di Francesca La Bella
Le elezioni irachene sono ancora molto lontane, ma già si intravedono
le problematiche che potrebbero incidere sia sul voto amministrativo di
settembre sia su quello parlamentare del prossimo anno. In questo senso,
la compagine sciita sembra essere la più attiva nella campagna
elettorale in partenza.
Particolare attenzione in questo campo
deve essere data ad una figura che sta riuscendo a canalizzare lo
scontento della popolazione contro il governo sotto i vessilli di una
grande unità nazionale: Muqtada al Sadr. Con molti mesi di
anticipo sono, infatti, iniziate le manifestazioni da parte dei
sostenitori dell’influente religioso sciita a sostegno di una modifica
in senso maggiormente inclusivo della legge elettorale in vigore.
La capacità di mobilitazione di ampie
fasce di popolazione di Al Sadr, apparentemente ridottasi negli ultimi
anni dopo la dipartita delle forze statunitensi dall’Iraq, sembra, in
questo senso, essere nuovamente in crescita grazie ad un lungo lavoro di
mediazione tra soggetti tra loro molto differenti e la scelta di pochi
semplici punti fermi.
Le aperture sia
verso la comunità sunnita sia verso gruppi laici come il Partito
Comunista iracheno e la presa di posizione netta contro il suo
principale avversario nella compagine sciita, l’ex premier Nouri al
Maliki, hanno, infatti, permesso al religioso sciita di allargare il
consenso intorno alla propria figura anche al di fuori della propria
comunità etnica.
La chiamata al boicottaggio delle
elezioni qualora non venga preventivamente modificata la legge
elettorale e la denuncia del carattere corrotto dell’Alta Commissione
elettorale indipendente potrebbero, dunque, avere molto seguito,
indebolendo ancor prima del voto gli eventuali vincitori.
Il valore della propaganda
politica di al Sadr travalica, però, i limiti della contesa elettorale.
Il piano di contestazione del governo in carica espressosi con le
manifestazioni dello scorso anno contro la dilagante corruzione e per il
miglioramento dei principali servizi pubblici e quelle attuali a favore
della riforma elettorale è, infatti, andato di pari passo con un
riposizionamento del religioso all’interno del panorama politico del
paese.
Dopo essere stato, durante gli
anni dell’occupazione statunitense dell’Iraq, alla guida dell’Esercito
di Mahdi, ed essere stato il promotore della nascita delle Brigate di
pace per la difesa dei luoghi sciiti dagli attacchi dello Stato
Islamico, al Sadr sembra ora voler porre fine all’esperienza ed al
potere dei gruppi armati volontari presenti nel Paese. Nella prima
intervista con un giornalista straniero dopo tre anni, il religioso ha dichiarato al corrispondente di Middle East Eye
di volere lo smantellamento di tutte le milizie armate e l’avvio di un
reale dialogo inter-etnico ed inter-confessionale che permetta al Paese
di evitare una nuova guerra settaria dopo la auspicata caduta di Mosul.
Lo stesso argomento era già stato
trattato da al Sadr in maniera più organica nel documento programmatico
di 29 punti sul futuro del Paese e, in particolare sul destino della
provincia di Ninive, presentato da al Sadr il 20 febbraio di quest’anno e
titolato “Soluzioni Iniziali”.
Il piano del religioso sciita appare particolarmente ambizioso: oltre
alla richiesta di provvedimenti umanitari e di creazione di un fondo
internazionale per la ricostruzione dell’area, molto forte è l’accento
posto sull’unità e sulla riconciliazione nazionale oltre che
sull’esclusività dell’autorità dell’esercito regolare nel controllo del
territorio e delle armi.
Se da un lato al Sadr guarda all’interno
e propone meccanismi atti a mitigare le tensioni etniche come l’invio
di delegazioni da aree sunnite a sciite e viceversa, dall’altro non
dimentica il piano internazionale. Chiede un monitoraggio delle Nazioni
Unite sul processo politico di trasformazione delle aree liberate, ma
anche una presa di posizione netta contro le ingerenze esterne e
l’allontanamento di tutte le truppe straniere, occupanti e non, per
preservare l’indipendenza e la sovranità dello Stato iracheno.
Un attacco diretto non solo agli Stati
Uniti e ai paesi occidentali in senso ampio, ma anche al più coinvolto
vicino d’area: l’Iran. Prendendo le distanze dalle posizioni
pro-Teheran di buona parte del mondo politico sciita e di al Maliki in
particolare, al Sadr pone, dunque, un freno alle capacità iraniane di
influenzare il dibattito interno e le alleanze sul terreno in territorio
iracheno.
L’attenzione riservata da al Sadr alla
battaglia di Mosul è, in questo contesto, particolarmente significativa.
Con grande lungimiranza, il religioso sottolinea come l’eventuale
sconfitta dello Stato Islamico non porti con sé solamente aspetti
positivi. In un Iraq ancora fortemente frammentato dove la spartizione
del potere si interseca con questioni etnico-territoriali, come nel caso
di Mosul e Kirkuk, e con il ricordo delle violenze degli anni passati
tra sunniti e sciiti, la cancellazione del nemico comune potrebbe
riaprire ferite mai rimarginate in seno alla società irachena.
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