Cade oggi, il venerdì 22 settembre, per via della luna nuova che appare dopo il calar del sole. L’esodo dalla Mecca a Medina del profeta e dei suoi primi compagni. Egira significa in arabo ‘esilio’ o migrazione che sarebbe poi diventata endemica nella storia. Il calendario comincia dall’esilio e continua a seconda delle lune e degli anni che si contano in modo differente.
Qui a Niamey siamo appena nel 1439 perché abbiamo cominciato alcuni secoli dopo l’altro calendario, chiamato Gregoriano. Era difficile mettere d’accordo i giorni e allora oggi qui c’era una festa senza che a nessuno importi. Scelte politiche che arrivano troppo tardi per convincere la luna e il sole, che guida l’altro calendario, a trovare un compromesso accettabile. Tra dieci giorni ci sarà un giorno di digiuno per ricordare quello di Mosè e quello della popolazione nigerina ben più lungo. Questo però vale per la tradizione sunnita, mentre quella sciita ricorda il sacrificio di Hussein, nipote del profeta dell’Islam, assassinato. Il primo di una lunga serie di omicidi motivati dal potere.
Il calendario lunare è più spedito di quello solare e questo fa che i giorni dell’anno siano ridotti a 354 o 355 quando va bene. A organizzare l’insieme del tempo è stato il califfo Omar, quando ancora lo Stato Islamico non aveva ancora preso piede grazie ai finanziamenti dei paesi arabi e occidentali. Con meno giorni da contare il tempo passa prima e si ricomincia quando l’altra luna nuova appare tra le insenature delle stagioni.
Quanto all’esilio a Medina, a circa 400 chilometri a nord della Mecca, continua ad essere meta di pellegrinaggio, non obbligatorio, per quanti vanno alla Mecca dalla pietra nera. Pochi, comunque, si sono accorti del nuova anno. Non c’erano petardi, botti, fuochi d’artificio o scritte che augurano buon anno a cura della municipalità. Un capodanno ordinario, lunare e con il dubbio di arrivare a fine mese col salario inesistente dell’amministrazione. L’unica cosa che funzionava erano i crediti per i cellulari e i mercati lungo la strada, visitati di buon mattino dalle signore col velo che parcheggiano in modo impossibile i fuoristrada.
Anno nuovo e vita nuova. Soprattutto per le ONG dell’umanitario che si augurano che tutto continui così se non peggio. Mettiamo non ci fossero i migranti, gli sfollati, i rifugiati, gli alluvionati, gli impoveriti dal cambiamento climatico, i bambini lungo le strade a mendicare, le case che cadono quando piove e le donne vittime di violenze domestiche. Mettiamo non ci fossero contadini costretti all’esodo in città, le ragazzine che rendono vivaci le notti della capitale, i giovani sfaccendati che fumano e, di nascosto, bevono. Mettiamo che il deserto smetta di avanzare, che i pozzi promessi siano finalmente trivellati, che le piante finiscano di diventare legna da ardere per cuocere la carne, che le scuole inizino ad ottobre, che i politici smettano di aggirare le leggi. Mettiamo tutto questo e anche altro. Che rimarrebbe per le centinaia di agenzie che vivono e prosperano dei malori degli altri. Samaritani più o meno interessati che speculano sul dolore e non si sognano neppure di mettere in discussione il sistema che crea ciò che essi curano.
L’anno solare delle ONG e le Agenzie Globali Caritative è anche molto ’lunare’, opaco. Poco importa per chi viaggia, fa missioni, stila progetti, produce rapporti e soprattutto sposta i propri interessi dove con maggiore certezza si trovano i fondi. Non si tratta che di ‘ambulanze’ fittizie e precarie del sistema che anche grazie a loro funziona, si estende e soprattutto si riproduce. Ci sono tutte le condizioni perché il popolo abbia davvero un buon anno, in esilio.
Niamey, settembre 017
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