Questo articolo compare contemporaneamente su Contropiano e L’Antidiplomatico.
Trump, nel suo discorso alle Nazioni Unite, ha attaccato nell’ordine Kim Jong-Un, Maduro, Obama, Castro, la rivoluzione islamica Iraniana, Hezbollah, le Nazioni Unite, Assad, il socialismo Sovietico, il comunismo Cubano e indirettamente pure Chavez e la Federazione Russa (in merito alla vicenda Ucraina).
Per il resto, solito doppio messaggio. Uno indirizzato alla popolazione americana, sullo stile della campagna elettorale che l’ha portato alla presidenza. L’altro indirizzato al resto del mondo, chiaramente incentrato sul ruolo degli Stati Uniti quale nazione unica ed indispensabile (American exceptionalism) tinto però di una sorta di realismo politico (a suo dire).
Quel che conta è la frattura nel campo imperialista nordatlantico. Trump è disprezzato dai neoliberal alla Clinton e detestato dai neocon alla McCain (anche se fa di tutto, specie con la retorica più che azioni, per entrare nelle loro grazie), osteggiato persino dalla maggior parte dei partner Europei. Senza contare l’incapacità di fondo dell’amministrazione di conciliare le diverse posizioni di Trump in politica estera, generando terremoti (geo)politici devastanti come visto con Qatar e Arabia Saudita o tra Washington ed Ankara.
Trump non pare voler lasciare in eredità al paese l’ennesima guerra (con conseguente sconfitta), tradendo ulteriormente il mandato elettorale. Si è però volutamente circondato di generali assetati di guerre, soldi e appalti per i giganti del complesso militare industriale, sperando di salvarsi la presidenza. Non a caso ha deciso di aumentare il budget della difesa, ma non perde occasione per ribadire che gli Stati Uniti non vogliono usare la forza.
Ancora una volta, conta la realtà dei fatti e non le parole dietro cui Trump e l’establishment americano spesso si nascondono: in Siria hanno perso, così come in Iraq ed Afghanistan; tutto mentre Pyongyang sviluppava il suo deterrente nucleare e perfezionava quello convenzionale, rendendo le minacce nordamericane vuota retorica.
Il discorso di Trump provoca indifferenza ed ilarità ai nemici nordamericani, sfiducia nelle nazioni ancora orbitanti nella bolla unipolare di Washington e grande soddisfazione per regimi come Israele e Arabia Saudita che si accontentano ormai persino della scadente retorica di una delle persone meno stimate sulla scena internazionale.
Trump, ogni volta che parla, ci ricorda indirettamente quanto la transizione ad un ordine mondiale multipolare sia fortunatamente irreversibile ed in pieno svolgimento.
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