La Resistenza, almeno in Provincia di Savona, sembra essere oggetto davvero di una distopia: la memoria sembra essere ormai soltanto quella di una società utopica altamente indesiderabile e spaventosa.
Una società nella quale si consumavano nient’altro che delitti efferati colpendo gli innocenti.
Sembra completamente smarrita l’idea di Liberazione che i lontani eventi della primavera del 1945 avevano storicamente portato nel senso comune e nell’immaginario collettivo.
Sui social media (portatori incolpevoli della fragilità della cultura di massa di questo secondo decennio del XXI secolo) impazza il caso di Giuseppina Ghersi, vittima di una giustizia e/o ingiustizia lontana e di un clima d’odio che non dovrebbe più appartenere a questa fase della storia: un clima d’odio che per l’appunto dovrebbe risultare oggettivamente storicizzato dal procedere del tempo e degli eventi.
Alla giovanissima sostenitrice del fascismo repubblicana (si può scrivere così, magari tramutando repubblicano in repubblichino?) uccisa in circostanze concretamente mai chiarite fino in fondo (anche se esistono atti processuali e documenti magari ancora non del tutto rivelati) e comunque al di fuori dai pur provvisori e sbrigativi canali della giustizia dell’epoca (nessuna condanna da un qualche tribunale speciale) il comune di Noli dedica una targa e al consiglio comunale di Albenga pare stia per arrivare una proposta d’intitolazione per una strada.
Forza Nuova approfitta di tutto ciò per rilanciare il “fascismo militante” con tutto il bagaglio dell’apologia classica fatta di “A Noi”, saluti romani, appello “Ai camerati”: ed è questo l’esito politico vero della vicenda.
L’esito politico di un’insperata nuova cittadinanza per quest’armamentario di esaltazione delle opere maggiormente deleterie per la vita del popolo italiano, mai consumate nel corso della sua storia.
Perché non si può e non si deve dimenticare che il fascismo è stato il “grande male” nella storia d’Italia e che la Repubblica e la Costituzione sono sorte per cancellarne la realtà e impedirne la possibilità di ricostituzione.
Per inciso la targa del comune di Noli dovrebbe essere apposta nei giardini intitolati a Carlo e Nello Rosselli.
Si ricostruisce così un clima simile a quello che si legge nei più recenti libri di Giampaolo Pansa: i mesi convulsi della “guerra civile” (uso l’espressione nel senso offertoci da Claudio Pavone nei suoi testi fondamentali) vissuti in un impasto reciproco (per quel che riguarda le due parti) di eroismo e vigliaccheria, di interessi privati, vendette da consumare in quel momento approfittando del caos e della libertà d’azione concessa in quei momenti straordinari a chi si trovava, a torto o a ragione, con le armi in pugno.
Una reciprocità che consente di cancellare origini di quello stato di cose e la responsabilità delle scelte accomunando il tutto nel grande calderone della tragedia: fino al punto di avanzare la proposta (conclusiva nel pansiano “Il mio viaggio tra i vinti”) di abolire il 25 aprile sostituendolo con una riflessione da compiere ciascheduno nel silenzio soggettivo della propria coscienza.
A questo punto siamo arrivati, nella cancellazione della memoria storica di questo Paese come esito della furia iconoclasta della “rottamazione continua”: la storia sostituita dalla caccia al potere inteso, semplicemente, come esercizio fine a se stesso dell’arbitrio e della spartizione delle povere spoglie dello stato e della vita pubblica.
Questo andamento della politica e del confronto pubblico è in atto ormai da molto tempo e sta producendo effetti assolutamente nefasti: condannate le ideologie a esse si è sostituita una sorta di nichilismo sovrastante che accomuna – ormai – le principali forze politiche contagiando anche le istituzioni dello Stato.
Ne vediamo gli effetti ogni giorno: nel disprezzo della diversità epocale tra la pace e la guerra; nell’idea del lavoro non come diritto ma come competizione individualistica; nell’esercizio della politica del territorio; nella crescita esponenziale della sopraffazione di genere con le donne davvero ridotte a oggetto perfino nelle parole di un senatore della Repubblica; nel comportamento degli organi istituzionali.
La cronaca è piena di fatti che possono bene confermare questa analisi, riferendosi davvero a una distopia rispetto a ciò che è stata la storia del nostro Paese, della sua cultura, della sua capacità di organizzazione collettiva raccolta – per un lungo periodo – da grandi soggetti politici.
Soggetti politici, i grandi partiti di massa, espressione, loro sì, di ideologie diverse frutto di una pluralità di riflessioni filosofiche e rappresentative di una specificità sociale effettivamente riscontrabile nei diversi settori della società.
Scorrere la cronaca dei fatti che stanno accadendo in questi giorni ci porta direttamente al cuore del problema che è quello della scomparsa della memoria storica, dell’ignoranza ormai acclarata sulle nostre origini, dell’incapacità di verificare i fatti accaduti per quello che realmente furono nella loro essenza materiale.
Tornando al merito: non è il caso di estrapolare ancora da ciò che rimane del nostro bagaglio culturale collettivo i paroloni della retorica.
Non è il caso di tornare a scrivere di “Alba radiosa del 25 Aprile” inteso come momento salvifico per la cancellazione di tutti i drammi e di tutte le brutture portate dal più terribile degli atti umani: la guerra.
Invece, deve crescere in noi la consapevolezza circa l’esigenza della ricostruzione di una memoria e di una coscienza collettiva.
Il fascismo che è intorno a noi, in molti atti compiuti quotidianamente dalla politica in questo paese prescindendo dalla parte che li promuove, rappresenta la nostra grande responsabilità e la nostra colpa.
Dobbiamo guardarci attorno: non basta custodire la memoria (anche se è necessario farlo) ma occorre promuovere una nuova coscienza e una diversa capacità di leggere la storia intesa quale passaggio fondamentale e ineludibile per un’adeguata lettura del presente.
Dal vuoto che si è creato sorgono i fantasmi del passato, si crea un turbinio mediatico attorno a fatti consumati in epoca lontana e oggetto, oggi come oggi, di bieca strumentalizzazione.
È bene rispondere cercando di ristabilire realtà di allora e dei valori che quella realtà ci ha consentito di esprimere per decenni.
È il caso però di interrogarci a fondo sul perché siamo arrivati a questo punto; sulle ragioni che portano i labari neri a credere di potersi rialzare da terra; sullo smarrimento che una politica del tutto sprovvista di radici culturali ha prodotto sulla realtà di una grande democrazia com’era stata, per decenni, quella italiana.
Una democrazia fondata sulla Repubblica e sulla Costituzione, nate dalla Resistenza vittoriosa sul nazi – fascismo.
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