L’accordo sarebbe stato raggiunto: un documento girato ai media
libici e in attesa della firma dal generale Khalifa Haftar e il premier
di unità nazionale al-Sarraj è il prodotto dei meeting, sponsorizzati
dagli Emirati Arabi, che avrebbero permesso ai due parlamenti avversari
di giungere ad un’intesa.
Tobruk, il governo “ribelle” rappresentato dal suo capo
dell’esercito, e Tripoli, l’esecutivo di unità nazionale riconosciuto
dalla comunità internazionale, hanno redatto ieri l’accordo che dovrebbe
portare ad una stabilizzazione del paese in guerra civile dal 2011 e
alla fine del potere a due teste. Secondo quanto si legge nel
documento, le due parti hanno stabilito di unificare tutte le fazioni
armate libiche a loro fedeli sotto il comando del consiglio
presidenziale, dunque sotto al-Sarraj. Un elemento non da poco: i
precedenti accordi erano saltati perché Haftar non accettava il
controllo civile delle forze armate, pretendendo mano libera. Ora si
verrebbe a creare un unico esercito e si ripulirebbe la Libia di una
parte delle milizie armate che dettano legge ognuna in enclavi diverse, in Tripolitania come in Cirenaica e in Fezzan.
L’intesa prevede inoltre l’avvio di un processo di
riconciliazione nazionale, il ritorno degli sfollati nelle proprie case e
elezioni legislative presidenziali da tenersi entro il marzo 2018.
Infine, i due hanno stabilito la creazione di un gruppo di lavoro –
formato da esponenti militari delle due fazioni – per la formazione di
un nuovo governo, diverso da quello tripolino. Ora manca la firma e
l’annuncio ufficiale, ma la stampa araba la dà per assodata nonostante
per ora tutto si sia svolto a porte chiuse.
A sentire fonti interne citate da al Jazeera, l’incontro di Abu Dhabi sarebbe stato realizzato grazie all’intervento “internazionale e arabo”. Da
settimane si parlava di un possibile incontro tra i due e molti
indicavano nella Casa Bianca di Trump il luogo del vertice a sorpresa.
Un’indiscrezione girata tra i media dopo il meeting a Washington tra
Trump e il premier italiano Gentiloni e dopo un incontro di basso
profilo e quasi anonimo tra esponenti dei due parlamenti, avvenuto a
Roma due settimane fa.
L’Italia non intende perdere il controllo, il filo della
soluzione della crisi su cui punta buona parte della propria politica
estera e mediterranea. Con l’Eni in prima fila per tornare a scambi
commerciali normali, ai livelli pre-2011, e la questione migranti sempre
più stringente, Roma non intende lasciare la Libia alle mire divisive
francesi e britanniche: gli interessi energetici italiani
passano per l’unità e la stabilità del paese (l’Eni in passato, durante
l’era Gheddafi, ha sempre rifornito anche la popolazione civile libica,
le case, le industrie, le infrastrutture), in contrasto con quelli
francesi, più interessati ad una divisione ufficiosa o ufficiale delle
zone di influenza petrolifera tra potenze.
Oggi intanto il generale al-Sisi, il presidente egiziano che più di
altri ha sostenuto Haftar e il governo ribelle di Tobruk, volerà negli
Emirati. Non si parla ufficialmente di una partecipazione al vertice, ma
è possibile che una delegazione egiziana entri nelle stanze a porte
chiuse.
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