La prima Rivoluzione Industriale trasformò ancora il modello economico, fino ad arrivare alla odierna Rivoluzione digitale, che ha finito per colonizzare le nostre vite, le nostre menti.
Il testo che segue, è un’analisi lucida dei meccanismi che il capitale odierno, quello delle Corporations digitali, utilizza per continuare a fare man bassa di profitti e di come si sia trasformata la merce stessa. Altrettanto lucidamente l’autore del libro, da cui è stato estratto il brano, ci mette al corrente del controllo e dello sfruttamento inconsapevole di cui siamo oggetto ogni giorno, ogni minuto che utilizziamo con i nostri onnipresenti dispositivi (smartphone, pc, tablet) social network o Rete. E dei pericoli a cui la società va incontro.
Il capitale sembra essersi smaterializzato nella Rete, assumendo una parvenza di post-capitalismo che permea le nostre attività. Ma non c’è alcun “post” e le dure regole dell’accumulazione funzionano nello stesso modo, solo su scala immensamente più grande.
Le parole del Prof. Srnicek aiutano a riflettere: si dovrebbe forse guardare questo mondo virtuale, in potenza, con lo sguardo della realtà effettiva, che esso simula... La truffa si smaschera facilmente, la comprensione dei meccanismi si dipana attraverso le note forme della critica dell’economia capitalistica... Più difficile, certamente, creare gli strumenti per combatterla.
Ma non si deve restare abbagliati dalle forme della tecnologia, per definizione sempre “nuove”. La logica – capitalistica – resta tanto più efficiente quanto meno osservata, indagata, analizzata. E non per caso Srnicek è obbligato, alla fine del suo excursus, a presentare come possibile soluzione solo la nazionalizzazione. Ovvero l’assunzione delle piattaforme sotto il controllo pubblico.
Soluzione che è a sua volta un problema, perché le corporations digitali sono tutte “globali”, mentre qualsiasi possibile controllo pubblico ha limiti forzatamente nazionali o al massimo semi-continentali (Unione Europea).
Come si vede, nelle analisi migliori sugli effetti sociali delle innovazioni tecnologiche connesse alla Rete non fa mai la sua comparsa quella dicotomia stupida (“materiale/immateriale”) che ha inquinato soltanto il “dibattito” dentro una sinistra sempre più acefala.
*****
C’è bisogno di nazionalizzare Google, Facebook ed Amazon. Ecco perché
Nick Srnicek per The Guardian, 30 Agosto 2017 – Traduzione e cura di Francesco Spataro
Una crisi si profila all’orizzonte. Ci si è resi conto che non è possibile contrastare o entrare in concorrenza con il monopolio delle piattaforme digitali, che stanno da tempo risucchiando i nostri dati personali: sono troppo potenti per essere al servizio dell’interesse pubblico.
Per un breve periodo, nel marzo del 2014, il dominio di Facebook è sembrato essere a rischio. Con un enorme battage pubblicitario la piattaforma Ello si presentò come l’alternativa indipendente proprio a Facebook . Secondo il manifesto che accompagnava il suo lancio pubblico, Ello non avrebbe mai venduto i vostri dati a terzi, non si sarebbe affidato alla pubblicità per finanziare il proprio servizio, né avrebbe richiesto di usare il vostro vero nome in fase di registrazione. Il battage si affievolì, mentre Facebook ha continuato ad espandersi.
La rapida ascesa e caduta di Ello è sintomatica del nostro mondo digitale contemporaneo e della potenza del modello monopolistico derivante dalle nuove “piattaforme digitali” del XXI secolo che si chiamano Facebook, Google ed Amazon. Il loro modello, la loro struttura gli ha permesso di appropriarsi e trasferire dati ed entrate ad una velocità incredibile, e nello stesso tempo di consolidarsi come i nuovi signori dell’economia.
Proprio lunedì scorso, si è verificato un ulteriore balzo gigantesco: Amazon ha rilanciato la prospettiva di una guerra internazionale delle tariffe dei generi alimentari, tagliando i prezzi il primo giorno in cui è diventato rivenditore esclusivo on line di cibo biologico (subito dopo aver acquistato la catena Whole Foods) e andando da subito in concorrenza con la compagnia Walmart (la più grande e potente catena di supermercati americana n.d.r.).
Il “modello” piattaforma digitale – nulla più che una struttura che mette in connessione due o più gruppi e gli permette di interagire fra di loro – è determinante per aumentare o meno il peso ed il potere di queste compagnie. Nessuna concentra le proprie energie facendo cose come le facevano le compagnie tradizionali decenni orsono. Facebook, mette in contatto direttamente utenti, inserzionisti, ed imprenditori; Uber, conducenti e clienti; Amazon, venditori e compratori.
