenderebbe, infatti, non poco del futuro del territorio. E siamo di fronte ad un ambito, quello del territorio, che di criticità infrastrutturali ne presenta. La prima è la questione irrisolta delle dighe foranee, la seconda il fatto che il finanziamento del famoso “scavalco” ferroviario, indispensabile in prospettiva Darsena Europa, è ancora in forse, la terza, last but not least, è che i fondi per i lavori allo Scolmatore sono finiti nella vicina provincia di Pisa (e sarebbe una questione sulla quale la politica locale si dovrebbe interrogare evitando anche che qualcuno tiri la coperta corta dei finanziamenti in una logica di guerra di vicinato). Ma c’è anche un’altra criticità in tutto questo scenario: nel caso il bando sulla Darsena Europa non andasse a buon fine il ripiegamento su una ipotesi di Darsena Light non sarebbe automatico. Come nel gioco dell’oca, dal punto di vista tecnico, giuridico e istituzionale bisognerebbe ricominciare tutto da capo anche dal punto di vista della cernita della disponibilità di finanziamenti istituzionali. Questioni non da poco, tutte queste messe sul tappeto dalle dighe foranee passando allo Scolmatore per arrivare al bando, che si sovrappongono al certo sbarco di Infracapital a Livorno e alla vicenda, per ora solo ipotetica, dell’interessamento cinese verso il nostro territorio.
Da quello che poi ci è stato confermato da più fonti l’interessamento della delegazione cinese è stato sia verso la Darsena, sia verso la rete ferroviaria, sia verso l’Interporto come verso la compagnia portuale, la Cilp. Se la questione Darsena sembrerebbe il tentativo di investimento grazie al quale posizionarsi sulle infrastrutture ferroviarie o sull’Interporto, la trattativa Cilp-soggetti cinesi avrebbe, se andasse a buon fine, già un grosso immediato impatto sul territorio. Fonti qualificate ci riferiscono, per l’interessamento cinese verso Cilp, di uno stato comunque serio di trattativa. Si parla apertamente di investitori provenienti dall’ambito real estate, immobiliare, interessati al posizionamento nel nostro porto. Se l’operazione si chiudesse, qualsiasi fosse la quota ceduta ai soggetti cinesi, si aprirebbe uno scenario inedito per la città, e il lavoro portuale, ma si farebbe anche più chiaro lo scenario dell’interessamento cinese per il nostro scalo. Uscendo dal rango di ipotesi per entrare nella dimensione pratica.
3) La via della seta, gli investimenti reali, le bolle finanziarie
A questo punto bisogna comunque capire se la mappa delle vie della seta presentata pochi mesi fa dalle autorità cinesi a Bloomberg (il numero uno dei servizi di analisi finanziaria al mondo) va riscritta o Livorno trova comunque una sistemazione periferica. Come si vede esiste, nelle intenzioni progettuali del governo cinese, una linea arancione scura, quella ferroviaria, e una blu, quella marittima. Una linea di terra e una di mare. Certo, visto che l’autorità portuale è, oggi, di Livorno e Piombino, già che ci siamo, ecco il tipo di tendenza all’export dell’acciaio cinese (sempre linea blu) che queste nuove vie della seta devono supportare.
C’è quindi da capire, a parte la questione dell’acciaio e di Piombino, se la cartina (recente, tra l’altro) delle nuove vie della seta va di aggiornata, con Livorno e il Tirreno che trovano un proprio ruolo, oppure quale sia l’effettiva dimensione dei nostri territori se (il condizionale è d’obbligo) entrano nell’orbita degli investimenti cinesi. Naturalmente, e questo vale sia per impegno infrastrutturale delle vie della seta come per la Darsena Europa, dirimente, per capire il tutto, è lo stato dei vari project-financing.
BMI Research Singapore, che fa parte del gruppo Fitch (la nota agenzia di rating) monitorizza da tempo l’intera operazione vie della seta. Dalla Cina all’Europa ed è in grado di fare pronostici più di qualche improvvisato articolo di giornale, suggestionato da qualche biglietto da visita offerto dall’intervistato. Bene, finora BMI ha parlato di investimenti del governo cinese che rendevano più sopportabili i rischi dell’impresa nella stabilizzazione delle vie della seta. Ed è da valutare l’impatto delle restrizioni di capitale cinese verso l’estero in tutto questo scenario. Prima di parlare, come ha fatto certa stampa locale di arrivo di “uomini d’oro” dalla Cina, che accendono inutili immaginazioni, dopo aver titolato di piogge di milioni da Firenze (anzi da Bientina, con Rossi a gettarli sulla città), vanno davvero inquadrati gli scenari commerciali, infrastrutturali ma soprattutto finanziari (sono quelli che decidono davvero) che manifestano concretezza.
Il primo punto, fissato da Forbes (che è una delle riviste finanziarie top del pianeta) è quella che viene chiamata “mentalità della bolla”. Un modo di operare pubblico e privato che privilegia, nella costruzione della infrastrutture, la raccolta di fondi in qualsiasi modo nella fase della costruzione finanziaria del progetto. Senza un vero rapporto tra tenuta della fase di raccolta fondi e sviluppo del progetto. Il risultato sta, in Cina, in esplosione di bolle finanziarie che lasciano progetti incompiuti o cattedrali nel deserto. E se ne sono accorti gli stessi cinesi che da tempo si domandano come evitare fallimenti dei loro progetti all’estero. Qui, certi titolisti improvvisati dovrebbero leggersi la domanda che i cinesi rivolgono a sé stessi ovvero sul perché i loro progetti falliscono all’estero.
