Se
andiamo a vedere i risultati elettorali tedeschi, e li confrontiamo con
i sondaggi delle scorse settimane, le sorprese, in fondo, sono minime. Afd (Alternativa per la Germania, destra nazionalista euroscettica) ha
preso forse qualche punto in più di quanto previsto, probabilmente, per
un effetto sondaggio ben conosciuto in Italia: ci sono elettori che si
vergognano di dichiarare il voto per un partito salvo farlo nel segreto
dell’urna. Vista la ripartizione dei seggi in parlamento, che sarebbe
ampiamente favorevole a una nuova grande coalizione, la vera sorpresa è
la dichiarazione di Martin Schulz sulla collocazione della SPD all’opposizione.
I motivi di questa dichiarazione sono comprensibili: l’SPD rischia la scomparsa, o l’irrilevanza se non come alleato della Merkel,
visto l’andamento delle tornate elettorali tedesche. Visto che
l’irrilevanza non è affare per i corposi interessi rappresentati dalla
SPD – finanziari, territoriali, sindacali – l’opposizione potrebbe, ma non
è scontato, giovargli. Di sicuro, dopo buoni sondaggi iniziali, non ha
giovato una campagna elettorale, cominciata con la questione sociale,
sostanzialmente poi condotta in modo sonnolento. Del resto se un partito
va verso una grande coalizione difficile possa fare le barricate. Resta
da capire se la collocazione della SPD è irreversibile, Schulz
spergiura di sì, se è il prologo ad un cambiamento, di linea e di
segreteria, del partito o se le trattative per il prossimo governo Merkel porteranno delle correzioni di linea. Già, perché la cancelliera, candidata dalla sera delle elezioni ad un prossimo mandato, ha due seri problemi: il primo è quello di formare una coalizione, il secondo è stabilire
una linea politica conforme alle esigenze, e alle emergenze, della CSU,
la DC bavarese che sente il fiato di AfD nella propria regione.
Lo schema, emerso sui media, della alleanza possibile al governo tedesco è il cosiddetto Giamaica, dalla combinazione del colore dei tre partiti riuniti che è lo stesso della bandiera del paese caraibico, sostanzialmente una alleanza a tre fra Dc tedesca, liberali e verdi. Lo schema, dopo un dibattito di qualche anno su questa possibile alleanza, è quello del governo dello Schlesig-Holstein,
il Land che confina con la Danimarca. Ma una cosa è governare a Kiel,
un’altra a Berlino e questo sulla stampa tedesca è già emerso. Anche
perché dover rincorrere le esigenze legge e ordine verso gli immigrati
della CSU, ritenute prioritarie per evitare una disfatta in Baviera il prossimo anno, e conciliarle con quelle dei Verdi (garantisti, libertari, multiculturali per quanto fin troppo “realisti”) non sarà una passeggiata. Né tantomeno conciliare la politica di bilancio dei liberali con le esigenze “sociali” di parte della Dc tedesca e degli stessi verdi. C’è poi un punto, grosso come un continente, che riguarda l’Europa.
Questo genere di alleanza continuerà sul modello economico
export-oriented, del resto i Verdi non sono cambiati dal periodo di
alleanza con Schroeder, sulla pressione verso politiche di bilancio per i
paesi terzi ma con quale forza, quali strumenti? E con quale tipo di
accordo con la Francia? Insomma dal tipo di
cancellierato insediatosi a Berlino, l’Europa capirà cosa può o non può
contrattare con la Germania. Ma anche, e soprattutto, chi fa la politica
che conta ovvero la Bce. Fino ad adesso una parte
significativa del mondo economico tedesco non ha certo trovati sgraditi i
tassi di interesse zero: sono state finanziate imprese altrimenti in
difficoltà. Ma dopo? E con quale candidato per il dopo-Draghi?
Come si capisce la posta in gioco c’è e non è piccola visto il ruolo
strategico della politica monetaria. Ma,va detto altrimenti ci si
immaginano scenari distopici, la Germania non sta andando verso Weimar. Basti dire che la futura maggioranza ha a disposizione, dati Handelsblatt, oltre 25 miliardi di euro di surplus da investire mentre lo stato si finanzia guadagnando
(con i tassi di interesse negativi e con la Bce che compra titoli
tedeschi). Oltretutto, avendo trovato il parlamento una discriminante
anti-Afd, difficile non veder prevalere il senso di responsabilità,
anche questo ben conosciuto agli elettori italiani, della SPD in
parlamento. Tempo per fare una coalizione ci sarà, nel 2013 ci sono
voluti due mesi, e probabilmente non mancheranno le sorprese.
Resta da dire qualcosa su Afd.
Una sorta di “noi per Salvini” versione tedesca che ha saldato protesta
anti-euro, anti-immigrati, anti-crisi, anti-statalismo. Tocca chi teme
per il futuro del proprio piano pensionistico, la scala sociale
lavorativa più bassa (quella dei cosiddetti minijobs), la parte dell’Est
che è ancora indietro rispetto all’ovest, l’opinione pubblica
spaventata dall’immigrazione. Difficile inquadrarlo come un partito
“ariano” tradizionale. Per dirne una, la frontman della Afd ha dichiarato di essere lesbica,
di convivere con una donna, e proprio per questo di essere contro gli
immigrati perché discriminano le donne e i loro diritti. Insomma, più
che al tradizionale sangue e suolo, espressione della NPD di qualche anno fa, si tratta di una destra postmoderna,
anticipata a suo tempo in Olanda dal partito di Pym Fortuin, che pesca
sia in bacini tradizionali della destra, sul piano sociale che
territoriale, sia sul terreno di chi vede i propri diritti liberali
messi in pericolo dai cambiamenti. Il bacino elettorale di Afd sta nell’erosione dei partiti tradizionali:
consistente, almeno fino a che è nutrito dagli effetti collaterali
delle ristrutturazioni della Germania, non tale, guardando alla
prospettiva dei prossimi anni, da portarlo al governo del paese più
ricco d’Europa. Di sicuro il nuovo parlamento tedesco, la sua
maggioranza, si muoverà, basta vedere le dichiarazioni dei partiti, contro Afd.
Proprio queste mosse determineranno, di riflesso, anche la politica
estera compresa quella verso il nostro paese. E qui, ad occhio, non ci
sarà da cullarsi tanto. Con calma, vedremo.
Redazione, 25 settembre 2017
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