Quello che fa la fortuna di business di questo tipo, di compagnie che hanno scommesso sulle “piattaforme digitali”, è il raggiungimento di una massa critica di utilizzatori: più utilizzatori ne fanno uso, più utile diventa lo strumento, più gli utenti rimangono “trattenuti” dalle maglie della rete, vengono come si dice fidelizzati. Il rapido crollo di Ello si è verificato proprio perché non ha mai raggiunto una massa critica di utilizzatori tale da indurre gli utenti ad un esodo da Facebook, la cui egemonia è rappresentata dal fatto che, anche se angosciati dalla pubblicità e infastiditi dalla rilevazione dei vostri dati, probabilmente rimane la scelta principe, perché praticamente la utilizzano tutti; questo è lo scopo di un social network.
La stessa cosa è per Uber: per gli autisti, usare l’applicazione che li mette in contatto con un gran numero di persone, dunque di potenziali clienti, ha senso a prescindere dal sessismo dell’ex amministratore delegato Travis Kalanick o dal modo sgradevole con cui egli controlla gli stessi autisti; perfino la flessione, causata dagli innumerevoli racconti di serie aggressioni a sfondo sessuale da parte di alcuni dei suoi conducenti, non ha avuto effetto alcuno sulla performance dell’applicazione. Gli effetti della Rete generano impulsi che non soltanto aiutano le piattaforme a sopravvivere nonostante controversie di questo tipo, ma rende incredibilmente difficile, per chi ha tentato di affrancarsi da esse, sostituirle.
Come risultato a tutto questo, abbiamo assistito ad un aumento sempre più forte del monopolio delle piattaforme digitali. Google, Facebook ed Amazon sono le più importanti in Occidente (la Cina ha il suo personale ecosistema tecnologico). Google controlla il settore dei motori di ricerca, Facebook domina i social media, ed Amazon è leader nel commercio on-line. Queste stesse compagnie, stanno esercitando il loro potere anche su quelle che non operano su piattaforme digitali, e questa tensione, questo attrito, probabilmente si inasprirà, nei prossimi decenni. Guardate lo stato dell’arte del giornalismo, ad esempio: Google e Facebook fanno soldi a palate con gli introiti record dalla pubblicità attraverso sofisticati algoritmi; i giornali e le riviste assistono alla fuga degli inserzionisti, a licenziamenti di massa, alla crisi del costoso giornalismo investigativo, ed al collasso delle testate più importanti, come ad esempio The Independent.
Un fenomeno simile sta succedendo nel commercio al dettaglio, dove il dominio di Amazon sta danneggiando pesantemente il settore, ormai vecchio, dei grandi magazzini e dei centri commerciali.
Il potere di queste compagnie, basato sul nostro inconsapevole consenso ad affidargli la raccolta dati, aggiunge un ulteriore punto di svolta. I dati personali stanno velocemente diventando il petrolio del XXI secolo, una risorsa essenziale per l‘intera economia globale, ed il fulcro di un’intensa lotta per il suo controllo. Le piattaforme digitali, intese come spazi nei quali interagiscono due o più gruppi, forniscono quella che per il petrolio, in effetti, potrebbe essere una piattaforma di trivellazione. Ciascuna interazione su una piattaforma digitale, diventa un punto di rilevamento dati che può essere catturato, per poi confluire nella creazione di un algoritmo.
In questo senso, le piattaforme digitali sono l’unico modello di business moderno, per un economia incentrata sulla raccolta dati. Sono sempre più numerose le compagnie che realizzano qualcosa del genere. Spesso si pensa alle piattaforme digitali solo come ad un fenomeno del settore hi-tech, ma la verità è che si stanno diffondendo ovunque nel mondo dell’economia. Uber ne è l’esempio più evidente; ha trasformato il serio e compassato business dei taxi in una piattaforma di tendenza. Siemens e General Electric, due colossi del XX secolo, stanno sforzandosi da tempo per sviluppare un sistema di produzione basato su una tecnologia cloud (un contenitore virtuale che può ospitare dati ma anche servizi o programmi accessibili o utilizzabili liberamente da remoto n.d.r.). Monsanto e John Deere, due affermate compagnie del settore agricolo, da tempo stanno cercando di capire come introdurre il “modello piattaforma digitale” nella produzione di cibo e nel settore della coltivazione agricola.
Questo pone dei problemi. Alla base della piattaforma digitale, il capitalismo è il motore per estrarre il maggior numero di dati possibile, in modo da farlo sopravvivere. Un sistema è quello di convincere gli utilizzatori a rimanere sulla piattaforma più a lungo possibile. Facebook è specializzato in questo, e nell’utilizzo di tutte le tecniche comportamentali per favorire l’inserimento di nuovi utenti nel suo servizio: quanti di noi scorrono distrattamente Facebook, a malapena consapevoli di farlo?