Certo, dei progetti cinesi non ci sono solo i fallimenti ma saper, bene, dove il potenziale investitore rischia di sbagliare non è questione secondaria. Il fatto che anche gli stessi cinesi siano consapevoli del problema può rappresentare un punto positivo.
Quindi invece di titolare “uomini d’oro”, con racconti da ingenui di provincia pronti ad essere spennati (anche perché gli “altri” leggono...), la stampa locale, assieme alla politica, deve stare attenta alla fattibilità finanziaria dei progetti e al rapporto tra finanza e infrastrutture. Se i project-financing sono falliti in Italia, e se la Cina non è esente da questi fallimenti all’estero, evitare un atteggiamento di regolazione non solo normativa ma diplomatica e in fase di trattative potrebbe essere un problema.
4) Gli appalti
Altro punto verso la quale la stampa e la politica locale devono stare bene attenti è quello della filiera degli appalti. Non è un caso se, tra i componenti della delegazione cinese, qualcuno si sia informato proprio su questo argomento. Già, perché la tendenza di questo genere di operazioni è, se lasciata indisturbata, “all China”: capitali cinesi, o raccolti da cinesi, governo, nel rispetto formale delle autorità locali, saldamente nelle mani del Dragone, e quante più ditte possibili che vengono dalla Cina. Del resto bisogna far quadrare un complesso quadro finanziario, tenere un certo livello di profitto e di produttività. La tendenza è quella di riprodurre, vizi e virtù, l’interna catena dalla moneta alla costruzione, alla rete delle ditte proprio all’estero. Il punto non è solo che il modello “all China”, ampiamente sperimentato in Africa, ha delle criticità sul piano dei vantaggi per le economie territoriali. Ma anche che tende a riprodursi, criticità comprese, nei paesi occidentali. Si guardi alle considerazioni che fanno le autorità neozelandesi proprio su un investimento diretto nelle infrastrutture locali e portuali nel quale sarebbe presente proprio China Railway. È vero che stiamo parlando di un paese geograficamente agli antipodi dell’Italia ma di una economia storicamente occidentale, con autorità strutturate, con efficienza, per attirare investimenti globali. Quello che dicono le autorità neozelandesi è chiaro: vanno bene gli investimenti cinesi, abbiamo bisogno di fondi per le infrastrutture, ma l’affare si fa solo se è chiaro cosa ci guadagna l’economia territoriale anche in termini di partecipazione diretta ai lavori. Altrimenti diventa un investimento di cinesi per la Cina, di cui l’estero è solo un pretesto.
Non dare nulla per scontato, specie negli appalti, è un punto al quale eventualmente stampa e politica locale sono chiamati a intervenire. Va anche aggiunto che l’Unione Europea, per la costruzione della nuova ferrovia Belgrado-Budapest (nella foto la firma dell’accordo) da parte proprio della China Railway, ha fermato la parte di concessioni che la riguardano proprio a causa dei troppi appalti Cina su Cina.
Anche saper creare precedenti in grado di poter ragionare da pari a pari è un’ottima medicina per le criticità. Se è vero che una delegazione cinese è stata ospitata in comune, ed è un fatto positivo, è altrettanto vero che la strategia dell’attesa dell’investitore cinese che si innamora è insensata. Come ha fatto la compagnia portuali bisogna andare da quelle parti per essere accettati. E ci sono diversi programmi di ricerca e cooperazione locali, finanziati dalle autorità regionali, che possono fare al caso di Livorno. Basta non pensare di vendere loro quello che hanno già e avere un’idea chiara dei prodotti da proporre in joint-venture. Anche qui la politica può fare molto se esce dalla routine delle polemiche inutili e dagli effetti annuncio su Facebook.
Facciamo infine un’operazione politica: guardiamo oltre il prossimo quarto d’ora. La comunità cinese di Livorno è cresciuta, in un trend di presenza nazionale abbastanza stabile, del 30% nel nostro territorio dall’inizio della crisi. Si pensa forse che investimenti nel porto e presenza sul territorio siano separate? Ad un certo punto le due dimensioni fanno sinergia. La presenza cinese predilige i porti, a Oakland, tra penetrazione tecnologica e di capitali e presenza di popolazione, ad un certo punto il sindaco eletto era una donna cinese. Scenari lontani? Fantascienza? Certo, niente si ripete allo stesso modo, l’Italia non è la California, ma forse non si è capito quanto la globalizzazione oggi acceleri i processi di cambiamento dei territori. Quelli che cambiano l’asse reale dei poteri sui territori e la loro direttrice economica.
L’investimento cinese può essere un’opportunità o un grave rischio. Di sicuro l’improvvisazione in questo scenario i rischi, se ci sono, li amplifica. Comunque andrà questo scenario, aggiunto alla presenza reale di Infracapital, il futuro di Livorno sarà inedito, non sperimentato.
Redazione, 3 aprile 2017
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