Un altro espediente è sviluppare, espandere, il sistema di estrazione. Questo ci aiuta a capire perché Google, apparentemente un motore di ricerca, si stia spostando nel settore del cosiddetto “Internet delle cose” (Home/Nest, applicazioni per il controllo a distanza di impianti di videosorveglianza, termostati, luci di casa ecc, ndt), dell’auto senza conducente (Waymo), o in quello della realtà virtuale (visori Daydream/Cardboard ) o in tutti gli altri tipi di servizi personali. Ciascuno di questi settori è una ulteriore ricca fonte di raccolta dati per la compagnia, un altro punto di vantaggio sui suoi concorrenti.
Altri hanno semplicemente acquistato compagnie più piccole: Facebook ha inghiottito Instagram (per un miliardo di dollari), WhatsApp (19 miliardi di dollari), ed Oculus (due miliardi di dollari), mentre nello stesso tempo investiva in un modello di drone, o in servizi di pagamento on-line o di e-commerce. Ha sviluppato anche uno strumento che avverte quando una start-up sta diventando popolare, o se sia possibile una minaccia informatica. La stessa Google è tra i più prolifici acquirenti di nuove compagnie, ed in alcuni casi, ha acquistato anche una nuova impresa a settimana. La fotografia che ne viene fuori è di un impero in continua espansione volto a risucchiare più dati possibile.
E qui arriviamo alla vera conclusione, l’approdo a cui tutte le Corporations aspirano: l’intelligenza artificiale (o, se vogliamo dirlo in modo meno attraente, la macchina che sa apprendere). Alcuni si divertono a speculare su mondi futuri gestiti da uno Skynet in stile Terminator, ma le sfide più realistiche della AI (Intelligenza Artificiale d’ora in poi, ndt) sono molto più a portata di mano. Negli ultimi anni, tutte le più grandi compagnie che gestiscono piattaforme digitali si sono concentrate nell’esplorazione di questo settore. Ma recentemente il direttore del settore sviluppo strategie commerciali di Google, ha dichiarato: “Siamo assolutamente i primi nel campo della AI”.
Tutte le dinamiche delle piattaforme digitali si sono amplificate da quando una AI ha introdotto l’equazione: appetito insaziabile per la raccolta dati = “effetto croupier”* in rete. E qui assistiamo alla formazione di un ciclo virtuoso: la maggior acquisizione dati porta a migliorare l’apprendimento della macchina, che, a sua volta, può ottimizzare i servizi e quindi reclutare un numero maggiore di utilizzatori, che, a loro volta, saranno fonte di ulteriori dati. Al momento Google sta utilizzando una AI per migliorare la sua pubblicità mirata, mentre Amazon ne sta usando un’altra per migliorare un modello di cloud altamente redditizio (con la quale si sta “lanciando” il nuovo romanzo di Dan Brown, Origin in uscita il prossimo 3 ottobre, ndt). Nel momento in cui una compagnia che gestisce una AI prende qualche misura di vantaggio su di una concorrente, queste dinamiche, presumibilmente, la porteranno a raggiungere una posizione ancora più favorevole.
Infine, qual è la risposta a tutto questo? Abbiamo solo iniziato a comprendere la questione, ma, in passato, i comuni monopoli, come i servizi pubblici o le ferrovie, che hanno goduto di enormi economie di scala ed hanno servito il bene comune, sono stati i primi candidati ad assumersene la titolarità pubblica. La soluzione al nostro problema del moderno monopolio risiede in questa sorta di antichissima truffa, di annoso pasticcio, aggiornato alla nostra era digitale. Potrebbe voler dire fare un passo indietro sul controllo di Internet e della nostra infrastruttura digitale, invece di permettergli di essere indirizzati al solo perseguimento del profitto e del potere.
Provare ad aggiustare solo qualcosa, introducendo minori regolamentazioni, mentre le società di AI accumulano potere non funzionerà. Se non subentriamo ai monopoli delle piattaforme digitali di oggi, rischiamo di lasciargli proprietà e controllo delle infrastrutture-base della società del XXI secolo.
Nick Srnicek, è docente universitario in economia digitale al King’s College di Londta, ed è autore di “Platform Capitalism” (Capitalismo delle piattaforme digitali.)
Note
* per “effetto croupier” si intende quando il banco, al tavolo da gioco, vince su tutti i giocatori, nello specifico più si raccolgono dati, più si diventa potenti in rete.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento